Un largo settore
della poesia sorjuanina è dedicato al canto di Dio, della
Vergine e dei santi. Conoscendo la condizione umana della suora, la
sua preoccupazione nei confronti della vita191,
che si riflette in preoccupazione per l'aldilà, appare
naturale che nella sua poesia si rivolga con trasporto sempre
più acceso al canto religioso. Spesso lo fa per incarico di
chiese, in occasione di feste religiose. Tuttavia
l'occasionalità del canto non esclude la partecipazione
diretta dell'animo sorjuanino, l'espressione in esso di sentimenti
sinceri.
Esistono,
però, nella lirica della suora, al di fuori delle
composizioni mosse da occasioni esterne, alcuni romances in cui si riflette
più immediato il suo stato d'animo nei confronti di Dio,
fatto di emozione e di trepido timore. Tali romances mostrano chiaramente
che Dio è per Sor Juana il rifugio supremo dell'anima
stanca. E' qui che possiamo cogliere un tratto caratteristico della
spiritualità sorjuanina: l'amore che essa professa a Dio si
trasforma nell'intimo in nuovo motivo di preoccupazione, di riposto
«cuidado», quello stesso
che permea la poesia religiosa di Quevedo, e non meno quella di
Lope de Vega.
In uno dei suoi
romances
sacri192
Sor Juana esprime chiaramente questo «cuidado» che la
tormenta:
Traigo conmigo un cuidado,
y tan esquivo, que
creo
que, aunque
sé sentirlo tanto,
aun yo misma no lo
siento.
In altro
romance193
Sor Juana rivela ancor più viva la sua trepidazione,
accentuata dall'esasperato proposito di umiliarsi, protestando la
propria indegnità per colpe che sente ingigantire
nell'intimo:
Mientras la Gracia me
excita
por elevarme a la
Esfera
más me
abate a lo profundo
el peso de mis
miserias.
Questi accenti
potrebbero venire interpretati come retorici, se non conoscessimo
il tormentoso senso del peccato che colora di sè gli ultimi
anni di vita della monaca. L'indegnità e la colpevolezza che
Sor Juana sente in sè, diventano ostacolo all'opera della
Grazia che la sollecita verso Dio. Quindi il tormento sta in lei,
è radicato nella sua complessità spirituale. La suora
definisce esattamente la sua condizione in questi versi dello
stesso romance:
De mí misma
soy verdugo
y soy
cárcel de mí mesma.
Da questi stessi
accenti tormentosi traspare la sincerità del sentimento
sorjuanino nei confronti di Dio. A volte si tratta di un grido di
pura passione, che rivela il superamento di elementi umani, in una
tensione che potremmo definire addirittura mistica. Dio è
invocato come «Amante dulce del
Alma», «Bien
soberano» cui ispira, «Divino Imán» che
adora194.
Qualcosa di San Juan de la Cruz è presente senza dubbio in
queste voci verso Dio, negli stessi accenti di una umanità
applicata al divino, che hanno le loro origini prime nell'aderente
lettura dei testi sacri.
Nella relazione
tra Dio e la creatura ciò che colpisce maggiormente Sor
Juana è che egli si sia concesso con un atto d'amore. Ma
neppure l'amore di Dio è ragione di pace per la suora. La
sofferenza è elemento costitutivo della sua
spiritualità. Il suo mondo è un mondo di dolore. In
questo si rispecchia drammaticamente la sua essenza e quella stessa
dell'età barocca, momento in cui l'uomo si sente oppresso
dal peso di una crisi che gli appare insuperabile.
Anche nelle
composizioni religiose dettate a Sor Juana da incarichi esterni,
villancicos,
letras sacre195,
allo stesso modo che nel resto della sua poesia, si coglie in
molteplici occasioni la calda nota della sua partecipazione
appassionata. Il Menéndez y Pelayo affermava che non era
opportuno giudicare Sor Juana dalle sue ensaladas e dai villancicos, nè dai
versi latini rimati196.
