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ArribaAbajoCapitolo Quarto

La poesia di circostanza


La poesia di argomento amoroso composta da Sor Juana non costituisce che un settore non molto esteso, anche se di primaria importanza, della sua opera lirica. La maggior parte di questa è formata da una lunga serie di composizioni occasionali scritte in seguito a sollecitazioni di circostanza. Ma proprio in questa parte della poesia di Sor Juana è possibile cogliere, spesso, una partecipazione più diretta, e in essa momenti tra i più alti e significativi della sua arte.

L'amicizia è il sentimento che più profondamente muove la vena poetica della suora. La sua situazione intima, le molte mortificazioni, mentre dimensionano umanamente la sua grandezza, danno significato ai moti del suo animo, sempre alla ricerca di comprensione e di affetto. La poesia che essa scrive agli amici attesta la sincerità della sua posizione, nella stessa intensità con cui la suora si rivela attenta agli avvenimenti della loro vita, ansiosa di parteciparvi, anche solo con un verso. E' in definitiva, in queste composizioni che Sor Juana ha fissato stabilmente nel tempo il nome delle persone che le furono care, dando ad esse quella permanenza che nè la nobiltà delle origini nè la bontà delle opere avrebbero potuto conquistare.

Quando manca un autentico moto d'affetto, s'intende, si percepisce la retoricità del tema cantato. Allora la poesia è puramente d'occasione, tributo reso al mondo. Altre volte non è il sentimento d'affetto che induce la suora a comporre poesia, ma la forza emotiva di taluni avvenimenti la cui eco si imprime profondamente nel suo spirito. Anche in questo momento, non di rado, Sor Juana fa opera valida dal punto di vista artistico.

Per giudicare questo settore della poesia sorjuanina bisogna tener presenti il processo di maturità della suora e il grado più o meno intimo di vincolazione affettiva con le persone che canta o a cui si dirige.

Tra le prime composizioni del gruppo stanno quelle dirette a ricordare la marchesa di Mancera, che l'aveva accolta giovinetta alla corte vicereale. Sor Juana è indotta a scrivere da una funesta notizia, la morte della protettrice. Questo fatto suscita emozione nell'animo della suora, al ricordo della dama a cui deve gratitudine, ma alla quale, soprattutto per differenza di età, non appare legata da profondo sentimento. Si spiega, perciò il carattere esterno del trittico in suo onore, anche se nei sonetti che lo compongono107 la poetessa rivela una partecipazione maggiore di quella dimostrata in altro sonetto alla marchesa, che risale al momento della sua prima entrata in convento, il cui valore è puramente documentario108.

La marchesa di Mancera era morta il 21 aprile 1674 mentre, terminato il periodo di governo del marito in Messico, stava facendo ritorno nella penisola. Sor Juana la piange nei tre sonetti col nome di Laura. In queste composizioni ci troviamo di fronte a qualcosa di esterno, che tuttavia viene vivificato, come sostanza poetica, dalla profonda presenza della morte. La scomparsa della marchesa è, infatti, per Sor Juana, alto ammonimento intorno alla transitorietà della vita.

Nella poesia barocca sono numerosi i tumoli in morte di personaggi importanti o di amici, ma nella poesia della suora si perviene a un più vivo risultato di bellezza e di emozione. Nel primo dei tre sonetti il nome di Laura, col richiamo al Petrarca, apre una profonda prospettiva di vite desolate. Intorno alla donna si versa la pompa di luci e di colori nettamente barocca, risuona il prolungato lamento per l'infelice condizione di chi è rimasto sulla terra, privo della sua vista. Naturalmente, niente di più retorico in questi accenti, ma i versi di Sor Juana creano una penetrante atmosfera di malinconia che li redime e la suggestione letteraria ci conduce con insistenza ai canti petrarcheschi in morte dell'amata.

In Sor Juana il motivo amaro di pianto scaturisce dall'amicizia. Laura defunta è, anche qui, secondo i noti schemi, miracolo che i cieli non hanno voluto restasse a illuminare queste valli sventurate:


   De la beldad de Laura enamorados
los Cielos, la robaron a su altura,
porque no era decente a su luz pura
ilustrar estos valles desdichados;
   o porque los mortales, engañados
de su cuerpo en la hermosa arquitectura,
admirados de ver tanta hermosura
no se juzgasen bienaventurados.



Sor Juana mira a dare in questi versi una immagine di bellezza celeste, incorporea nonostante la menzione del corpo. Essa perviene, così, alla creazione di due piani: uno celeste, di bellezza divina più che umana, e uno terreno, desolato per la condizione di orfanezza in cui rimane il mondo privo di Laura. Entrambi i piani concorrono alla creazione di una compiuta atmosfera di lutto, di dolore. Per raggiungere questa atmosfera Sor Juana non ricorre al colore, ma si serve di termini allusivi, che richiamano luce o ombra unicamente, i cieli, la «luz pura», cui si contrappongono le valli sventurate, la triste condizione dei mortali. Sul contrasto tra la luce indefinita e l'ombra senza contorni, si versa lo sfolgorio barocco di colori della fine del sonetto, quasi coronamento del tentativo di divinizzazione della defunta:


   Nació donde el Oriente el rojo velo
corre al nacer el Astro rubicundo,
y murió donde, con ardiente anhelo,
    da sepulcro a su luz el mar profundo;
que fue preciso a su divino vuelo
que diese como el Sol la vuelta al mundo.



L'immagine di Laura è quella stessa dell'astro solare: sorge in un irradiare di luce, corre e tramonta. L'immagine si concreta nell'ultima parte del sonetto, resa più efficace dal contrasto di luce determinato dai termini funebri, il sepolcro, e dal sottinteso significato di catastrofe nel «divino vuelo», che si intende tragicamente abbattuto.

A dare efficacia a questa rappresentazione concorrono ancora le suggestioni del mito, non concretamente esemplificate, ma alluse con evidenza, in una duplice intenzione di vitalità e di morte, Fetonte e Icaro.

Nel secondo sonetto del trittico gli elementi sviluppati nella prima parte, in cui il divorzio tra l'anima immortale e il bel corpo viene interpretato come tensione verso un'unione eterna nella resurrezione finale, sono nobilitati da una conquistata atmosfera mistica, in cui finisce per compiersi, in pura luce celeste, la divinizzazione di Laura. In questi versi si possono cogliere tutti gli elementi più raffinati del lirismo sorjuanino, l'abilità con cui la suora depura gli elementi corposi, per costruire atmosfere che ricordano efficacemente il meglio della poesia religiosa e mistica spagnola:


   Alza tú, alma dichosa, el presto vuelo
y, de tu hermosa cárcel desatada,
dejando vuelto su arrebol en hielo,
   sube a ser de luceros coronada:
que bien es necesario todo el Cielo
para que no eches de menos tu morada.



L'allusione al corpo si completa in tre momenti: prigione, silenzio, «yelo». Il movimento ascendente dell'anima stessa si conclude nella corona celeste: «sube a ser de luceros coronada».

Tra il primo e il secondo sonetto è riscontrabile una netta progressione di clima, che raggiunge la massima depurazione proprio in quest'ultimo. Il terzo sonetto conclude col lamento della poetessa. Sor Juana confessa la propria desolazione, lo stato di orfanezza, ora che la protettrice è morta. La gratitudine la spinge retoricamente a desiderare la morte della propria «infausta lira», nella quale la marchesa di Mancera influì «ecos, que lamentables» ora la «vocean».

E' questo uno dei sonetti più cupi di Sor Juana. Il clima funebre del barocco si costruisce su tangibili ricordi di morte e di luci spente, di vite esalate. La morte stessa interviene concretamente a testimoniare un destino che non ammette modifiche; mentre le lacrime accrescono il senso di tragedia irrimediabile. Ogni immagine è memoria di un bene perduto: gli affetti, che invano desiderano la donna scomparsa; gli occhi, privati della sua vista; la luce, un tempo concessa. Questa cupa atmosfera è accentuata dagli «ecos, que lamentables te vocean», e da una aggettivazione di significato funebre, che viene a rafforzare il senso di dolore dei termini cui si riferisce: la lira è infausta, la scrittura, malformata, rappresenta «lágrimas negras» della sua «pluma triste». Nel sonetto il panorama di dolore rappresentato va oltre l'oggetto occasionale cui si riferisce, per trasformarsi in profondo lamento per tutto ciò che abbandona l'uomo, in una fuga continua, inarrestabile, che sfocia nella morte.

Il 16 novembre 1673 al marchese di Mancera succedeva nel governo della Nuova Spagna il duca di Veraguas, don Pedro Nuño Colón de Portugal y Castro, che il 13 del mese successivo, poco dopo l'ingresso ufficiale in Messico, moriva improvvisamente. Il luttuoso avvenimento non mancò di impressionare Sor Juana. Era un nuovo esempio concreto della brevità della vita, un ammonimento contro la vanità, e la suora compose in memoria del defunto un trittico di sonetti109, in cui, dopo averne esaltato la stirpe e celebrata la gloria, conclude in una effusione di affetto universale.

Il primo di questi sonetti, con la rappresentazione di Giove, Marte, Apollo, Minerva, simboli rispettivamente dell'autorità, della milizia, dell'arte e della scienza, desolati per la scomparsa del vicerè, in cui avevano sperato un incoraggiatore, dà forma a un gruppo di valore plastico, la pira del defunto. Tuttavia, l'efficacia del sonetto è data soprattutto dal verso iniziale, attraverso un valido avvertimento di caratteristico sapore quevedesco, allorchè viene richiamata d'improvviso l'attenzione del passeggero sul gruppo tombale, testimonianza di desolazione e di dolore:

¿Ves, caminante? En esta triste pira...


