Dopo il
Canto general
Neruda pubblica Las
uvas y el viento (1954), ma prima appare anonimo un altro
libro nerudiano, Los
versos del Capitán, raccolta di liriche amorose nella
quale non manca la nota politica. I Versos del Capitán segnano una svolta
importante nella vita sentimentale del poeta. L'opera fu pubblicata
dapprima a Napoli, nel 1952, senza che vi figurasse il nome
dell'autore, in tiratura limitata di 44 esemplari per
sottoscrizione, a cura di Paolo Ricci. L'anno seguente, tuttavia,
pur mantenendo l'anonimo la raccolta fu ristampata nella collana
«Contemporánea»
della Editorial Losada di Buenos Aires. Le circostanze in cui il
libro apparve favorirono attacchi ingiustificati e incomprensioni.
Nonostante l'anonimo fu agevole individuarne l'autore, e d'altra
parte la nota editoriale che in successiva edizione presentava
l'opera, affermava che chi aveva scritto quei versi non era in modo
alcuno «un poeta alle prime armi, ma
qualcuno che possiede un'abilità consumata»,
e
aggiungeva: «Nei Versos del Capitán
c'è effettivamente una maturità fuor di dubbio: vibra
in essi una voce possente e delicata, un sentimento amoroso
così genuino che sotto il suo influsso le cose del mondo
risorgono con nuovi colori. Il loro autore sembra essere, non
v'è dubbio, un uomo di lotta e di passione, nel quale il
poetico e il vitale si sommano
armoniosamente»
247.
Si aggiunga il
fatto che Losada era divenuto ormai l'editore ufficiale delle opere
di Neruda e l'enigma era facilmente decifrabile. Né del
resto valeva a difendere l'anonimo la riproduzione, all'inizio del
libro, di una lettera inviata all'editore da tale Rosario de la
Cerda, dall'Avana, in data 3 ottobre 1951, poiché in essa si
parlava di una partecipazione del poeta alla guerra di Spagna dalla
parte repubblicana e alla costante reazione contro l'ingiustizia:
«Aveva la stessa passione che metteva
nei suoi combattimenti, nelle sue lotte contro le ingiustizie. Gli
doleva la sofferenza e la miseria, non solo del suo popolo, ma di
tutti i popoli, tutte le lotte per combatterle erano sue e vi si
dedicava totalmente, con tutta la sua
passione»
248.
Molto più di questi riferimenti valeva, tuttavia, a rivelare nell'anonimo il poeta Pablo Neruda la sostanza dei versi, la delicatezza e la forza a un tempo, la musicalità e la rudezza, le presenze naturali così caratteristiche della sua poesia, le allusioni alla povertà e all'ingiustizia contro cui intendeva lottare, a un paese sventurato che richiedeva la sua mano, alla sua condizione, in tal senso, di soldato, che non poteva dimenticare neppure di fronte all'amore.
Gli avversari di
Neruda attaccarono con particolare livore questo libro, in cui
vollero vedere la decadenza di un poeta che brancolava nel
vuoto249.
Le riserve, in realtà, possono forse valere solo per qualche
momento di più marcata intonazione politica. Anche alcuni
degli estimatori di Neruda hanno ritenuto di ridurre l'importanza
de Los versos del
Capitán, quale opera di scarso rilievo, in quanto
soprattutto d'indole privata. La decisione stessa del poeta di
pubblicare anonimo il libro fu interpretata come rivelatrice della
poca importanza che egli vi attribuiva. La realtà è
ben diversa, e lo si è visto in particolare quando Neruda ha
incluso l'opera nella seconda edizione delle Obras Completas. Ma ancor
più ne danno ragione le parole con cui l'autore ha spiegato
la storia «segreta» del suo libro d'amore. È
noto che la protagonista de Los versos del Capitán è Matilde
Urrutia, poi moglie del poeta, alla quale sono dedicati anche versi
de Las uvas y el
viento e di raccolte successive, prima e dopo i Cien sonetos de amor. Il
loro amore fiorì a Capri, ma Neruda era allora ancora legato
a Delia del Carril e fu per un sentimento di rispetto e di
delicatezza che non volle dare il suo nome alla raccolta. Del resto
il libro, secondo il poeta, si presentava «come un figlio illegittimo che doveva
conquistarsi da sé il mondo»
e quando se lo era
conquistato «non valeva la pena di
legittimarlo»,
benché nel 1962, in occasione della
seconda edizione delle Obras Completas, egli ritenesse giunto il momento
di farlo250.