Ma proprio in queste composizioni è giustificato vedere
riflessa tanta parte della spiritualità della suora e della
sua arte migliore.
Nello studio
introduttivo al volume che raccoglie i villancicos e le letras sacre, nell'ambito
delle opere complete sorjuanine, il Méndez Plancarte ha
tracciato una storia del genere nella Nuova Spagna, diradando
ancora una volta le molte ombre che circondavano anche questa parte
dell'opera della suora197.
Il critico ristabilisce esattamente il valore del villancico quale composizione
lirica, non drammatica, come invece avevano inteso i precedenti
commentatori198.
Le voci che intervengono nei villancicos inducono, certo, a pensare a una
intenzione drammatica. La vivacità del canto, la scioltezza
degli interventi, giustificherebbe tale interpretazione. Il
Chávez si è spinto addirittura a descrivere come a
suo parere dovevano venire rappresentati i villancicos nella cattedrale
messicana, con intervento di più voci, rispondentisi dai
diversi angoli della chiesa, tra il popolo pienamente
partecipante199.
La suggestione della scena immaginata lo ha preso tanto da indurlo
a pensare anche a un possibile accompagnamento di chitarra, un
«rasgueo de sonora
guitarra»200.
Ma se il villancico può contenere in sè germi
drammatici, in esso siamo in realtà ben lontani dall'azione
teatrale. Il Méndez Plancarte scrive esattamente che quella
del Chávez è una bella fantasia, contraria alla
realtà, poichè tutto si limitava al canto della
Cappella, senza che nulla si avvicinasse alla decorazione, ai
costumi e all'azione teatrali201.
Tuttavia, molti
gruppi di villancicos, per l'Assunzione, per la Concezione,
dedicati a San Pedro Nolasco o a San Pedro Apóstol, a San
Giuseppe, a Santa Caterina o alla Natività, si impongono
proprio per l'agilità e la vivacità degli interventi
di voci varie.
L'arco di
produzione del villancico sorjuanino si estende dal 1676 al 1691,
o 1692, se consideriamo i villancicos che il Méndez Plancarte pone
tra quelli attribuibili alla suora202.
In tale periodo notiamo un momento di più intensa
attività in questo genere di composizioni, precisamente dal
1676 al 1680, che si ripete tra il 1689 e il 1691, cioè
negli anni di più seria crisi spirituale di Sor Juana.
Alla base dei
villancicos e
delle letras
sacras stanno le profonde e giornaliere letture religiose
della suora, l'Ufficio Divino, il Breviario Romano203.
L'ispirazione, tuttavia, si muove libera dai modelli. Le letture
religiose sono fonte di trasporto, che si esprime in una poesia in
cui si mostrano appieno le vaste possibilità liriche della
monaca, i caratteri distintivi del suo barocchismo, in cui
confluisce il magistero soprattutto della poesia di San Juan de la
Cruz.
Tuttavia i temi
dei villancicos non appaiono di eccessivo interesse
nel loro ripetersi. Prese nel loro insieme queste composizioni non
destano quell'entusiasmo manifestato dal Chávez e dal
Méndez Plancarte. Ciò che di esse mi sembra di
maggior valore è una serie numerosa di passaggi lirici di
suggestiva freschezza o di particolare bravura, specie
allorchè Sor Juana introduce a parlare, in sorprendenti
ensaladas,
negri, indios, biscaglini o portoghesi, coi loro caratteristici
idiomi. Si tratta di una nota di popolarismo, quel popolarismo che
il Chávez celebrava entusiasticamente nella sua ispirazione
sincera204,
ma che risponde in sostanza a una nota dominante di cultismo.
L'originalità della suora si manifesta completa nei
villancicos.
Nessun modello traspare concretamente in essi, e sue sono la
delicata nota lirica, la musicalità e la dolcezza, la
struttura formale, le immagini, suoi i colori e i suoni, quanto di
più caratteristico presenta la poesia sorjuanina.
Scritte per essere
cantate, queste composizioni sono puri ritmi ascendenti. Il canto
si spiega in volute alterne, mostrando la perizia musicale e la
squisita sensibilità della poetessa, in tutte le sfumature.