L'uomo passa con indifferenza a lato degli esempi di morte, tenta di ignorarli per paura. Quevedo lo aveva posto in rilievo nei Sueños. Nel Sueño del Infierno egli riconduce l'uomo a considerare concretamente la presenza della morte, che è misura di tutte le cose: «¿A qué volvéis los ojos que no os acuerde de la muerte? Vuestro vestido que se gasta, la casa que se cae, el muro que se envejece, y hasta el sueño cada día os acuerda de la muerte, retratándola en sí»110.

Sor Juana eredita da Quevedo questa chiara coscienza della morte, esempio ammonitore per l'uomo, che non deve passare indifferente davanti agli esempi da cui è regolata e dimensionata la sua statura. Di qui il richiamo insistente del terzo sonetto del trittico per il Veraguas:

Detén el paso, caminante, Advierte...


in cui è già sospesa e incombente la lezione della morte.

Il ritmo profondo di questo verso si diffonde con suoni cupi su tutto il sonetto. Le pause, gli accenti pensosi, l'improvviso trattenere il passeggero, l'efficace sospensione del richiamo «advierte», tutto crea un clima che si avvicina visibilmente a quello suscitato da Quevedo nel noto sonetto che inizia con i versi:


Ya formidable y espantoso suena
dentro del corazón el postrer día;111



Certo l'accostamento tra il sonetto di Sor Juana e il sonetto di Quevedo non può andare oltre quanto accennato. In Quevedo c'è un più diretto e profondo significato autobiografico. Tuttavia è interessante avvertire, nel sonetto sorjuanino, il progredire di un'atmosfera che si concreta, negli ultimi versi, in termini gravidi di significato di morte: le pietre, la «losa», il marmo, l'«Aquí yace» dell'iscrizione, cui fa contrasto l'«Aquí vive», retoricamente impresso nei cuori.

In tutto il sonetto si respira un'atmosfera tombale pienamente espressa, un clima funebre che richiama con insistenza i migliori sonetti di Quevedo sullo stesso motivo, in particolare, per il tema intrinseco e anche per vaghi punti diretti di contatto, il sonetto famoso in morte del duca di Osuna, appunto per la celebrazione che Sor Juana fa delle eroiche imprese del vicerè e della sua sopravvivenza sulla morte, nel ricordo.

Il culto barocco del tema della morte si concreta, così, nella poesia della suora, in un clima che per la sua severità e solennità suscita il non meno severo e solenne ricordo dei Panteon reali, più che la cupa lezione, già malata, dei raccapriccianti quadri di Valdés Leal.

A succedere al duca di Veraguas nella carica di vicerè della Nuova Spagna fu chiamato il vescovo don Fray Payo Enríquez de Ribera, della casa dei duchi di Alcalá. Egli governò dal 1673 al 1680 e sappiamo che fu uno dei più influenti amici di Sor Juana, alla cui protezione, con ogni probabilità, si deve se i nemici della suora non riuscirono a trionfare su di lei, condannandola ancor prima al silenzio definitivo e forse anche dandola in mano all'Inquisizione. E' spiegabile, perciò, che Sor Juana si rivolga in più occasioni, nella sua poesia, al vescovo, con espressioni che denotano speciale affetto, chiamandolo «amado Prelado mío»112, «Cándido Pastor sagrado»113. Ha inizio con queste composizioni la sua poesia più intima, quella dell'amicizia, in cui il dato esterno è puro pretesto per l'effusione dei suoi sentimenti. Se Sor Juana era per natura portata, secondo il confessato «natural tan blando»114, a riversare il proprio affetto sul prossimo, è logico che ciò avvenisse nei riguardi di chi le dimostrava comprensione e amicizia.

Qualche commentatore della poesia sorjuanina ha avanzato il sospetto di servilismo nei riguardi della suora, appunto per le composizioni che essa scrisse a personaggi così in vista nel suo mondo. Si sarebbe trattato di un tentativo di accattivarsene la protezione. L'accusa appare, però, completamente destituita di fondamento. Il verso di Sor Juana, infatti, anche nella retoricità inevitabile di alcuni passaggi, è essenzialmente espressione di un sentimento sincero, corrisposto. Inoltre, e ciò mi sembra determinante, salvo le poche occasioni esaminate, la suora rivolge la propria poesia agli amici solo dopo che si è stabilita profondamente con essi una reciproca e durevole vincolazione spirituale. Prova efficace di questo è il Neptuno Alegórico, per l'entrata in Messico del vicerè conte di Paredes, paragonato alle numerose composizioni indirizzate più tardi allo stesso personaggio e alla sua famiglia. Nel primo, nonostante il significato artistico di determinati passaggi, non vi è ombra di partecipazione diretta, appare freddo di palpiti umani; nelle liriche successive, invece, si coglie tutto l'empito d'affetto della suora verso le persone divenute amiche, alla cui vita partecipa intensamente. Ciò spiega la vibrazione sentimentale che permea tutte le composizioni dirette da Sor Juana ai Paredes. Nel suo mondo essi costituiscono quella che il Chávez ha definito esattamente la sua famiglia ideale115. In questa atmosfera di affetto e di stima di cui la famiglia vicereale la circonda, la suora sembra muoversi a proprio agio, ritrovare la gioia di vivere, che si esprime ancora una volta in dedizione, in partecipazione trepida a ogni fatto che riguardi le persone care.

La parte della poesia sorjuanina diretta ai Paredes ha un valore sostanziale di sincerità e di freschezza. Amado Nervo ha scritto che la viceregina, soprattutto, era destinata a una grande e purissima amicizia con Sor Juana116. Una mutua comprensione tra le due donne è attestata da molte liriche della suora. E' all'ombra di questa amicizia che la monaca trascorre gli anni migliori della sua vita conventuale. Lo attesta la calma, la serenità che traspare da questo settore della sua poesia. Qui Sor Juana raggiunge una pienezza espressiva che si costruisce tanto sulla semplicità quanto sull'esuberanza barocca, intorno a un motivo centrale d'affetto, che si esprime in una infinità di argomenti minimi, non certo volgari per la loro piccolezza materiale, poichè li nobilita il sentimento.

Ogni occasione, ogni fatto della vita dei Paredes è motivo di canto per la suora. Ora si tratta di un compleanno, o della visita del vicerè al convento, ora del compleanno dell'amica, o della nascita del figlio, oppure di doni ricevuti, cui la suora risponde, grata, con piccoli presenti. Sempre da un motivo apparentemente futile o esterno, Sor Juana è portata a esprimere accenti più profondi, tali che lungi dal risultare stucchevoli o falsi danno alla sua poesia un tono serio e pensoso, che la riscatta dalla apparente banalità del dato di partenza. Senza contare la bellezza di numerosi passaggi, in cui la poetessa si mostra artista consumata, nell'intento di suscitare un'atmosfera raccolta, depurata di elementi troppo umani, pervenendo spesso a una semplicità che è difficile conquista.

I cultismi, i termini latini e liturgici, nell'uso poetico dei quali Sor Juana eccelle, sono impiegati, a tale proposito, senza che la loro presenza appaia esterna, fusi invece perfettamente nell'onda melodica del verso. Il gioco del concetto, dell'esempio, del paragone, appare spogliato della sua esteriorità, diviene fonte immediata di poesia.

Quando il vicerè compie gli anni, ad esempio, non avendo altro da dargli, perchè il «dar los años» è solo privilegio di Dio, la suora gli offre, in un delicato romance117, tutte le ore canoniche della sua vita conventuale. Dimostrazione di umiltà verso Dio e di dedizione nei riguardi della persona amica, valida anche come intima confessione di vita sinceramente religiosa.

Di maggior valore, artisticamente, è il romance scritto a motivo della presenza del vicerè in convento, in occasione dei Vespri118. Poichè la suora non lo ha potuto salutare, ciò è pretesto sufficiente perchè consumi la notte a comporre versi, onde esprimere alla persona amica il proprio rammarico. Il romance vibra, così, del sincero sentimento della monaca. Ma ciò che maggiormente va sottolineato nella composizione citata è la riuscita creazione di una raccolta atmosfera notturna, in cui si manifesta completo il trepido affetto di Sor Juana. La luce fioca alla quale essa scrive è resa con valori pittorici perfettamente realizzati, come in un quadro fiammingo, in versi che, allo stesso modo della pittura, concentrano la fioca luce della lampada intorno alla suora che scrive. Il ricorso a termini latini e liturgici completa l'atmosfera di religioso raccoglimento. In essa non suona stonata l'espressione d'affetto della suora, tanto più che si manifesta in una essenziale serietà di toni morali, ai quali il clima raccolto del romance inevitabilmente conduceva. Infatti, eliminando stucchevoli elucubrazioni, Sor Juana esprime una piana filosofia morale, incitando l'amico a una vita «discreta», nella quale solamente sta il suo vero Valore. Possiamo trovare in questi accenti sorjuanini una nuova eco di Quevedo, precisamente del passo in cui, nel Sueño de El Alguacil endemoniado, lo scrittore vuol ricondurre l'uomo al vero significato del tempo e della vita: «¿Cuál de vosotros sabe estimar el tiempo y poner precio al día, sabiendo que todo lo que pasó lo tiene la muerte en su poder, y gobierna lo presente y aguarda todo lo por venir, como todos ellos119.