Neruda allude, nelle parole citate, agli ostacoli e alle
ostilità incontrate dal suo amore per Matilde, quelle stesse
cui si riferirà più scopertamente in Estravagario e che solo la
forza del sentimento riuscirà a vincere.
Da quanto esposto mi sembra chiara l'importanza che Neruda dà a questo libro; gli episodi della sua vita hanno sempre avuto peso determinante nella poesia e in particolare lo ha questo momento in cui, rivendicando il diritto all'intimità, la sua lirica sembra rinnovarsi. Nelle Obras Completas l'inclusione de Los versos del Capitán ha eliminato, necessariamente, la lettera di Rosario de la Cerda; essa valeva a immettere il lettore nello spirito di un amore impetuoso e totale, destinato a colorare di sé definitivamente la vita del poeta.
La raccolta
presenta gruppi di liriche attraverso i quali si ripercorre lo
svolgersi di questo amore: «El
amor», «Las
furias», «Las
vidas», «Oda y
germinaciones», «Epitalamio»,
«La carta en el camino». Il
concetto dell'amore, che Neruda esprime in questi versi, è
di identificazione totale con il creato, soprattutto con la terra.
Il bacio dato alla bocca dell'amata è un bacio dato alla
terra: «e mi chino sulla tua bocca per
baciare la terra»
251.
Nella vita dell'uomo l'amore diviene presenza che tutto
ravviva:
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La donna è intesa come necessario completamento dell'uomo e l'amore è possesso totale253. Nel sorgere del sentimento il poeta vede il compiersi di un destino. Tutti gli elementi, e il legno, simboli persistenti del mondo intimo nerudiano, sembravano recare già impressa la presenza dell'amata254, che ora diviene forza attiva e operante. Sulla donna si versano gli impeti e le nostalgie dell'uomo Neruda. Le presenze ostili non scompaiono: il vento, remoti pericoli di una situazione precaria; ma l'amore esce continuamente vittorioso255. Il poeta celebra allora la bellezza della donna, sublimata dal profumo della primavera256. Vengono quindi il desiderio, l'insoddisfazione, il tormento, la gelosia. Attraverso questi sentimenti la poesia nerudiana ritorna al suo timbro più caratteristico; si percepisce di nuovo l'aroma di selve; si succedono paesaggi suggestivi e selvaggi, che si proiettano sulla vicenda del poeta in dimensioni interiori. Per certi passi sembra di tornare all'ampio afflato del Canto general; ma il verso è agitato, non di rado triste, disperato, dolente. Il desiderio si tramuta in furia, pur nella coscienza che la vita inizia veramente solo a partire da questo momento affettivo257. Ogni presenza della natura conduce Neruda all'amata. Al disopra di tutto ciò che è transitorio si afferma la certezza di un destino felice.
Ma l'amore non fa dimenticare al poeta il suo compito sulla terra. Il capitolo «Las vidas» lo attesta: superati i tormenti d'amore l'amata diviene colei che condividerà il suo destino, la vita dura, la povertà senza temerla, e lo sosterrà nella lotta258. Neruda non si nasconde la difficoltà di comunicarle la grandezza della sua missione: le sue vittorie sono le vittorie di migliaia di uomini che l'amata non può vedere; su di essi egli fonda la propria sicurezza e la sua voce si diffonde per il mondo interpretando quella di tutti gli uomini:
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Per Neruda, quindi, l'amore è una nuova germinazione di vita. Il tempo perduto si ricupera, fiorisce nella purezza ricostruita, e il sentimento resisterà all'usura degli anni e della tristezza260.
La «Carta en el camino» conclude la raccolta con una dichiarazione d'amore imperituro, mentre il poeta si allontana per recarsi a combattere col suo popolo. I versi finali suggellano, nella riaffermata dedizione alla missione di tutta una vita, la promessa, che non sarà mai più infranta:
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Il canzoniere d'amore che Neruda dedicherà a Matilde nei Cien sonetos de amor è già annunciato in tutte le sue note dai Versos del Capitán. La raccolta costituisce, d'altra parte, una nuova dimostrazione delle qualità di tenerezza e di trasparenza della poesia nerudiana.