Ogni passaggio è fonte di musica, ottenuta a volte con mezzi
esterni, come nelle coplas iniziali del secondo notturno205,
del juego per
l'Assunzione, del 1676; o anche mediante l'introduzione di termini
latini, come nel caso delle ultime coplas dell'ensalada del villancico ottavo, nel juego dedicato a San Pedro
Apóstol, del 1677206.
Ma si veda, soprattutto, la levità di certi passaggi, che ci
trasportano in atmosfere cariche di suggestione biblica, come
l'estribillo
del primo villancico, primo notturno207,
del gruppo dedicato a Santa Caterina, del 1691:
Aguas puras del
Nilo
parad,
parad,
y no le
llevéis
el tributo al
Mar
pues él
vuestras dichas
puede
envidiar.
¡No, no, no
corráis,
pues ya no
podéis
aspirar a
más!
¡Parad,
parad!
In questi versi si
coglie tutta la suggestione della tradizione marina nella poesia
popolare spagnola.
Immagini marine
abbondano spesso nei villancicos sorjuanini, creando atmosfere
nettamente barocco-rinascimentali, come nel sesto villancico, secondo
notturno208,
del juego
dedicato a San Pedro Apóstol, del 1683:
Pescador amante,
que, por tu
Maestro,
dejando tus
redes,
dejas tu
sustento:
cuyas redes son
cadenas de
hierro
a tanto
andante
libre
prisionero;
tú, que aquese
horrible
Monstruo
verdinegro
con una
barquilla
le pisas el
cuello,
espera, aun no vayas,
no dejes tan
presto,
a los peces
libres,
al mar con
sosiego.
Pero
si mejoras
la suerte,
midiendo
el seno
anchuroso
de Mar más
inmenso,
bien
haces, acude
a mayor
empeño,
y tu pesca
sea
todo el
Universo.
[...]
¡Barquero,
barquero,
que te llevan las
aguas los remos!
In questo stesso
ordine di valori sono significativi, per l'efficacia poetica, i
versi portoghesi che Sor Juana introduce nel terzo
notturno209
del juego
dedicato, nel 1677, a San Pedro Apóstol. Gli errori con cui
il testo ci è pervenuto, non sono certo imputabili a
trascuratezza degli editori delle opere sorjuanine; attestano
invece una chiara coscienza linguistica da parte di Sor Juana, tesa
a rendere la realtà della parlata degli elementi portoghesi
immigrati. In tali versi si manifesta un lirismo finissimo,
applicato al soggetto religioso210.
In essi la delicatezza della nota lirica, che ha l'accento delle
saudades, ci
riporta indietro nel tempo, aprendo un panorama sentimentale di
squisita fattura, che si costruisce su ricordi di acque, su
allusioni suggestive, di grandezza, di bellezza -le Indie, Lisbona,
cui non è raro il riferimento anche nel teatro spagnolo del
Siglo de
Oro:
Timoneyro que governas
la nave de el
Evangelio,
e los tesouros da
Igrexa
van a tua manu
sugeitos,
mide
a equinoccial os grados
e de o Sol
apartamento,
pois en todo o
mundo tein
de servir tuo
deroteiro.
Ollái, que por muita
altura
perdiste o
conocimento,
e se
escondió no Oriente
o Norte de tu
governo.
Cristo es tua Estrella
polar,
e se a su luz
atendo
se naon inclina tu
aguja,
va perdido o
regimento.
Navegazaon mais segura
podes tener en ti
mesmo,
pois dan tuos
ollos dos mares
e tus suspiros dan
vento.
Los
tesouros de la gracia
pasar en tua Nave
veo,
desde las Indias
de o mundo
a la Lisboa do
Ceo.
L'atmosfera di
poesia suscitata da questi versi supera il significato allegorico.