Con toni meno da oltretomba, ma parimenti efficaci, Sor Juana avverte che vive realmente solo colui che sa apprezzare il valore della vita. La quale non consiste «en lo diuturno del tiempo», ma in più alti fini:


   Quien vive por vivir sólo,
sin buscar más altos fines,
de lo viviente se precia,
de lo racional se exime;
   y aun de la vida no goza:
pues si bien llega a advertirse,
el que vive lo que sabe,
solo sabe lo que vive.



Sono note di moralismo sereno, divenuto ragione di vita, rivelatore, nella mancanza di ombre cupe, di uno spirito che ha trovato il suo equilibrio.

La poesia di Sor Juana agli amici non è solo avvertimenti morali. Più frequentemente è motivo di semplice effusione, dimostrazione d'affetto, che arriva a volte alla deificazione delle persone cui si rivolge. Seguendo la moda poetica del tempo i nomi vengono sostituiti da altri convenzionali. La contessa di Paredes diviene Lysi, qualcosa di divino, cui la suora contrappone la propria umiltà, al fine di meglio esaltarne la dignità e la bellezza. Lo si vede nel romance con cui accompagna alla amica, regalo allegorico, alcuni pesci e uccelli, in occasione della Pasqua120. In altra occasione, la contessa è quella «clara María», immagine di luce, verso la quale erompe l'affetto della suora121. L'enfasi che traspare dai versi di queste composizioni, le quali iniziano con i ritmi propri della poesia d'amore, è giustificata dalla portata affettiva che nell'intimo mondo sorjuanino aveva assunto la contessa. A lei Sor Juana dedica uno dei romances più famosi, in cui il suo spirito barocco si esalta nella celebrazione della bellezza singolare dell'amica.

Le cronache del tempo attestano la straordinaria avvenenza della dama. Sor Juana ne fu senza dubbio colpita; ma l'eccellenza degli attributi formali non sarebbe stata imprescindibile ai fini dell'idealizzazione che la suora ne fa. Ciò che influiva sulla sua sensibilità, quindi sulla espressione artistica, era la vincolazione spirituale stabilitasi. A questo stato d'animo, in cui si fondono affetto, ammirazione e gratitudine, si deve lo spirito del romance in cui Pinta la proporción hermosa dell'amica, in eleganti sdruccioli122. Allorchè Sor Juana scrive il romance la contessa di Paredes era già tornata in Spagna; a lei la suora invia la composizione. La forma stessa del romance rivela preoccupazioni esterne nell'autrice, ma dall'interno la muove un sentimento sincero, acuito dal ricordo e dal dolore di un'assenza che sa definitiva.

La partenza dei Paredes da Messico dovette aprire un vuoto incolmabile nella vita della suora. In tal senso si spiega e si legittima l'accento con cui Sor Juana canta l'amica, pervenendo a una concreta deificazione della sua figura.

La critica ha riconosciuto unanime il valore del romance, che è apparso al Valbuena uno dei più delicati raggiungimenti nell'ordine della bellezza sensuale, in cui, d'altra parte, c'è dell'ampolloso e del decorativo123. Altri ne ha notato i risultati «deliciosos», la «donosura particular»124, mentre Gerardo Diego, scegliendolo per l' Antología poética en honor de Góngora, ha affermato che questa lirica risplende di «sabrosos hallazgos», in versi luminosi e decorativi, in un «ascensional alarde de tornada arquitectura»125. Neppure il Cossío ha nascosto la sua ammirazione; tuttavia egli afferma che in esso non si tratta che di un ricalco, rasentante il plagio, di una composizione poetica di Agustín de Salazar y Torres, cioè del Retrato que escribió a una dama126. Ma il giudizio del critico spagnolo non è esatto. Tranne che per i superficiali punti di contatto, per alcune immagini retoriche, comuni del resto a tanti poeti spagnoli e messicani, Sor Juana non può essere tacciata di plagio, tanto diversa è l'atmosfera e superiore il valore artistico. Lo stesso Cossío lo ammette, in sostanza, quando scrive che l'abbozzo di Salazar «queda a gran distancia del retrato de la Condesa de Paredes»127.

Nel romance, scaturito da un clima di rimpianto128, l'oggetto amato, la contessa, viene divinizzato, in un processo che, partendo da una realtà nobilitata come dettaglio, perviene a un'architettura complessa, animata da un movimento ascendente. Forme e colori convergono alla creazione di una bellezza unica e potentemente plastica. Ogni particolare è sapientemente sfruttato dalla poetessa al fine di un risultato luminoso e alto. Essa va scolpendo la figura dell'amica tra scorci di luce, lampi di levigata bellezza, di forme perfette, in una profusione di ornato che ben ricorda l'esuberanza caratteristica delle chiese barocco-indie messicane. Il verso teso, costruito su endecasillabi inizianti con una sdrucciola, comunica alla composizione un andamento solenne ed entusiasta in cui i cultismi intervengono sempre come sventagliate di luce.

Precisamente il ricorso ai cultismi, alle metafore accese, alle immagini, fonte di luce e di colore, dà alla descrizione della contessa un che di plasticamente compiuto e unico. La poesia di Sor Juana in questo romance è quanto di più vicino, nei risultati, alla scultura policroma; essa perviene, servendosi di forme e di colori, alla creazione di un alto esempio di bellezza femminile, tra l'umano e il divino.

La pompa ornamentale si accentua attraverso le allusioni mitologiche. Il barocco sorjuanino mostra, tuttavia, una costante levità di forme anche nei momenti più accesi, attraverso un trepidare di luci che danno alla poesia carattere di estrema delicatezza. Nella lirica alla Paredes già i primi versi dischiudono un panorama in cui la forma umana è nobilitata dalla natura e assurge a categorie celesti. Infatti solo il sole e le stelle possono esserne efficaci descrittori:


   Lámina sirva el Cielo al retrato,
Lísida, de tu angélica forma;
cálamos forme el Sol de sus luces,
sílabas las Estrellas compongan.



Inizia quindi la descrizione degli elementi singoli di tanta bellezza, incominciando dai capelli, aurei, «carcere dei cuori» e loro perdizione. La nota intensa di colore è ottenuta per mezzo di due richiami esotici: le regioni di Tíbar e di Ofir, note nell'antichità per abbondanza d'oro. I capelli diventano, quindi, nuovi «Ofires» e «Tíbares», prigioni piacevoli. La fronte, nivea, è paragonata alla luna in tutto il suo splendore. Gli occhi sono rappresentati nella loro forza di offesa e nella bellezza senza pari. Con misurata sensualità Sor Juana passa poi ad alludere a quelle parti del corpo dell'amica che non può nominare, ma che comprende nel «cúmulo de primores». E' però nei versi finali, quando ci saremmo attesi, dopo tanti particolari isolati, una bellezza inanimata, fredda statua perfetta, che il tutto si anima di una vibrazione di vita e di profumo; mentre ancora una volta la suora protesta la propria indegnità di fronte all'amica, pervenendo al risultato di accentuarne l'unicità:


   Plátano, tu gentil estatura,
flámula es que a los aires trémula;
ágiles movimientos que esparcen
bálsamo de fragantes aromas.



Nella partecipazione sincera alla vita degli amici Sor Juana non aveva, in precedenza, disdegnato argomenti meno alti. Una numerosa serie di liriche ci mostra la sincerità dell'attaccamento della suora. Da un semplice motivo sorge spesso un'atmosfera di vera poesia. In particolare amplia il mondo affettivo sorjuanino la nascita ai Paredes dell'erede, da molto tempo desiderato. Nella sensibilità della suora il piccolo diventa figlio suo, appunto per la trepidazione con cui ne ha seguito il processo della nascita e vissuto le pene della madre. Questi sentimenti Sor Juana li esprime in un romance che compone in occasione del battesimo del piccino129, interessante anche per un passaggio che ha fatto pensare a una sua espressione di nazionalismo ribelle130. Mi riferisco ai versi in cui l'aquila messicana viene incitata a tendere «l'imperial volo»:


   Levante América ufana
la coronada cabeza,
y el Águila mejicana
el imperial vuelo tienda,
    pues ya en su Alcázar Real
donde yace la grandeza
de gentiles Moctezuma
nacen católicos Cerdas.



I versi riportati, tuttavia, non attestano altro che un cosciente orgoglio in Sor Juana di appartenere al mondo messicano, orgoglio che nella sua opera si esprime in più occasioni, ma in cui è vano cercare atteggiamenti ribelli, molto più facili da trovare invece nella peruanità affermata dall'Inca Garcilaso. Il ricordo dei Moctezuma e dell'Aquila messicana è, per la suora, mezzo illustre cui ricorre per dignificare maggiormente i Cerdas, ossia i conti di Paredes, eredi cattolici, quali vicerè del Messico, oltre che della grandezza regale ispanica, dell'antica grandezza imperiale azteca, al cui fascino Sor Juana non sfugge.

Il sentimento di Sor Juana trova sfogo in varie composizioni che rivolge al piccolo Paredes, particolarmente nel romance in occasione del suo primo compleanno131, dove la tenerezza sorjuanina potrebbe indurre a vedere addirittura, nel canto, la espressione di una pena personale, un senso di maternità frustrata. Senonchè la vincolazione affettiva della suora con le persone dei Paredes spiega sufficientemente tale partecipazione. Sor Juana pone in drammatico rilievo le pene da lei sofferte nell'attesa della nascita di questo figlio dei conti suoi amici:


   todo era cúmulo en mí
de dolor, siendo mi pecho
de tan dolorosas líneas
el atormentado centro.