Ne Las uvas y el viento, libro che Neruda pubblica nel 1954, egli scioglie un inno alla rinnovata primavera dei popoli, concretamente rappresentata dalle democrazie popolari, in Asia e in Europa. Significative sono alcune liriche dedicate alla Polonia, martire e risorta, alla Francia, sempre regione d'intimo richiamo spirituale per il poeta261, e all'Italia, anch'essa presente continuamente nella sensibilità nerudiana quale luogo della trasparenza e dell'amore. Nella raccolta è opportuno porre l'accento soprattutto sul tema della solidarietà umana, della coscienza di una missione, ma anche sul tono drammatico, che non mancherà di accentuarsi, nell'apparente accettazione del nulla:
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Nel 1954 la pubblicazione delle Odas elementales dà alla poesia di Neruda una nuova dimensione. Eugenio Florit ha salutato con entusiasmo l'apparizione della raccolta come rivelazione di un poeta completo, in un libro che ha definito fondamentale e insuperabile nella poesia di lingua spagnola263. A distanza di un anno, tuttavia, Neruda pubblica un'altra raccolta di odi, le Nuevas Odas elementales, e nel 1957 il Tercer libro de las odas. La nuova tonalità e la particolare struttura delle odi erano già presenti in alcune liriche de Las uvas y el viento. Le tre raccolte recano il segno unitario della ricerca di una semplicità espressiva essenziale, nel canto delle cose «minuscole» che circondano l'uomo, sulle quali il suo sguardo si posa senza attenzione, senza avvertirne il valore insostituibile.
In questo momento
della poesia nerudiana l'impegno di semplicità porta
talvolta a un apparente prosaismo, che gli è stato
rimproverato, ma in realtà egli raggiunge continuamente
risultati di valida poesia. Alcune delle odi trattano motivi
personali o polemici, altre cantano temi politici, reagiscono alla
situazione americana. Tra le più valide di questo gruppo
è senza dubbio l'Oda a Guatemala. Tuttavia, la gamma più
vasta delle possibilità poetiche nerudiane si rivela nelle
odi di carattere più intimo. Neruda è, qui, attento a
interpretare l'anima, per così dire, delle cose, scoprendone
l'insospettata poesia. Nei suoi versi le cose si trasformano,
assumono una bellezza e una trasparenza inedite, come la cipolla,
che diviene «anfora luminosa»,
«globo celeste / coppa di platino, / danza immobile / di
anemone niveo»
264
in cui vive la fragranza della terra. Pari trasformazione
esperimentano il carciofo, la castagna, i fiori selvatici del
campo, il fuoco, la notte, gli uccelli cileni, il mormorio delle
onde. I medesimi motivi ricorrono, ma in un continuo rinnovarsi di
immagini, nelle Nuevas odas elementales, dove Neruda canta l'olio,
ancora i fiori, gli sterpi, le stelle, l'oceano, la lucertola, la
luna, gli oggetti più apparentemente materiali che
riguardano l'uomo nella sua intimità più semplice, le
calze, il sapone... Altre odi sono dedicate all'odore della legna,
alla rosa, al mese di settembre, inizio della primavera, al fuoco,
al sole, ai poeti preferiti, dei quali interpreta in modo nuovo il
messaggio, a Rimbaud, a Walt Whitman, a Jorge Manrique, cui fa
rimpiangere di aver cantato la morte, l'eternità
«vuota» invece della «terrestre speranza».
L'adesione ai poeti che sente più intimamente dà alla
poesia di Neruda una nota di particolare trasparenza; è il
caso dell'ode a Manrique, dove il poeta spagnolo del XV secolo
è evocato in finissimi cromatismi, che rendono il
significato assunto dalla sua poesia nella spiritualità
nerudiana:
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La vibrazione spirituale si manifesta anche nel paesaggio, che il poeta risuscita nelle dimensioni animiche proprie della pittura italiana del Rinascimento:
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Non si può dire che nelle odi la poesia di Neruda non si presenti rinnovata. Nel Tercer libro de las odas il poeta canta l'ape, gli albatros, le alghe dell'oceano, il tonno sul mercato -splendida natura morta dai colori intensi-, la bicicletta, la strada, la casa abbandonata, il cucchiaio, il color verde, il limone, la magnolia, la farfalla, la mela, e nuovamente la nostalgia del Cile, le pietre, il sale, il tempo...
Il catalogo dei
temi cantati da Pablo Neruda nelle Odas è certo più vasto, ma
completarlo equivarrebbe qui a trascrivere l'indice dei tre libri
poetici, nei quali si mescolano cose e sentimenti, espressioni di
puro godimento interiore, talvolta di vitalità urente,
talaltra di nostalgia, di malinconia e di tristezza. In questi
libri si ritrovano i motivi d'ordine sentimentale caratteristici
della poesia nerudiana, il ricordo nostalgico del paesaggio cileno,
i miti dell'infanzia, il cui aroma il poeta percepisce di continuo
nell'odore del legno -«l'odore / della
rosa più profonda, / il cuore tagliato della terra, /
qualcosa / che m'invase come un'onda / staccata / dal tempo / e si
perse in me stesso / quando io aprii la porta / della
notte267».