Essa si definisce meglio nell'estribillo, che apre distesi panorami marini,
sullo sfondo della presenza evangelica:
A la
proa, a la proa, a la proa, Timoneyro,
que face o mar
tranquilo e sopra o vento,
e faz el porto
salva, todos dicendo:
¡Buen viage,
buen viage, marineyros,
que a mar se faz
la Nave de San Pedro!
La
sensibilità di Sor Juana si mostra particolarmente disposta
alla captazione delle bellezze della natura. Lo si è visto
in forme intensamente barocche, nella poesia precedentemente
esaminata. Tuttavia, nei villancicos la sua emozione di
fronte al creato, in cui vede tangibilmente la mano di Dio, si
espande con maggiore libertà. La natura è specchio di
Dio, ed essa la canta in una raffinata atmosfera serena,
manifestazione di intimo panteismo religioso. I suoi paragoni
avvengono, quindi, con quanto di più bello presenta la
natura stessa. In tali accostamenti Sor Juana esprime la propria
religiosità, in una visione di bellezza delicata.
Così l'immagine, consueta nell'ambito religioso, della
Vergine-Aurora, ripresa da Sor Juana presenta nuova freschezza,
attraverso accenti di sottile armonia, che rendono viva
l'atmosfera, sul ritmo sonoro del vento. Si veda l'estribillo del primo
villancico,
primo notturno211,
del juego
destinato nel 1679 all'Assunzione:
¡Sonoro clarín del
viento,
resuene tu dulce
acento,
toca,
toca:
Ángeles
convoca,
y en mil
Serafines
mil dulces
clarines
que,
haciéndole salva,
con dulces
cadencias saluden al Alba!
Questa atmosfera
raffinata si colora spesso di una nota esotica, che a Sor Juana
perviene dalla lettura dei libri sacri. Essa è visibile in
particolare nell'immagine ricorrente della Sposa. Nel settimo
villancico,
terzo notturno212
del juego
dedicato nel 1689 alla Concezione, appare trasfusa visibilmente
l'atmosfera del Cantico dei Cantici. Lo si vede
soprattutto nel ritornello che chiude ogni strofa, specie là
dove al colore nero della Sposa fa contrasto valido il suo
significato di luce, di purezza e di grazia:
Negra se confiesa; pero
dice que esa
negrura
le da mayor
hermosura:
pues en el Albor
primero,
es de la Gracia el
Lucero
el primer paso que
da.
Morenica la Esposa
está
porque el Sol en
el rostro le da.
In questo modo la
suora vive pienamente, nei villancicos, la sua condizione religiosa. Essa si
sente davvero parte viva della chiesa. Ciò si può
notare anche nell'uso abbondante che Sor Juana fa del latino, in
liriche intere, o frammisto al castigliano, ottenendo, in questo
ultimo caso, effetti ritmici di singolare valore, come nelle
coplas con cui
ha termine il juego di villancicos citato, a San Pedro Apóstol,
del 1677213.
Il cantato dei
villancicos si
giova di tali introduzioni, che nella poetessa dimostrano ancora
una volta fino intuito musicale e al tempo stesso ardita
modernità. Nella mescolanza dei vari idiomi, cui Sor Juana
ricorre, essa intende senza dubbio farsi interprete in modo diretto
del mondo composito in cui viveva; mentre nell'uso del latino
manifesta l'intima compenetrazione realizzatasi tra popolo e chiesa
nel nome della fede.
Efficace in questo
senso è il secondo villancico, primo notturno214,
del juego
dedicato nel 1676 all'Assunzione. In esso vi è il procedere
maestoso, ampio, del canto liturgico, accentuato dal dispiegarsi di
tutto lo splendore di cui è capace il barocco religioso
sorjuanino, che si manifesta ed effonde in immagini dai cromatismi
delicati. L'ascesa al cielo di Maria è resa, in apoteosico
concerto, in un immenso stupore divino, tra sole, stelle e angeli,
in un dilagare di luce:
Victrix in Caelum
ascendit,
ubi per saecula
vivat.
Custodes portarum timent,
ut ingrediatur
Maria,
ne cardinibus
evulsis,
totum Caelum porta
fiat.