Nel dilagare del barocco mitologico-religioso di cui è valido esempio il romance, il tono raccolto di questo passaggio mette in evidenza la sincerità della partecipazione sorjuanina. Ma questo porre in rilievo le proprie pene, ha anche un motivo più diretto, ed è la richiesta d'indulto per un condannato alla pena capitale132. Il processo digniflcatore del piccolo Paredes, condotto innanzi dalla poetessa in una profusione di allusioni mitologiche e sacre, si conclude in un tentativo abilmente propiziatorio, in cui è anche una profonda nota morale:


   Muerte puede dar cualquiera;
vida, sólo puede hacerlo
Dios: luego sólo con darla
podéis a Dios pareceros.



Ritengo inutile fantasticare, a proposito di questi versi, se Sor Juana scrivendoli albergava o meno in sè idee contrarie alla pena di morte, al diritto della giustizia umana a recidere una vita, nel senso di un preannuncio di teorie moderne. Senza dubbio era un sentimento di pietà a dettarli e il desiderio che il sangue di un giustiziato non intervenissse a turbare cosi fausta ricorrenza133.

Ho già alluso alle molte composizioni che accompagnavano i frequenti scambi di doni tra la suora e gli amici. Diverse di esse meritano rilievo, ora per una nota morale, ora per l'intrinseca bellezza. E' il caso del romance con cui la suora accompagna l'invio al piccino dei Paredes di un «andador de madera»134; l'oggetto diventa simbolo di una augurata dirittura morale, poichè deve insegnare al bambino


a estar en pie, y estar alto,
que es lo que siempre ha de ser.



In altra occasione i versi accompagnano un anello, in cui Sor Juana ha ritratto la contessa di Paredes135, o un «retablillo de marfil del Nacimiento»136, che regala all'amica, oppure una commedia137, o anche semplici castagne spinose138, perchè «donde sobran rosas / no pueden faltar espinas».

Tra le numerose composizioni del genere merita particolare rilievo una décima con cui la suora accompagna il regalo di una rosa139, una delle sue cose più fresche e delicate. Si tratta di un raffinato smalto, dai colori primaverili. Il fiore, qui, non ha la consueta funzione di lezione intorno alla vita; è solo esempio di grazia, di bellezza. La rosa è qualcosa di estremamente fragrante e delicato, una finissima porcellana iridata, e la sua grazia risalta ancor più nell'attesa lezione morale che non compare:


Esa, que alegre y ufana,
de carmín fragante esmero,
del tiempo al ardor primero
se encendió, llama de grana,
preludio de la mañana,
del rosicler más ufano,
es primicia del Verano,
Lysi divina, que en fe
de que la debió a tu pie
la sacrifica a tu mano.



In altre occasioni il regalo di una rosa va accompagnato da décimas più concettose140. La rosa diviene «concepto florido», insegnamento fecondo, quintessenza di bellezza e di fragranza, per concludere che tutto svanisce al paragone con la bocca e gli occhi della donna cui è inviata:


pues en tu boca se roza
cuando en tus ojos se estrella.



Merito dei conti di Paredes fu di essere stati gli ispiratori di così profondo sentimento in Sor Juana, cui si deve parte tanto importante della sua opera. I loro successori non riuscirono a colmare il vuoto da essi lasciato nell'anima della suora. Anche lontani, come si è visto, Sor Juana continua a cantarli. I nuovi venuti non sollecitano che occasionalmente la sua vena.

Questo vale per il conte della Monclova, successo al Paredes nel 1686. Egli, anzi, non trova eco alcuna nella poesia di Sor Juana. Ma il tempo diluisce i ricordi, sfuma le nostalgie, e le amarezze inducono a nuove amicizie, se non a nuovi affetti.

Nel novembre 1688 arriva in Messico il nuovo vicerè, don Gaspar de Sandóval Cerda Silva y Mendoza, conte di Galve, accompagnato dalla moglie, doña Elvira de Toledo. La nuova viceregina manifesta presto simpatia e ammirazione per Sor Juana, che la ricambia grata. Si inaugura così un nuovo momento di serenità nella poesia della, suora, breve per durata, in cui più che affetto si nota, tuttavia, deferenza, spirito cortigiano. Non si dimentichi, a questo proposito, che la crisi definitiva di Sor Juana è prossima. Nel 1692, infatti, la suora cessa definitivamente di scrivere.

Alla nuova viceregina la poetessa dedica alcuni romances, celebrandone la bellezza141, o accompagnando piccoli scambi di doni142.

I versi di Sor Juana appaiono, però, sempre esterni, testimonianza di abilità di mestiere, apprezzabile, ma non tale da rivelare particolari qualità artistiche. Sensibile alle attenzioni che i Galve le dimostravano, Sor Juana dovette sentirsi obbligata a esprimere loro la propria gratitudine attraverso l'unico mezzo idoneo a sua disposizione, la poesia. Ma le sue liriche si costruiscono su concetti alambiccati, in un barocchismo non di rado scadente, vuoto. Valga per tutti il romance in cui celebra «en ecos» la bellezza della contessa di Galve. Qui il barocco sorjuanino si trasforma in orpello, talvolta scintillante per valori cromatici, ma superficiale e vuoto.

Eppure, non appena qualche reale emozione scuote la suora, la sua vena torna al vigore antico, dando frutti validi. E' il caso della silva dedicata al conte di Galve, in occasione della vittoria navale sui francesi, riportata dalla flotta di Barlovento il 21 gennaio 1691143.

Nell'Epinicio gratulatorio al Conde de Galve possiamo criticare la mancanza di proporzioni nello svolgimento del tema; infatti, su 142 versi quasi un centinaio sono spesi da Sor Juana in una sorta di introduzione al canto dell'impresa e della fama del vicerè, cui va la gloria del felice esito della battaglia. I meriti concreti del Galve sono, alla fine, puramente allusi e la impresa è semplicemente menzionata. Si ha così solo l'impressione di un ampio e vigoroso avvio, cui manchi un adeguato svolgimento. Tuttavia per apprezzare il valore della silva occorre considerare tutta una serie di raggiungimenti artistici, nell'ordine di un personale barocco sorjuanino. In primo luogo l'avvio della composizione, l'efficacia con cui la formula stilistica, caratteristicamente gongorina, ci introduce in un'atmosfera epica pienamente realizzata, mentre la poetessa protesta la sua inadeguata possibilità di canto alla grandezza del tema:


   No cabal relación, indicio breve
sí, de tus glorias, Silva esclarecido,
será el débil sonido
de rauca voz, que a tus acciones debe
cuantos sonoros bebe
de Hipocrene en la fuente numerosa
alientos soberanos,
que el influjo reciben de tus manos144.



La mitologia è richiamata in una serie di allusioni misurate. Cultismi, latinismi, sono sparsi per tutta la silva, con risultati di sicura efficacia nella creazione di una tesa atmosfera poetica.

Le presenze gongorine entrano quali elementi nobilitanti di un momento di alta ispirazione. Gli accostamenti di colore sono sempre netti. Particolare valore vi hanno talune immagini, ad esempio quella in cui la suora raffigura nel fulmine, che scaturisce improvviso dalla nube, l'impeto irresistibile che la muove al canto:


   Así preñada, congojada
de la carga pesada,
de térreas condensada exhalaciones,
sudando en densas lluvias la agonía
-víbora de vapores espantosa,
cuyo silbo es el trueno
que al cielo descompone la armonía-,
pavoroso ceño
que concibió la máquina fogosa
(que ya imitó después la tiranía
en ardiente fatal artillería),
rasga, y el hijo aborta, luminoso,
que en su vientre aun no cupo vaporoso145.



Nel passaggio citato si può cogliere il valore degli incisi, ma soprattutto l'abilità con cui Sor Juana rappresenta l'ombra, le cose gravide di presenze funeste, cui contrastano meglio improvvise immagini di luce in rapido movimento. La pesantezza di ciò che è oscuro, cupo, rivela sempre incombente minaccia, e questa è posta in maggior risalto da un'improvvisa e dinamica immagine di luce, che ha anche un effetto concreto di sollievo.

Soprattutto efficaci sono, nella silva, alcuni termini che suggeriscono sensazioni musicali, come «clarines», o la «sonora lira», la «trompa vocinglera». E ancora l'uso dell'allusione, non solo mitologica o sacra, ma piegata a digniflcare e rendere accettabili nella poesia elementi che in sè non sarebbero poetici. E' il caso della data della vittoria celebrata. Sor Juana la rende attraverso una elaborata perifrasi allusiva. Il giorno, cioè,


-que cuarto fue del mes en que la llama
ardiente de la Esfera
antes de tornos veinte
en el León rugiente
de ardor nuevo encendido, reverbera-146



Molti dei procedimenti accennati hanno in seguito più efficace sviluppo nel Primero Sueño. Ma anche nell'Epinicio è importante la loro presenza.

La poesia cosiddetta di circostanza, di Sor Juana, presenta, quindi, momenti alterni di valore intrinseco. Il suo significato artistico si afferma soprattutto là dove risponde a un sentimento sincero della suora, che può essere il senso profondo della morte, o quello dell'amicizia, o anche un avvenimento decisivo nella storia del suo mondo.




ArribaAbajoCapitolo Quinto

Il tema filosofico-morale


La filosofia e gli intendimenti morali di Sor Juana sono presenti un po' dovunque nella sua opera lirica, e fuori di essa. Tuttavia esiste una serie di composizioni in cui il tema filosoficomorale viene trattato più scopertamente dalla suora, con una partecipazione sincera, riflesso della situazione spirituale e materiale in cui si svolgeva la sua vita.

Naturalmente sarebbe vano pretendere di costruire un sistema della filosofia sorjuanina, poichè questo non esiste. La sua filosofia non ha pretese, trae le sue origini da un'esperienza diretta di vita e dalle letture in cui trova confronto, i Padri della chiesa, i poeti preferiti, soprattutto Quevedo.