-
le onde, le alghe marine, con la loro lugubre simbologia, la
presenza del mare, il ricorrere della pioggia.
Nel loro insieme le odi si presentano come un terso cristallo appannato non di rado da un velo di malinconia nel ritorno all'infanzia o a temi che implicano tutta la problematica di Neruda. È un modo poetico di vedere le cose, non sempre sereno e gioioso, frequentamente, anzi, attraversato da preoccupazioni metafisiche.
A proposito delle Odas elementales il Cardona Peña ha affermato268 che questo è il libro più sensuale e ottimista del poeta cileno. È vero, sostanzialmente, ma i momenti accorati sono numerosi; valga d'esempio «l'Oda a la soledad», dove Neruda capovolge il tradizionale significato della solitudine come luogo d'incontro di se stessi, interpretandola nel senso di una negazione della vita, come sterilità totale: mentre proclama l'efficacia dell'unione degli uomini sulla terra il poeta ci trasmette il brivido sottile che viene dal manifestato terrore della solitudine. È fuor di dubbio, tuttavia, che il proposito primo nelle Odas è di esprimere un messaggio di speranza. Nell'«Oda a la esperanza»269 le onde marine mormorano sulla costa che «Tutto sarà compiuto»; nell'«Oda a la flor azul»270, tutta luce marina, Neruda canta nel fiore, prodotto misterioso della terra e delle acque, il trionfo della pace irresistibile, dell'infinita purezza sull'ininterrotto combattimento della terra e del mare; nell'«Oda a la noche»271, al disopra dell'oscurità e del canto triste della pioggia, s'impone la fulgida promessa del giorno, seme che erompe dalla notte come un miracolo, per risuscitare le nostre vite.
In questa direzione Neruda canta la luce, la «corolla calda» del cielo, che gli porta ricordi di tranquillità remote272. Il concetto stesso della motte si trasforma, come s'è visto dall'«Oda a don Jorge Manrique». Ma anche in questi versi si percepisce un'angoscia segreta, una condizione desolata: l'eternità «vuota», la speranza «terrestre» rivelano un tormento interiore che si manifesta talvolta anche con maggior chiarezza. Nell'«Oda al olor de la madera»273 è un Neruda non felice, preso dal ricordo dell'infanzia, invaso da un acuto senso di distacco e d'esilio.
Nel Tercer libro de las odas,
soprattutto, è possibile cogliere una nota di accentuata
malinconia. Nell'«Oda a las algas del
Océano», ad esempio, Neruda sembra
tornare agli accenti più cupi di Residencia en la tierra: le alghe
marine sono «luttuosi / guanti /
dell'oceano, / mani / di affogati, / vesti / funerarie»,
«chioma morta»
dell'onda, di cui il poeta si
vorrebbe coprire. Un senso di desolazione permea
l'«Oda a unas flores
amarillas»; qui lo spettacolo del mare non
riesce a vincere l'attrazione esercitata su Neruda da alcuni fiori
gialli della costa, che lo riconducono al memento biblico della
polvere:
|
Novità
formali, novità cromatiche non intaccano la fondamentale
problematica nerudiana. Significativamente nel 1955 egli raccoglie
in un volume, Viajes, il noto Viaje al corazón de Quevedo, dove
scrive: «C'è una sola
infermità che uccide, e questa è la vita. C'è
un solo passo, ed é il cammino verso la morte. C'è
una sola maniera di usura e di sudario, è il passo
trascinatore del tempo che ci conduce. Ci conduce dove? Se nascendo
incominciamo a morire, se ogni giorno ci avvicina a un limite
determinato, se la stessa vita è una tappa patetica della
morte, se il minuto di sbocciare avanza verso la consumazione della
quale l'ora finale è solo culminazione di questo
trascorrere, non integriamo la morte nella nostra quotidiana
esistenza, non siamo parte perpetua della morte, non siamo il
più audace, ciò che ormai uscì dalla morte?
Non è il più mortale, il più vivente per il
suo stesso mistero?»
274.
Le note di questa problematica accompagneranno sempre Neruda fino
ai giorni ultimi, dando alla sua poesia una profondità
d'accenti che la qualifica inconfondibilmente nel tempo.