Ascendit Caelos, et Caelos
luce vestit
peregrina,
atque deliciarum
loco
ignota infert
delicias.
Innixa super dilectum
Caelestem Thalamum
intrat,
ubi summam
potestatem
habet a Deitate
Trina.
Ad
dexteram Filii sedet,
et ut Caelorum
Regina
tota coronatur
Gloria
et Gloriam coronat
Ipsa.
Vident Superi ascendentem,
et admirantium ad
instar,
ad instar
concelebrantium,
alterna quaerunt
laetitia:
Nell'ambito sempre
religioso, il barocco sorjuanino si manifesta anche in castigliano
in moduli assai raffinati, sia che la suora celebri la Vergine,
oppure il bimbo Gesú. Nel terzo notturno215
del juego di
villancicos
per l'Assunzione, del 1685, le coplas in cui due voci e il coro cantano l'ascesa
al cielo della Vergine, mostrano di quale finezza di ritmi fosse
capace il barocco religioso della suora, mosso dall'emozione,
nonostante la presenza rumorosa e corposa dell'effettismo:
1.-
En dulce
desasosiego,
por salva a sus
Pies Reales,
dispara el Agua
cristales,
y tira bombas el
Fuego;
caja hace la
Tierra, y luego
forma clarines el
Viento.
Tropa.-
¡Ay
qué contento!
2.-
Al subir la Reina
hermosa,
cubierta de grana
fina,
descuella la
Clavellina,
y rompe el
botón la Rosa;
la Azucena
melindrosa
da al aire el
ámbar que cría.
Tropa.-
¡Ay
qué alegría!
Smalti simili sono
sparsi per tutta l'opera di Sor Juana. Essi documentano il libero
espandersi della sensibilità e del gusto della suora, nella
legittimazione più ampia di un canto che solo impropriamente
viene definito impersonale, riscattato invece intimamente da un
sincero trasporto religioso.
Si noti ancora lo
splendore colorista della descrizione del bimbo Gesú nel
sesto villancico, secondo notturno216,
del juego per
il Natale, composto nel 1689:
De
Oro y Plata en listones,
un
ramillete
de encarnado es, y
blanco,
de azul y
verde.
No
es retrato del arte,
ni de
pinceles,
que es Divino,
aunque Humano
sólo
parece.
Aunque parezca Humano,
es tan
Celeste,
que arden los
Serafines
sólo por
verle.
Una
Joya es tan rica,
que en el
Oriente
sirve de luz al
Orbe cuando amanece.
Los
Diamantes y Perlas
en ella
pierden
sus quilates, o en
ella
todos los
tienen.
Los
Claveles y Rosas
en ella
mueren,
o se animan en
ella
Rosas,
Claveles.
Molti altri
aspetti di schietta nota personale si potrebbero mettere in
evidenza nei villancicos. Lo ha fatto con molto entusiasmo e a
volte con acutezza il Chávez, nè mi sembra opportuno
tornare sull'argomento. Tanto più che si tratta per lo
più di supposizioni, non confermate, come si è detto,
da dati positivi intorno alla biografia della suora. Ciò che
importa è rilevare, invece, le qualità intrinseche
della sua opera.
Ho già
accennato all'aderenza di Sor Juana all'elemento popolare. In
definitiva i villancicos erano da lei composti soprattutto
mirando a far presa sul popolo. Nel senso, quindi, di una stretta
aderenza alla realtà composita del suo mondo è da
interpretare un elemento determinante del popolarismo sorjuanino,
l'indigenismo.