Nei trittici funebri e in altri passaggi della poesia precedentemente esaminata sono apparsi stretti punti di contatto con il grande moralista del Siglo de Oro, e più note di una filosofia morale di natura spicciola, ma non di scarso valore, perchè resa viva dalla diretta partecipazione della suora. Questo vale soprattutto per quelle composizioni che più trattano il tema filosofico-morale. Si può concedere, a questo proposito, col Pemán, che la parte più significativa della filosofia sorjuanina appartenga, come egli afferma, a schemi prefabbricati, quelli del senechismo ispanico, presente in ogni autore peninsulare del tempo, ma non che essa non riveli spesso alcun palpito interiore sincero147. Sor Juana aderisce agli schemi del senechismo solo perchè lo sente vivo e operante in sè.

I temi della filosofia morale di Sor Juana non sono vasti. Essi si riducono a una visione intimamente delusa della vita, nella contemplazione della realtà, di cui le si scopre l'inganno. Ogni cosa, quindi, viene ridimensionata, vista in funzione di un'altra realtà, quella ultraterrena, l'unica che dovrebbe guidare la nostra condotta sulla terra. Di qui gli incitamenti della suora a una moralità essenziale di vita e il tormento che lei stessa esperimenta nel perseguirla, in acuta tensione, nelle vicende della sua esistenza.

Un senso deluso delle cose terrene permea, del resto, tutta l'opera sorjuanina. Un'intima amarezza entra a dar vita interiore ai temi correnti, con note scopertamente autobiografiche. E' il caso del sonetto in cui lamenta la persecuzione del mondo148. La poesia sorge da palesi esperienze personali di dolore, la persecuzione sopportata a causa del proprio ingegno, e Sor Juana difende la legittimità e la purezza del suo intendimento. Allo stesso modo che nella Respuesta a Sor Filotea149, la suora afferma, qui, la legittimità del suo fine, che consiste unicamente nell'arricchimento dell'intelletto, non nella perdita di esso nella superbia. Appunto per questa nobiltà e purezza di intenzioni le appare inesplicabile l'avversione che il mondo le dimostra.

Nella prima quartina del sonetto è viva quésta atmosfera drammatica, che sfocia poi nel senso disilluso della vita, nel disprezzo per le cose, apparenze menzognere dietro le quali corre l'uomo, la bellezza, la ricchezza, maschere di una realtà falsa in cui sterilmente si consuma l'esistenza:


   Yo no quiero tesoros ni riquezas;
y así, siempre me causa más contento
poner riquezas en mi entendimiento,
que no mi entendimiento en las riquezas.
   Yo no estimo hermosura que, vencida,
es despojo civil de las edades,
ni riqueza me agrada, fementida,
    teniendo por mejor, en mis verdades,
consumir vanidades de la vida,
que consumir la vida en vanidades.



Dal punto di vista dei raggiungimenti artistici è da notare nel sonetto l'efficacia delle contrapposizioni, che si costruiscono sull'inversione dei termini, procedimento che si ripete negli ultimi due versi di ogni strofa a meglio dar risalto, appunto nel contrasto, alla dirittura morale delle intenzioni della suora. Efficace è l'accento posto sulla vanità della bellezza, e della ricchezza, questa «fementida», la prima «despojo civil de las edades». Quest'ultimo verso è particolarmente significativo, non solo nel senso di una totale disillusione di Sor Juana, ma anche quale documento di un'intima amarezza, nel vedersi al centro della attenzione del mondo, quando ne coglie così profondamente la inconsistenza.

Le considerazioni intorno alla propria condizione di perseguitata e incompresa sono al centro di altre composizioni poetiche sorjuanine. Tra queste il sonetto in cui la suora si lamenta degli applausi tributati alla sua abilità150. Si tratta di un documento vivo d'amarezza. Per Sor Juana l'ingegno diviene causa di tormento:


   ¿Tan grande, ¡ay Hado!, mi delito ha sido
que, por castigo de él, o por tormento,
no basta el que adelanta el pensamiento,
sino el que le previenes al oído?



In questi versi è avvertibile, oltre alla denuncia di una condizione umana combattuta, la preoccupazione che investe la sostanza dell'attività intellettuale della suora, considerata dal punto di vista morale.

Già ho alluso al disorientamento di Sor Juana di fronte agli applausi del mondo. Da tale applauso sorgono in lei situazioni intime di dubbio lacerante riguardo al valore, ma più ancora alla bontà morale della propria opera. E' in questa situazione spirituale che Sor Juana sente più profonda la propria infelicità. Essa la esprime in modo trasparente nella lunga composizione in cui Acusa la hidropesía de mucha ciencia151. L'allusione a una concreta infelicità personale è evidente fin dai primi versi:


Finjamos que soy feliz,
triste pensamiento, un rato;
quizá podréis persuadirme,
aunque yo sé lo contrario.



In Sor Juana sorge un bisogno di pace, che la induce a invidiare colui che, «Mortamente sabio», trova «de lo que padece / en lo que ignora sagrado». La suora sa che «también es vicio el saber». Ma soprattutto la sua limitazione le appare chiara nella brevità della vita. Di fronte a ciò l'orgoglio si svuota, l'ambizione rivela la sua gelida inconsistenza:


¿Qué loca ambición nos lleva,
de nosotros olvidados?
Si es para vivir tan poco,
¿de qué sirve saber tanto?



Si sono visti in questa composizione i punti di contatto che essa presenta con talune liriche di Lope. Ma la sincerità di Sor Juana appare indiscutibile, conoscendo le vicende della sua vita. Cosciente che ogni cosa è apparenza ingannevole, essa sente sempre più forte il richiamo a una serietà di vita interiore, in cui sta l'esatta misura dell'uomo. Si può affermare che questo ha nella suora il valore di un raggiunto equilibrio, contro il quale nulla possono le lusinghe del mondo. Lo si vede nei versi di uno dei suoi sonetti di maggior valore, scritto a proposito di un ritratto in cui il pittore l'aveva rappresentata artificiosamente giovane152. Sor Juana coglie, senza illusioni, la realtà che l'artificio pretende di nascondere, la falsa primavera, che è vana speranza, maschera di un «decrépito verdor».

La serietà del sonetto risalta attraverso il riuscito contrasto di colori, il verde, la speranza, e la cupa nota del «desengaño», accentuata da pause sconsolate, ottenute attraverso bimembrazioni di suggestivo valore ritmico:


   Verde embeleso de la vida humana,
loca esperanza, frenesí dorado,
sueño de los despiertos intrincado,
como de sueños de tesoros vana;
   alma del mundo, senectud lozana,
decrépito verdor imaginado,
el hoy de los dichosos esperado
y de los desdichados el mañana.



La condizione di Sor Juana è qui, quella della creatura «desengañada», non abbattuta e vinta, che ha superato l'episodicità umana del rimpianto. La visione del mondo, cui la suora è pervenuta attraverso una graduale depurazione di sentimenti, esperienza e sofferenza, l'avvicina sempre più intimamente a Dio e all'eterno. Ma sul tema del «desengaño» Sor Juana insiste, ricorrendo anch'essa, sull'esempio di Góngora e di tanti altri poeti del tempo, al simbolo di vita illusoriamente piena e di rapida e improvvisa morte, rappresentato dalla rosa.

Nel fiore sta il simbolo della caducità delle cose, soprattutto della bellezza. La rosa è «divina» nella sua grazia, ma proprio per tale grazia più efficace è l'immagine che si conclude col suo sfiorire.

Nel sonetto En que da moral censura a una rosa y con ella a sus semejantes153, il verso scorre lento, suggestivo nel ritmo. Il cultismo sintattico che lo inizia, seguito da metafore di vivi valori cromatici, conclude efficacemente su una prima rappresentazione di morte già alla fine della seconda quartina. L'immagine della rosa sorge splendida, arricchendosi di note di colore, dimostrazione vigorosa di vita e di bellezza, cui fa stridente contrasto il decadimento. Intorno, le esperienze umane interpretano in modo tangibile l'insegnamento del fiore, «en cuyo ser unió naturaleza / la cuna alegre y triste sepultura».

Il crescendo delle quartine sfocia in segni premonitori di tragedia, insiti nell'essere medesimo del fiore, allo stesso modo che nella vita umana. La fine del sonetto precipita verso il «desengaño» più cupo:


   ¡Cuán altiva, en tu pompa, presumida,
soberbia, el riesgo de morir desdeñas,
y luego desmayada y encogida
   de tu caduco ser das mustias señas,
con que con docta muerte y necia vida
viviendo engañas y muriendo enseñas!



Le contrapposizioni finali parallele, «docta muerte» - «necia vida», «viviendo engañas - «muriendo enseñas», completano efficacemente il clima filosofico del sonetto, in cui si alternano note di luce, «magisterio purpúreo», «enseñanza nevada».

Ancora mi sembra opportuno insistere sull'ultimo verso della seconda quartina, «la cuna alegre y triste sepultura», per il valore intrinseco che esso ha, quale momento massimo di un'atmosfera di severa riflessione, e per i suggestivi richiami letterari sul lettore, che lo rimandano a Quevedo, soprattutto, non fosse che per superficiali reminiscenze.