Ai tre libri delle odi segue Estravagario, pubblicato nel 1958, cui tengon dietro un quarto libro delle odi, Navegaciones y regresos (1959), il canzoniere d'amore per Matilde, Cien sonetos de amor (1960), un poema politico, Canción de gesta (1960), Las piedras de Chile (1961), i Cantos ceremoniales (1961), Plenos poderes (1962), il Memorial de Isla Negra (1964), che rappresentano un periodo di intensa attività creativa in cui Neruda tratta temi intimi e temi politici, si lascia portare dall'urgere della problematica personale, o la nasconde dietro l'ironia e lo scherzo.
Nel nuovo momento
della poesia nerudiana l'importanza di Estravagario è particolare.
Senza rinnegare l'impegno, in questo libro il poeta rivendica come
non mai il posto al cuore, chiede il permesso per nascere
intimamente, nel canto anche di temi che non riguardano
direttamente la sua partecipazione «eroica» alla vita,
ma che fanno parte della sua storia più personale. L'ampio
tono elegiaco, l'emozione del ricordo, l'empito di gratitudine
verso la bontà, già così presenti nel
Canto general
e nelle Odas,
si uniscono qui al canto dell'amore, alla luce del quale si
accentua il panteismo nerudiano e si acuisce il dramma per i troppo
angusti limiti, che non aprono prospettive oltre la terra. Non che
Neruda pervenga a una conclusione d'ordine fideistico, nè
che rifugga dal contatto con la realtà per volgersi a un
mondo tutto metafisico, ma si avverte chiaramente la nota
d'angoscia. La sua poesia, legata ai fondamenti espressi ne
«La gran alegría»,
tratta ancora i grandi temi della fraternità, manifesta con
rinnovata protesta di sincerità un'identificazione totale
con il popolo, sul quale si versa la piena di un sentimento che
scaturisce da un'esperienza diretta di solidarietà, oltre
che di sofferenza: «Il popolo
m'identificò / e mai cessai d'esser
popolo»
275.
Dedicarsi a speculazioni metafisiche avrebbe significato per Neruda evadere in un'arte di segno aristocratico, che perde il contatto vitale col mondo. Ma nulla di più vicino all'uomo e al mondo, in ogni momento, della sua poesia, che dalle Odas elementales a Estravagario appare alla ricerca della semplicità. Difficile raggiungimento, cui peraltro Neruda perviene felicemente.
Nell'edizione originale di Estravagario tale ricerca sembra concretarsi anche nel segno grafico, attraverso illustrazioni di sapore ottocentesco e romantico, che contribuiscono a suscitare un'atmosfera un po' fuori del tempo, tra il raccoglimento e la stravaganza -cui del resto allude anche il titolo della raccolta-, al fine di permettere meglio al poeta di esprimere se stesso, nei contrastanti impulsi che agitano il suo spirito. Estravagario rappresenta, quindi, un documento di esigenze intime, una stagione essenziale per lo svolgimento interiore del poeta, che invece di perdere il contatto con la realtà lo accentua; con una realtà che è parte e specchio della sua situazione spirituale, con la natura, col mare, con la terra, non solamente con l'uomo che lotta e soffre.
«Chiedo
permesso per nascere»276
ha il significato di una domanda di tranquillità, di diritto
a starsene solo con gli elementi che più muovono il suo
animo e che egli concreta in «cinque
radici preferite»:
l'amore «senza fine»;
l'autunno, in cui, specchio del vivere umano nel suo infinito
ritorno, le foglie tornano alla terra; il grave inverno, la
pioggia, la carezza del fuoco; l'estate, pieno, «rotondo come un'anguria»;
e infine,
motivo dominante, l'amore di Matilde Urrutia, la cui presenza vive
nel cuore del poeta.
Il tema
dell'amore, che, come si avverte da alcune liriche di Estravagario,
rappresentò una difficile conquista sulle opposizioni di
coloro che volevano Neruda votato esclusivamente a un ruolo eroico,
è motivo di estrema importanza in questo momento della sua
poesia. Egli non scade, nel canto di questo sentimento, nel
convenzionalismo della poesia amorosa; al contrario, anche in
questo tema porta un accento inedito: l'amore è un
sentimento che in lui accentua l'attaccamento alla sua missione,
riconducendolo a un fortificante contatto con la terra. L'amata
è, per Neruda, come s'è visto anche nei Versos del
Capitán, la terra stessa, ciò da cui tutto ha
origine e a cui tutto ritorna, ricca di voci segrete, come lo
è, appunto, la terra. L'ansia di comunicare con il cosmo, di
costruire qualcosa che superi la materia distrutta dalla morte,
diviene per Neruda un motivo di nuova angoscia. La «terrestre
speranza» che egli aveva cantato nelle Nuevas odas elementales, se
esclude la «vuota eternità» denunciata da Jorge
Manrique277,
non riesce più a essere fine a se stessa. Il poeta ha
bisogno di qualche cosa che permetta alla speranza di sopravvivere
oltre la morte e personalmente egli sembra appagare dapprima questa
esigenza professando una fede disperata nella poesia, attraverso la
quale supera la «destinazione
terrestre»
278;
infatti, se la morte distrugge il poeta in quanto uomo, non
può distruggerne il canto: «allora canterò in
silenzio»
279.