Abbiamo visto che
Sor Juana afferma più di una volta, e con orgoglio, la
propria messicanità. Questa affermazione è, in
sostanza, l'accettazione cosciente di un mondo di cui sente
profondamente il retaggio culturale. Il motivo non poteva essere
esterno nella suora, se essa dimostra tanta perizia nella
interpretazione di usi e costumi indigeni, delle forme di questa
cultura, penetrate intimamente, e delle stesse lingue principali,
il náhuatl e l'azteca. Ne fanno fede i villancicos, in cui Sor Juana
intercala intere composizioni in lingua indigena, o mescola le
lingue indigene con il castigliano. In náhuatl, che il
Garibay ha giudicato impiegato con «notable gracia y
fluidez»217,
è un romance exasillabo nel terzo villancico, ottavo
notturno218
del juego per
l'Assunzione, del 1676. Il Méndez Plancarte ne ha posto in
rilievo la bellezza, la «candorosa
llaneza»219.
Mi sembra, tuttavia, che a questa nota si possa aggiungere qualcosa
che rivela ancor più apertamente le doti di
sensibilità, di ispirazione, di cultura della suora: in
questo romancillo náhuatl, infatti, non vi
è solo «candorosa
llaneza», ma alla luce di quanto la poesia
náhuatl ci ha tramandato220,
si percepisce un'intima aderenza spirituale tra la composizione di
Sor Juana e le forme più genuine e caratteristiche della
poesia indigena. Tale aderenza si concreta soprattutto in una
raccolta nota di dolore cosmico, nel rassegnato fatalismo,
nell'incombente senso di tragedia e in un indifeso e supplice
abbandono nelle mani della divinità. Riprodurre qui i versi
náhuatl di Sor Juana non serve, per evidenti ragioni, per
cui ricorrerò alla versione letterale fattane dal
Garibay:
«Si ya te vas, / nuestra amada Señora, /
no, Madre nuestra, / Tú de nosotros no te olvides. / Aunque
en el Cielo / mucho te alegrarás, / ¿no acaso alguna
vez / harás memoria? / Todos tus devotos / podrán ser
llevados arriba (como con cuerda). / Y si no, Tú / con la
mano los alzarás, / pues te quedó agradecido / tu
amado Hijo. / Ea, pues, por las gentes / suplícale: / y si
no quiere, / recuérdale / que tu carne / Tú le diste,
/ tu leche / bebió, si soñaba / también
pequeñito. / Que por tu mediación / tus devotos, /
los faltos de algo, / nos haremos merecedores; / nuestros pecados
todos / echaremos a rodar; / al cielo iremos, / te veremos / donde
para siempre / vivirás, / para siempre se hará / tu
mandato»221.
La medesima
sincerità e compenetrazione troviamo, nei villancicos, allorchè i
protagonisti sono negri. Nella letteratura spagnola il negro aveva
già fatto la sua comparsa, nella poesia e nel teatro, ma
soprattutto come motivo di folclore o come nota umoristica.
Ammettiamo pure che il motivo folcloristico entri in parte anche
nelle intenzioni sorjuanine, ma i suoi negri che cantano le lodi
della Vergine, dei santi o di Gesú presentano ben diversa
dimensione. Essi appaiono ben caratterizzati in una
ingenuità profondamente poetica di fede, nella istintiva
tenerezza e nella disposizione al ritmo e alla danza. Il
particolare modo di esprimersi negro viene sfruttato da Sor Juana
per raggiungere effetti di veridicità, che sono esiti sicuri
di poesia. Inoltre, il linguaggio negro, nelle sue deformazoni del
castigliano e nell'uso di numerosi negrismi, è in Sor Juana
una delle prime testimonianze di un interessante fenomeno
linguistico ispanoamericano destinato a trovare legittimazione
letteraria alcuni secoli più tardi, nella poesia
afro-antillana222.
Precorrendo a così grande distanza di tempo l'atteggiamento
caratteristico della poesia negra del novecento, Sor Juana
rivendica concretamente dignità e sensibilità al
negro, accomunandolo al bianco, e vede in esso uno dei componenti
legittimi della società americana.
Nell'ottavo
villancico,
terzo notturno223,
del juego per
la Concezione, del 1676, introducendo un negro a cantare, la suora
gli fa dire parole significative in questo senso. Mentre alcuni lo
vorrebbero allontanare da una festa in cui non può esservi
nulla di «negro», egli afferma la
propria validità di fronte a Dio:
- Aunque Neglo,
blanco
somo, lela, lela,
que il alma rivota
blanca sá, no prieta.