Si noti anche il valore pittorico dell'aggettivazione sorjuanina, che si esprime in note di luce e d'ombra di profondo effetto, come in «cuna alegre» e «triste sepultura». Inoltre, la severità delle immagini suscitate dal verso «la cuna alegre y triste sepultura», il suo suono cupo, si proiettano su «docta muerte y necia vida» del penultimo verso, come per logico richiamo. Lungo tutta la composizione si hanno, così, coppie di elementi che approfondiscono di verso in verso il significato morale del sonetto, con un passaggio graduale da un piano sensibile, «cuna alegre» e «triste sepultura», a un piano filosofico morale, «docta muerte», «necia vida», «viviendo engañas», «muriendo enseñas».

Il fatto di aver colto la sostanza vera della vita attraverso la morte, non induce però Sor Juana al rifiuto di quanto la vita ha di positivo. La sua è una visione svuotata di illusioni, ma l'equilibrio della suora trova nelle cose un loro valore intrinseco, che neppure la morte può distruggere: la bontà del loro uso. Non meraviglia, quindi, se in un successivo sonetto154 Sor Juana incita a vivere senza timore il corso della giovinezza. Nulla, infatti, può annullare il valore di quanto è stato vissuto positivamente. Nella coscienza di una bontà essenziale di vita la morte perde le sue apparenze terrificanti, diventa riscatto dalla transitorietà del tempo. La natura femminile di Sor Juana si esprime anche in questo, nell'orrore che manifesta per la vecchiezza. La morte diventa riscatto anche da essa. Si spiegano efficacemente, in tal senso, i versi finali del sonetto composto intorno a questo argomento:


   Y aunque llega la muerte presurosa
y tu fragante vida se te aleja
no sientas el morir tan bella y moza;
    mira que la experiencia te aconseja
que es fortuna morirte siendo hermosa
y no ver los ultrajes de ser vieja.



Con un senso così fermo e conquistato della realtà si comprende come Sor Juana possa vedere serenamente riflessa in sè la vanità scoperta delle cose. Di nuovo è un ritratto a dargliene motivo155. La pittura la rappresenta «con falsos silogismos de colores», è un «engaño colorido» in cui l'arte, con tutti i suoi accorgimenti, ha voluto, mossa dal desiderio di allettare, superare gli orrori degli anni, «triunfar de la vejez y del olvido».

L'iperbato con cui il sonetto inizia sollecita, direi con violenza, la nostra attenzione a volgersi a queir «engaño colorido»: «Este que ves, engaño colorido». L'atmosfera del sonetto è già nettamente determinata da questo solo verso. Nei versi successivi Sor Juana ribadisce il concetto dell'inganno, rappresentato dal quadro, introducendo elementi cupi: la vecchiaia, l'oblio, i rigori del tempo, gli orrori degli anni.

Attraverso un processo di successive esemplificazioni concrete, la suora intende pervenire, nel sonetto, alla rivelazione ultima della vanità della menzogna, che si rivolge solo ai sensi. Se alla fine della prima quartina la poetessa aveva detto che il quadro era un «cauteloso engaño del sentido», nelle terzine finali è un succedersi, un precipitare di definizioni che mirano a scoprire l'inganno, a volte espresse in delicate immagini. Il quadro, perciò,


   es un vano artificio del cuidado;
es una flor al viento delicada;
es un resguardo inútil para el hado;
    es una necia diligencia errada;
es un afán caduco, y, bien mirado,
es cadáver, es polvo, es sombra, es nada.



L'ultimo verso del sonetto corona e conclude il processo di definizione della sostanza unica della vita, in una dissoluzione progressiva, dalla realtà alla mancanza assoluta di realtà, in cui si conquista, però, la realtà vera, unica. Tutto è cadavere, polvere, ombra, nulla. In questo verso, così teso e vivo nella successione delle immagini che vanno svuotandosi di corposità, è rappresentata efficacemente la rapidità stessa della dissoluzione umana. In essa sta l'affermazione più alta dell'unica vera vita, di cui quella terrena non è che apparenza.

Nell'ambito della poesia filosofico-morale di Sor Juana ritengo giustificato considerare anche il Primero Sueño, per il suo significato intrinseco. Questa silva, di 975 versi, fu composta probabilmente verso il 1690156, ed è l'unica cosa che la suora scrisse, come essa stessa dice nella Respuesta a Sor Filotea, per volontà propria e personale diletto157. E' sufficiente questo «papelillo», così Sor Juana definì il poema158, a darle meritata fama di sommo poeta, nonostante la dichiarata imitazione delle Soledades di Góngora159.

Questa dichiarazione di imitazione gongorina ha nuociuto più di ogni altra cosa, nel mutare del gusto e nel disfavore del barocco, a una serena considerazione dell'opera, quindi alle vicende dalla sua fama. Il Menéndez y Pelayo, s'è visto, rivalutando parte della poesia della suora giudicava il Primero Sueño «más inaccesible que su modelo»160, e per molto tempo la condanna dell'autorevole critico doveva pesare sulla valutazione del poema. Del resto, ancora in epoche molto recenti, nonostante le numerose rivalutazioni della critica più qualificata, non manca chi non esita a definire il Primero Sueño, in termine di spregio, «sonoro y gongorino», e a dichiarare che quest'opera non sarebbe stata sufficiente a salvare del tutto la suora alla gloria161. Definire gongorino il poema non è scoprire qualcosa di rivelatore. Sor Juana lo ha chiaramente denunciato. E neppure significa trovare un motivo sufficiente a giustificare il dispregio. L'esame del Primero Sueño non deve arrestarsi a considerazioni affrettate, su posizioni critiche superate. Oggi il giudizio positivo sul poema si fonda proprio sulla sua perfezione gongorina, sulla nota originale che Sor Juana è riuscita a dare all'aspetto tecnico assimilato così perfettamente da Góngora, e sul significato che esso ha.

La maggior parte dei critici moderni ha colto esattamente la bellezza del Primero Sueño. Il Vossler ha giudicato il poema opera di forza viva, pienamente realizzata162, mentre più recentemente il Méndez Plancarte affermava che la grandezza del poema è solo paragonabile alla Muerte sin fin di José Gorostiza, o al Cimetière Marin di Paul Valéry, e che esso costituisce la più autentica emulazione delle Soledades nella loro aristocrazia verbale163. Ma esattamente ha scritto Alfonso Reyes che i suoni e le luci dell'estetica gongorina non sono altro in Sor Juana che mezzi espressivi, i quali non si fermano all'esteriorità del fenomeno, ma piuttosto divengono «catacresis para evocar algún objeto sin nombre». Nel Sueño il Reyes trova che l'intelligenza di Sor Juana ha usato gli strumenti della cultura più quintessenziata, al fine di dar forma alle sue larve vegetative e intuitive; così che ci troviamo di fronte a una poesia di pura emozione intellettuale, in cui vengono a fondersi intimamente la descrizione artistica e la mitologia, l'erudizione e la storia, la scienza e la filosofia, nella pretesa dell'artista di incorporare nella continuità animica la parentesi della notte, di integrare il sognatore nella marcia dell'universo: ansia di comprendere tutto il cosmo, che tuttavia non trova in sè soluzione possibile, così che unico rifugio resta la teologia164.

Il Díez-Canedo, tra i molti critici che hanno giudicato positivamente il Primero Sueño165, trova che in esso non vi è imitazione, ma solo «imbuición» dei concetti che presiedevano alla poesia di Góngora. Il poema rappresenta per lui il più splendido tramonto del sole gongorino, fattosi improvvisamente grande nella raffinatezza dell'espressione, che lascia assoluta libertà di movimento al poeta. In tal modo l'opera diventa la poesia maggiore di Sor Juana166. Allo stesso modo il Paz scrive che nel Sueño, pur senza mai allontanarsi dallo stile gongorino, la poetessa va oltre il suo deliberato modello, supera i limiti di una scuola, costruendo il suo poema della conoscenza167. L'osservazione mi sembra centri pienamente il significato dei Primero Sueño. Nel contenuto barocco della sua poesia Sor Juana introduce tutti gli elementi che caratterizzano la sua inquietudine intellettuale e spirituale, pervenendo a un'atmosfera di lirismo intenso, anche nei passi più dichiaratamente con pretese scientifiche o filosofiche. E' quindi giustificato che la distinzione tra il Sueño sorjuanino e le Soledades avvenga, come fa il Paz, facendo leva su questa diversa sostanza tra i due poemi. E' su tale carattere intrinseco che il Sueño afferma la sua originalità in senso più ampio, nell'ambito di tutta la poesia dell'epoca barocca.

Sempre sulla via della distinzione del Primero Sueño dalle Soledades i giudizi formulati dalla critica sono numerosi. Il Picón Salas nota che nel tema della solitudine esiste in Sor Juana una concreta autonomia nei confronti del poeta spagnolo. Góngora, infatti, costruisce la sua «soledad» sullo sfondo di un paesaggio mitologico, mentre la suora messicana rinuncia, in certo modo, alla gioiosa compagnia della natura per trasformare tutto in assoluta solitudine concettuale. Quando Sor Juana vuol riposare o «jugar», non cerca la natura, nè il vero diletto verbale, la parola come pennellata, allò stile di Góngora, ma si immerge in simboli ed astrazioni, creando un congelato mondo logico, orgogliosa corazza logica e metafisica dietro la quale nasconde «un tremendo drama de represión y desengaño»168.