Tuttavia Neruda
sente il bisogno di rinascere concretamente. L'unione con l'amata
sotto la terra gli si presenta raggelante se non va oltre, meglio,
se non rivive nella terra e, attraverso essa, non si proietta nel
cosmo come permanenza. La drammaticità del problema domina
diverse liriche della raccolta. La serie di interrogativi sui quali
si costruisce «Y cuanto
vive?» non risponde a posizioni gratuite, ma
rivela un problema sentito in profondità, che conclude
ancora una volta sul fallimento della conoscenza umana. Forse per
questo limite che accompagna la vita, l'uomo tende a sfuggire alla
morte deificando se stesso. Di qui la necessità di un
«bagno di tomba»: «Di tanto
in tanto e in lontananza / bisogna fare un bagno di
tomba»
280.
La morte, concepita nelle Residenze come viscida
onnipresenza281,
diviene ora la suprema moderatrice. E di nuovo possiamo cogliere in
ciò un punto di contatto con Quevedo: come il poeta spagnolo
andava preparando nella solitudine giorno per giorno il posto alla
sua «compagna inseparabile», secondo l'espressione di
Rafael Alberti, «distendendo le
lenzuola, sprimacciando i cuscini, per dormire alfine, riposare,
distendersi al fine, a fianco della sua unica amica, del suo solo
amore, della sua compagna inseparabile»
282,
in altre direzioni, con conclusioni diverse, Neruda va coltivando
il tema della morte; essa non è più presenza
inquietante, ma realtà che serve all'uomo per contenere
l'orgoglio, senza proporre nè risolvere problemi metafisici.
Ma eludere il problema significa frequentemente, ed è il
caso di Neruda, nascondere un profondo dramma. L'avvertimento che
la morte dà a Quevedo intorno alla fragilità, alla
vanità delle cose umane283,
alla pochezza dell'uomo, riecheggia nei versi di Neruda. Anche per
lui, come per Quevedo -come per Góngora284-
il tempo se ne va puntuale. I giorni sono «piccole e passeggere uve»,
i mesi si
stingono «staccati dal tempo»,
finchè l'uomo cade nel nulla, lasciando vuoto nel mondo il
vestito, l'orgoglio:
|
Gli improvvisi
cambi verbali approfondiscono la dimensione abissale della morte.
L'eternità di Quevedo è sostituita dal tempo, che
annulla l'essere individuale. Il vuoto è più che mai
inquietante; ma vi sono necessità affettive che impongono al
poeta di fuggire il gelo, di costruire qualche cosa di durevole
oltre la morte, fondato non solo sull'eternità della poesia.
In un'altra lirica la morte non è più cadere nel
nulla, ma pervenire a qualche conoscenza; non raggiungere
un'eternità che risponda a versioni confessionali, ma
qualcosa che attutisca il freddo del nulla. La vita dell'uomo,
constata drammaticamente Neruda, si svolge tra una domanda e la
morte; nell'estrema brevità della vita la morte può
immetterci nell'arcano: «... quando il
vento percorrerà / le ossa del tuo teschio / ti
rivelerà tanto enigma, / sussurrandoti la verità /
dove furono le tue orecchie»286.
A questa soluzione
Neruda perviene conoscendo che l'uomo, nonostante i suoi limiti
invalicabili, non si rassegna a non conoscere. Il poeta cerca di
sfuggire al vuoto di una vita che si conclude nella morte
attraverso la ricerca di nuove comunicazioni, in un più
ampio colloquio con la natura, con le cose, con gli animali anche
più umili: il ragno -ora simbolo positivo-, le «Dolci, sonore, roche rane»,
il gatto,
il coniglio, il maiale, che regge sulle tozze zampe l'aurora:
«grugniscono i maiali, e spunta
l'alba»
287.