Questi versi
richiamano alla memoria un identico passaggio del Martín
Fierro di Hernández, lá dove il protagonista
rivolto al negro dice:
Ma mentre qui
è il dolore che fa uguali bianco e negro, in Sor Juana
è la fede, l'amore verso Dio.
Nel canto negro
della suora è da porre in rilievo anche un altro elemento,
il ricorso all'onomatopea, a puri fonetismi, per cui precorre uno
dei più caratteristici espedienti ritmici della poesia
negrista moderna, la jitanjáfora. Si veda il ritornello del
settimo villancico, terzo notturno225,
del juego per
San Pedro Nolasco, del 1677. Un negro portoricano, per rallegrare
la festa, canta «al son de un
calabazo» questi ritmi:
¡Tumba,
la-lá-la; tumba, la-lé-le;
que donde ya
Pilico, escrava no quede!
¡Tumba,
tumba, la-lé-le; tumba, la-lá-la,
que donde ya
Pilico, no quede escrava!
In questo stesso
senso è di sicuro effetto il canto di due «princesas de Guinea / con vultos
azabachados», nel villancico ottavo, terzo
notturno226,
del juego per
l'Assunzione, del 1679, sia per la ricchezza ritmica, che per la
fine sensibilità, librantesi tra il serio e il comico, e la
curiosa e interessante documentazione di viva presenza popolare. Si
coglie, qui, la consumata abilità d'artista di Sor Juana. Il
ritornello di ogni strofa è costruito con fine intuito
musicale, articolato sull'alternarsi di due voci e con l'intervento
di vari fonemi:
Negr. 1.-
¡Ha, ha, ha!
2.-
¡Monan vuchilá!
¡He, he, he,
cambulé!
1.-
¡Gila coro,
gulungú,
gulungú,
hu, hu, hu!
2.-
¡Menguiquilá,
ha, ha, ha!
Le coplas mirano alla
celebrazione, ingenua e stupita, naturalmente, dell'assunsione al
cielo di Maria. Il canto, nel corpo della composizione, si svolge a
due voci, e il ripetersi dello estribillo dá un marcato ritmo di danza
alla lirica, quello stesso che doveva avere anche allora il cantato
negro:
1.-
Flasica, naquete día
qui tamo lena di glolia,
no vindamo pipitolia,
pueque sobla la
aleglía:
que la Señola
Malía
a turo mundo le da.
¡Ha, ha, ha! etc.
2.-
Dejémoso la cocina
y vámoso a turo trote,
sin que vindamo jamote
nin garbanzo a la vizina:
qui harto jamote, Cristina,
hoy a la fiesta vendrá.
¡Ha, ha, ha!
etc.
1.-
Esa sí que se nomblaba
eccava con devoción,
e con turo culazón
a mi Dioso servïaba:
y polo sel buena Ecrava
le dieron la libertá.
¡Ha, ha, ha!
etc.
2.-
Mílala como cohete,
qui va subiendo lo sumo;
como valita li humo
qui sale de la pebete:
y ya la Estrella se mete,
adonde mi Dioso está.
¡Ha, ha, ha!
etc.
La ricreazione di
una fede spontanea e ingenua è perfettamente ottenuta da Sor
Juana in questi versi. Da tutti gli elementi considerati appare la
varietà di motivi nei villancicos, la loro intrinseca validità
come opera d'arte, per una trasparente atmosfera di sincera
ispirazione, alla quale la suora dà voce in tutte le
molteplici sfumature della sua arte. Nei villancicos, come del resto in tutta la
poesia religiosa di Sor Juana, si legittima, al disopra di ogni
movente occasionale, una diretta partecipazione ai temi cantati. Da
questo e dalla varietà dei temi, in cui si profonde il
meglio dell'ingegno sorjuanino, procede la bellezza dei villancicos, rivelazione
al tempo stesso della sincera religiosità della suora.