L'osservazione del Picón Salas costruisce il dramma sorjuanino in dimensione interna nella sua poesia. Anche il Castro insiste sul contenuto drammatico dell'opera della suora, che altro non è che il riflesso del profondo dramma della sua vita169. In questo modo, ed esattamente, il Primero Sueño acquista agli occhi della critica moderna un significato che era sfuggito a gran parte della critica precedente. Non si tratta, infatti, solamente di un documento delle eccezionali disposizioni artistiche di Sor Juana nell'ambito formale, ma di una concreta presenza del suo dramma personale. Il Vossler aveva già visto nel poema un preannuncio della poesia dell'Aufklärung, un'atmosfera prometeica e faustica170. Ma con esattezza il Duràn ha insistito recentemente, in modo concreto, sul dramma intellettuale di Sor Juana nell'ambito dell'anti-intellettualismo ispanico del suo secolo171

E' questa presenza drammatica, di un dramma intellettuale direttamente sofferto, che rende vivo e più che mai attuale il Primero Sueño. Insistere su differenziazioni e misure di grandezza nei confronti delle Soledades mi sembra improduttivo, tanto più che appare in tutta evidenza ir debito sorjuanino nei confronti di Góngora. Non è improduttivo, però, mettere in rilievo l'originalità del Sueño. Góngora è stato, più che mai, in questo poema, il maestro di Sor Juana, il modello illustre cui essa si è ispirata. La sintassi sorjuanina è la copia esatta, con apporti propri di sensibilità, di scelta autonoma di mezzi espressivi, della sintassi di Góngora. Il Primero Sueño acquista forma e valore in particolare attraverso un uso intensificato delle formule stitilistiche gongorine, delle metafore, degli iperbati, degli incisi, attraverso la selezione di un vocabolario che, pur partendo da Góngora, è personale. Sono da porre in rilievo nel Sueño gli efficaci cromatismi, l'atmosfera raffinata, la profusione di una mitologia che non è solo ornamento esteriore, ma rivelazione di un senso drammatico che domina costantemente la suora. Mitologia pagana e storia sacra si intersecano e fondono, fino a dare al Sueño quel suo particolare sapore liturgico, un tono serio, preoccupato, che svuota completamente ogni possibile accusa di sonorità e di verbalismo. A tale tono contribuisce la serie delle figurazioni lugubri, che Sor Juana introduce con esiti notevoli ad animare l'atmosfera notturna, gravida di possibilità cupe, in cui vanamente l'intelletto tenta la sua avventura, tra segni premonitori di fallimento e di morte.

In questo sta l'originalità del Primero Sueño, la sua autonomia dalle Soledades. Il Paz ha osservato, a questo proposito, che nelle Soledades non importa la sostanza nè la trama, perchè tutto è pretesto a digressioni e a descrizioni che danno vita a una poesia di puro godimento estetico; mentre in Sor Juana il procedimento gorigorino è mezzo per affrontare un tema filosofico, per penetrare la realtà, non per tramutarla in deliziosa superficie. Così che le oscurità del Sueño sono di due categorie, sintattico-mitologiche e concettuali172.

Nel Primero Sueño Sor Juana esprime ancora una volta sinceramente, attraverso uno sforzo intellettuale e stilistico non comune la complessità del suo carattere. Il poema si costruisce su figurazioni surreali, spazia nella libera serie delle astrazioni, crea paesaggi sublunari, cromatismi delicati, tonalità cupe o erompenti bagliori, portando innanzi, di pari passo, un discontinuo processo intellettuale. La sete di conoscenza assume nel Sueño significati di dramma, precisamente nell'impossibilità del coronamento, già dato di partenza del vano movimento. Di qui la suggestione profonda del poema, accentuata dal succedersi delle inversioni, delle metafore, delle più ardite caratteristiche del linguaggio gongorino. In particolare sorprende e trascina il ritmo penetrante della fantasia cerebrale del sonno, il lento svolgersi di un sottile vaneggiamento che, partendo dalla notte e dall'invasione del silenzio, in cui cessa ogni movimento della natura e dell'uomo, si estende a un moto più riposto, quello degli organi che presiedono alle funzioni vitali dell'organismo, il cuore lo stomaco, i polmoni. Il risveglio del mondo coincide con il sorgere del sole e la sconfitta delle tenebre, che invano hanno tentato di resistere all'invasione della luce. Nel risveglio l'uomo -e Sor Juana stessa, s'intende-, percepisce la vastità della sconfitta, nella frustrazione del tentativo di penetrare gli «imposibles». La fantasia del «sueño» conta, com'è noto, lunga tradizione nella letteratura anteriore a Sor Juana, in quella classica e in quella ispanica. Senza dubbio, però, l'esempio più vicino alla suora è dato, più che da La vida es sueño di Calderón, dai Sueños di Quevedo. Ma la novità del Primero Sueño sorjuanino si impone, al disopra di ogni punto d'incontro con opere precedenti, appunto per il carattere filosofico-scientifico, di cui non appare esempio nella storia letteraria anteriore a Sor Juana. E' stato questo carattere a far pensare, per alcuni passaggi, a un possibile cartesianesimo della suora, alla sua conoscenza di Harvey e, per la cosmografia, a una conoscenza diretta e a una adesione al sistema di Copernico. Tuttavia, nessuna di queste supposizioni trova conferma a un esame del poema sorjuanino. La suora non si allontana dalla teologia e dalla concezione tolemaica, anche se, come scrive il Carilla173, possiamo supporre liberamente che essa conoscesse le teorie copernicane, alle quali, sia per l'educazione ricevuta, sia per la condizione religiosa, dovette preferire Tolomeo.

Il Vossler ha scritto che alla lettura del Primero Sueño il lettore rimane così preso dal suo tessuto meraviglioso che, ora procedendo, ora retrocedendo in quel labirinto, si sente privato di ogni capacità di movimento, e di tutto non conserva che un mucchietto di cenere174. In realtà, alla lettura del poema, permane soprattutto un'impressione viva di luce e di colore, anche se il fallimento del tentativo di conoscenza riduce al nulla la pretesa dell'intelletto. Giunti alla fine del Sueño, nel lettore resta intatta una serie di impressioni, di complicate immagini accavallantisi, di cui a fatica, talvolta, sa rendersi ragione. Il gioco della fantasia sorjuanina si impadronisce profondamente di chi legge e riesce a far superare anche quei momenti in cui il significato del poema è più oscuro e complicato, per ricorsi scientifici, filosofici o mitologici. Un'atmosfera di poesia, o quanto meno di interesse, permane sempre anche in tali passaggi, quelli, ad esempio, che si presentano a prima vista meno poetici il funzionamento del cuore nell'uomo, la fabbricazione degli «spiriti vitali», il lavorio dello stomaco, «científica oficina, / próvida de los miembros despensera». Si tratta di motivi inconsueti nella poesia, ma che nel Sueño riescono a pervenire a un'atmosfera poetica.

Nel poema sorjuanino, tuttavia, esiste anche qualcosa di più direttamente accessibile alla nostra sensibilità, di più poeticamente valido. Si tratta delle straordinarie figurazioni dell'avanzare della notte e, verso la fine del Sueño, dell'avvicinarsi dell'alba, col pieno trionfo della luce. Qui vediamo per la prima volta delinearsi nella poesia sorjuanina il paesaggio. Ma questo paesaggio non presenta contatti concreti con la natura, fondato com'è su figurazioni surreali, che agiscono profondamente sulla sensibilità del lettore e sulla sua fantasia. L'immagine della notte sorge da una massa nebulosa senza contorni, accentuata nella sua evidenza cupa da tutta una serie di aggettivi. Il poema si apre con questa immagine oscura della notte in pieno movimento ascendente:


Piramidal, funesta, de la tierra
nacida sombra, al Cielo encaminaba
de vanos obeliscos punta altiva,
escalar pretendiendo las Estrellas;175



In questi versi si percepisce sensibilmente il formarsi e il crescere della massa enorme d'ombra. Vita e movimento le comunica l'allusione esotica alle piramidi e agli obelischi, mentre l'aggettivo «funesta» empie di minaccia la massa oscura che ascende e, come gli obelischi e le piramidi, tenta di scalare il cielo. L'invasione della notte è resa plasticamente da quell'allusione alla «punta altiva», stolta nella sua ambizione. Già si presente, qui, per analogia,, il vano tentativo dell'intelligenza di penetrare l'impossibile.

Nei versi che seguono, il paesaggio, i cui elementi concreti sono solo la menzione della terra e del cielo, si completa di nuovi elementi dalle tinte contrastanti: la luna, dea tre volte bella nella sua triplice fase, e una serie di presenze notturne dal lugubre significato, che Sor Juana eredita dalla mitologia, da Góngora in particolare, ma che sente direttamente, nella loro essenza tormentosa, per lontane radici aborigeni: la «avergonzada Nictímene», la civetta, che beve l'olio dalle lampade votive, i pipistrelli, il gufo, infine Arpocrate che col dito sulle labbra intima a tutto l'universo il silenzio,


el silencio intimando a los vivientes,
uno y otro sellando labio oscuro
con indicante dedo,
Harpócrates, la noche, silencioso;176



Costruito il paesaggio sublunare Sor Juana si volge, quindi, a descrivere il silenzio del mondo, reso sensibile da una totale sordità di suono:


El viento sosegado, el can dormido,
éste yace, aquél quedo
los átomos no mueve,
con el susurro hacer temiendo leve,
aunque poco, sacrílego ruido,
violador del silencio sosegado.
[...]
El sueño todo, en fin, lo poseía;
todo, en fin, el silencio lo ocupaba:177



In questa sordità del mondo vi è qualche cosa di greve, quasi aspettativa di accadimenti improvvisi. Infatti, nel silenzio che permea le cose inizia il lavorio lento degli organi vitali e il volo ardito dell'intelletto, che pretende di forzare i segreti cosmici.

Al silenzio sorjuanino, a questa atmosfera opaca, sorda, resa con così profonda aderenza, deve essersi ispirato Xavier Villaurrutia, che della suora fu ammiratore e studioso178, per la composizione del Nocturno eterno, in cui regna «el silencio del silencio»179.