Dal punto di vista artistico il ricorso a questi elementi di una
sorta di vita inferiore indica un cambiamento sostanziale
d'atteggiamento nel poeta; quanto nelle Residencias sarebbe valso a significare
un inframondo cupo, carico di possibilità negative, viene
ora riabilitato fino a farne il mezzo per una più intima
comunicazione col creato. L'immediatezza e la bellezza di talune
immagini si uniscono a un tono apparentemente scherzoso, che ha
fatto interpretare da taluni critici Estravagario come un libro traboccante
d'umorismo288,
senza cogliere, invece, la reale portata del dramma nerudiano. Al
disopra dell'assillo del tempo, del silenzio del mondo, Neruda
afferma l'ansia di conoscenza, l'angoscia per il vuoto che attende
oltre la vita e che solo la conoscenza potrà quietare.
L'amore, invece di attenuare il problema lo ripropone in termini
più pressanti. Se in nome di questo sentimento il poeta
dichiara di trovarsi «nella dolcezza
vespertina»,
tuttavia, il cuore, stanco per tante cose
che non conosce, prova più la pena per quel «so ogni giorno di meno»
289.
La paura della morte senza aldilà coinvolge l'oggetto
dell'amore290,
ma Neruda vi reagisce rifugiandosi nella terra, dalla quale parte
una nuova vita: «e poiché quasi
son di terra pura / ho cucchiai per
l'infinito»
291.
L'angoscia del problema è superata anche dal ritorno alla
funzione di poeta del popolo; al disopra dell'odio e del male
Neruda torna a cantare la fraternità e l'amore, la
«equinoziale pasticceria», l'avvento inevitabile della
dolcezza292.
I temi cari riprendono il loro posto nella poesia; Neruda torna a
sentire l'attrazione della solitudine e dell'oceano, la nostalgia
della pioggia, il profumo della legna293.
Ciò non impedisce che egli ritorni a sentire anche il freddo
ostile delle cose, del mare, ora distruttore, ora fucina celeste
della solitudine e dell'arena294.
In alcune liriche sembra tornato il clima più cupo delle
Residenze295.
Ma di nuovo ha il sopravvento l'amore per le cose296,
ricordi intimi, legati al passato, il profumo della bontà
incontrata in ogni parte del mondo «come
un cuore suddiviso»
297.
E ancora episodi personali della vita di ogni giorno, permeati di
semplice umanità298.
Il tutto disposto senza un progressivo svolgimento logico, ma in un
coerente disordine, quello stesso che presiede nella realtà
alla vita dell'uomo, di quell'uomo che Neruda è in ogni
momento e che in Estravagario, affermando di non voler lasciare
alcun insegnamento, offre, al contrario, oltre a un testo di alta
poesia, una lezione di umiltà nella continua confessione di
se stesso, del «movimento perpetuo / di
un uomo chiaro e confuso, / di un uomo piovoso e allegro, /
energico e autunnabondo»
299.
La raccolta si qualifica, in tal modo, come uno dei libri di
maggior rilievo della creazione nerudiana.
Dopo Estravagario Neruda ritorna, con Navegaciones y regresos, raccolta pubblicata nel 1959, a un tipo di poesia la cui stagione di maggior rilievo è rappresentata dalle Odas nei tre libri esaminati. Ma anche se il nuovo libro non immette in un clima nuovo, anzi torna a un modo di poesia che Estravagario poteva far pensare in parte superato, il suo rilievo nell'ambito della produzione poetica di Neruda non è da trascurare. Non v'è dubbio che alcune delle odi di Navegaciones y regresos appartengono a un periodo anteriore a Estravagario; ma vi sono nel libro novità che occorre sottolineare sul clima consueto, in particolare la nota coloristica. Un tono riflessivo domina le prime composizioni, in alcune delle quali, come nelle «Oda al ancla», «Oda a las aguas del puerto», «Oda al Barco», «Oda al caballo», «Oda a la cama», «Oda a la campana caída», si possono individuare legami stretti sia con atteggiamenti dei precedenti libri delle Odas, sia naturalmente con Estravagario. La radicale malinconia nerudiana si manifesta in particolare nelle ultime tre odi citate. Del cavallo Neruda fa una creatura triste, nella sua stanchezza rassegnata egli vede riflessa quella dell'uomo. Nell'ode dedicata al letto è simbolizzato l'incontro della morte e della vita, dell'amore e ancora della morte:
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Il senso della
polvere ricompare frequentemente nelle prime liriche della
raccolta, attraverso l'insistenza sul termine «arena».
Nell'«Oda a la campana
caída» Neruda traccia un significativo
parallelo tra l'uomo e la campana; entrambi confluiscono in un
destino di morte: «L'uomo e la campana /
cantarono vittoriosi nell'aria, poi ammutolirono nella
terra».
Nel libro vi
è un dichiarato amore alle cose per l'orma che su di esse
lascia la mano dell'uomo. È il concetto che Neruda aveva
espresso in «Sopra una poesia senza purezza».