Sor Juana, infatti, in una serie di notazioni minuziose, in cui ci mostra le cose e gli animali cadere nel silenzio, intende concretamente dare al lettore l'impressione di quel «silenzio del silenzio», così efficacemente espresso poi dal Villaurrutia.

Nel corpo umano l'attività degli organi vitali, su cui insiste con compiacimento la suora, alimenta la fantasia, quindi il vaneggiare del sogno. Nel poema sorjuanino la descrizione di questo vaneggiare si svolge per più strofe, fino alla somma confusione dell'intelletto, «sirtes tocando / de imposibles, en cuantos intentaba / rumbos seguir...». Dopo la delusione finale, in cui l'intelletto affonda nell'impossibilità della conoscenza, assistiamo al risveglio graduale delle membra, al ridestarsi dei sensi. Qui la poesia di Sor Juana torna ad acquistare ritmo e colore, sfociando nella rappresentazione dell'apoteosi solare. Il risveglio, infatti, coincide con l'avvicinarsi del «padre de la luz ardiente». Ma prima, con una nota di estrema delicatezza, è Venere che annunzia il mattino:


Pero de Venus, antes, el hermoso
apacible lucero
rompió el albor primero180



Vinta la dura battaglia con le tenebre si apre luminoso il giorno. In questa rappresentazione si ha ancora una prova del vigore drammatico di Sor Juana. Essa rende con dinamicità viva, con colori intensi e sapienti sfumature, la lotta tra le tenebre e la luce, la sconfitta irrimediabile della notte. Il poema si chiude con il trionfo del sole, in un dilagare di luce, rappresentazione abbagliante che riassume in sè concretamente, in sintesi perfetta, l'esotismo indigeno, il personale barocchismo sorjuanino e in esso lo sfarzo formale e coloristico ereditato da Góngora:


Llegó, en efecto, el Sol cerrando el giro
que esculpió de oro sobre azul zafiro:
de mil multiplicados
mil veces puntos, flujos mil dorados
-líneas, digo, de luz clara- salían
de su circunferencia luminosa,
pautando al Cielo la cerúlea plana;
y a la que antes fue tirana
de su imperio, atropadas embestían:
que sin concierto huyendo presurosa
-en sus mismos horrores tropezando-
su sombra iba pisando,
y llegar al Ocaso pretendía
con el (sin orden ya) desbaratado
ejército de sombras, acosado
de la luz que al alcance la seguía.
Consiguió, al fin, la vista del Ocaso
el fugitivo paso,
y -en su mismo despeño recobrada
esforzando el aliento en la ruïna-
en la mitad del globo que ha dejado
el Sol desamparada,
segunda vez rebelde determina
mirarse coronada,
mientras nuestro Hemisferio la dorada
ilustraba del Sol madeja hermosa,
que con luz judiciosa
de orden distributivo, repartiendo
a las cosas visibles sus colores
iba, y restituyendo
entera a los sentidos exteriores
su operación, quedando a luz más cierta
el Mundo iluminado, y yo despierta.181



Il poema della solitudine sorjuanina si conclude in questa immagine di luce, con un brusco richiamo alla realtà e alla limitatezza dell'uomo. Ancora una volta si manifesta all'artista l'effimero, fi transitorio della vita umana, l'impossibilità di attingere l'intima essenza, la ragione ultima delle cose, in un tormento lacerante d'infinito, caratteristico non solo di Sor Juana, ma di tutta, in sostanza, l'età barocca.

Alla suora il mondo si presenta, in definitiva, essenzialmente come problema di impossibile chiarificazione umana. Questa impossibilità Sor Juana la sente in modo intensamente e sinceramente, drammatico. Il Primero Sueño riflette concretamente in tal senso la sostanza del dramma sorjuanino della conoscenza, non solo, ma quello stesso del mondo messicano, e non unicamente del tempo di Juana Inés de la Cruz. A ragione, quindi, il Reyes, trattando del Sueño, lo definiva «nuestras Soledades»182. Evidentemente, dicendo questo, egli considerava soprattutto l'aspetto problematico del poema, in particolare il problema della solitudine, caratteristico dell'anima messicana, che si riaffaccia costantemente nelle maggiori espressioni della sua letteratura, non solo dai tempi di Sor Juana, ma fin dai tempi della letteratura aborigene.

Di fronte al problema del mondo la suora confessa la propria disarmata solitudine e in essa si ritrae e si annulla, avendo sempre più presente l'unica realtà, l'inesorabile misura, la morte, attraverso la quale il limite è superato, non risolto, come viene superata non risolta la solitudine.

Nel dramma della solitudine intellettuale sorjuanina, quale si esprime nel Primero Sueño, trova concreti riflessi il dramma dell'esistere messicano, che tanto ha tormentato e tormenta la intellettualità di questo paese, soprattutto nel nostro tempo. Il Paz, nel già ricordato libro El laberinto de la soledad, ce ne ha dato un esempio stimolante. Questo spiega come i punti di contatto tra il Sueño e la poesia moderna del Messico si presentino diretti e frequenti, soprattutto in quei poeti che lo Xirau ha definito esattamente della solitudine, vale a dire José Gorostiza, Xavier Villaurrutia, lo stesso Octavio Paz183. Il dramma della solitudine rivive, infatti, in Muerte sin fin di Gorostiza, dove si ripete il dramma della rinuncia, il naufragio desolato dell'intelligenza, già espresso da Sor Juana. Nel poema di Gorostiza l'intelligenza è «páramo de espejos», «soledad en llamas / que lo consume todo hasta el silencio»184. L'impotenza creativa dell'intelligenza, «que todo lo concibe sin crearlo», è concepita dal poeta come


helada emanación de rosas pétreas
en la cumbre de un tiempo paralítico:
pulso sellado;



Nel suo poema Gorostiza sembra dar voce in forma concreta e drammatica al fallimento che già fu di Sor Juana nel Primero Sueño. Non meno di lui Villaurrutia vive nella sua poesia il dramma della solitudine e dell'impossibile superamento del limite. La realtà gli si presenta come cosa dubbiosa. Tutto è inconcreto, instabile, di fronte agli sforzi dell'intelligenza. Il dubbio giunge fino alla sua stessa esistenza, ed è dubbio «de ser o no ser realidad»185. In tal modo il senso di solitudine si accentua. Per Villaurrutia essa è esperienza di vuoto, isolamento totale, dominato dall'angoscia, che lo fa più desolato; abbandono assoluto in cui tutto diventa «ombra di parole». Il processo descritto è visibile soprattutto nel Nocturno eterno. Nel dubbio che invade tutte le cose, anche la voce diventa irrealtà, solo ricordo nella gola; la notte è cecità, il grido presenza di una parola antica, opaca e muta, che scaturisce di improvviso:


porque vida silencio piel y boca
y soledad recuerdo cielo y humo
nada son sino sombras de palabras
que nos salen al paso de la noche.186



Nel Primero Sueño Sor Juana attraversa un uguale momento d'angoscia, che non manifesta in voci concrete, ma lascia chiaramente intendere attraverso tutto il poema. Nel proprio tormento la poesia messicana moderna si riallaccia concretamente a quello della lontana precorritrice dell'epoca coloniale. Sor Juana non giunge però alla negazione totale e allo scardinamento irrimediabile che si manifesta nei poeti citati, e neppure al grido disperato di Octavio Paz, il quale in Elegía interrumpida esce in questi versi desolati:


Es un desierto circular el mundo,
el cielo está cerrado y el infierno vacío.187



Tuttavia, il senso della dissoluzione totale che Octavio Paz esprime nella lirica Al polvo,


lo que toca mi mano
en polvo se me vuelve:
las horas inasibles son ceniza,
frutos que se dehacen
si la avidez del tacto
su secreto feliz apenas roza.188



è già presente in Sor Juana. In entrambi i poeti, poi, questo senso della dissoluzione ha una comune radice di origine letteraria, oltre che di esperienza diretta, Francisco de Quevedo. Più concretamente ancora, mi sembra che la presenza del Primero Sueño nell'opera del Paz sia da cogliere nel poema La estación violenta. Qui, tra accesi lucori e cupe ombre, si esprime più assillante nel poeta il problema della vita, la ricerca inappagata del significato dell'uomo sulla terra. A proposito di questo poema il Macri ha parlato di un «dramma cosmogonico della solarità dell'universo e dell'intelletto umano, in cerca del suo destino' e della sua salvezza»189. Anche Sor Juana ne andava in cerca, e ciò che la salva su questa strada è la condizione religiosa, la fede, in definitiva. Altrimenti sarebbe arrivata alle conclusioni di desolazione espresse dal Paz, prima che ne La estación total, in Cuarto de Hotel:


No hay fin, ni paraíso, ni domingo.
No nos espera Dios al fin de la semana.190



Ne La estación total, tuttavia, per certi effetti solari, per determinate immagini che esprimono un senso totale di naufragio, viene spontaneo di rifarci ancora al Sueño sorjuanino. Solo che in Paz la notte che avvolge l'uomo è notte eterna, mentre in Sor Juana esiste un tentato ricupero proprio nella rinuncia. In questo sta il significato maggiore del suo dramma, quindi del Sueño.

La filosofia morale di Sor Juana Inés de la Cruz è resa viva, costantemente, dalla sua diretta partecipazione. Non è qualcosa di esterno, anche se talvolta vi riscontriamo schemi correnti del senechismo, ma ancora una volta essa è qualcosa in cui si riflette intimamente la sua spiritualità, la sua natura tormentata.



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