L'atmosfera tragica e sempre patetica degli oggetti300
diviene ora nota malinconica nel ricordo di creature perdute nel
tempo. Ma le cose attirano il poeta anche per la loro
vitalità. Lo splendore della natura nei suoi colori
più intensi illumina l'ode «A Luis
Aragon», canto ispirato all'amicizia. La nuova
stagione si manifesta nel ricorrere di valori cromatici inconsueti
alla poesia nerudiana: arancione, rosso, verde, azzurro, nero,
amaranto, neve. L'«Oda a una mañana
del Brasil» è uno dei più
significativi esempi del nuovo colorismo e in questo clima anche il
ricordo dell'Asia si manifesta in colori e profumi inconsueti:
«odore / di sangue e di
gelsomini», «odore / di mare e di gelsomini»;
sulla permanente lezione del tempo301.
Note di colore intense presenta anche l'«Oda
a la sandía»: l'anguria diviene «bandiera / verde, bianca, scarlatta».
Ma la finissima sensibilità del poeta si manifesta
soprattutto nell'«Oda al
piano», dove il verso perde ogni
corposità, per ripetere il miracolo del sorgere della
musica, resa nei termini «argento»,
«luce», «smeraldo». Sta in
queste note la novità di Navegaciones y regresos, libro nel quale
Neruda dichiara la caratteristica «irrimediabile» della
sua poesia302,
sempre nella coscienza di un destino di finitezza che sembra
accettare: «Sì, ruota, ruoteremo,
/ insetto, insetteremo, / sí, fuoco, fuocheremo, / sì
cuore, / lo so, / lo so, / e si sa: / è a vita, è a
morte / questo destino. / Cantando moriremo».
A Navegaciones y regresos
seguono nel 1960 i Cien sonetos de amor303,
libro che è andato acquistando rilievo nel tempo, legato
direttamente a Estravagario, ma in particolare ai Versos del Capitán nel
canto di Matilde. La raccolta non si presenta come un canzoniere
tradizionale. La novità e la modernità di Neruda si
manifestano in ognuna delle sue opere, anche se continui filoni
sentimentali e presenze poetiche intimamente radicate conservano in
ogni momento ai suoi versi quel carattere di abissali masse
sconvolgenti, il salso aroma del mare, madide presenze di boschi e
improvvise tenerezze che sfociano in delicate costruzioni e
immagini ingrevi. Si tratta di sonetti in cui la rima è
ripudiata -salvo nella concettuosità del sonetto LXVI- segno
di rivolta contro il vuoto suono di «argenteria, cristallo e
cannonata»
304
con cui tanti poeti dei tempi passati costruirono le loro rime
d'amore. benché anche in questi sonetti, così liberi
e irregolari, regni una regola metrica, fondata sull'alessandrino e
sull'endecasillabo.
La rivolta di
Neruda va intesa come ricerca di sincerità espressiva,
manifestazione di spontaneità, uniche forme attraverso le
quali egli sente di poter rendere compiutamente la realtà
del sentimento. Per tal modo i sonetti scaturiscono da ciò
che è più elementare e più caro al poeta,
dagli arenili, dalle acque, dalle estensioni verdi e dai boschi,
soprattutto da ciò che più ha rispondenza in lui,
dalla legna. Sono sonetti originati da un sentimento sincero, come
tali «legnamerie d'amore»,
«sonetti di legno»
, nati solo perché la
donna amata diede loro la vita, «piccole
case di quattro tavole»
innalzate perché in esse
vivano gli occhi della donna, che il poeta «adora e canta»
305.
«Sonetti di
legno», talvolta realmente duri e scarni, ruvidi come il
legno, ma sempre permeati di un aroma silvestre che dà
ragione di come questo elemento naturale operi continuamente nel
poeta. Ricordiamo, tra i molti passaggi, quanto Neruda scrive in
«Infancia y poesía»:
«Da allora -cioè dalla prima
fanciullezza- il legno è stato per me, non un'ossessione,
perché non conosco le ossessioni, ma un elemento naturale
della mia vita»
306.
Dal legno viene al poeta un senso nuovo e puro dell'esistenza. Di
qui il significato vitale dei Cien sonetos de amor, poesia germinante in cui si
costruisce l'unicità dell'amata.
Legami con i precedenti libri d'amore nerudiani se ne possono trovare molti, anche con i più lontani Veinte poemas e con El hondero, per certo erotismo, purificato, però, nei Cien sonetos, dalla presenza di una natura ramificantesi capillarmente nelle creature, divenuta unica cosa con esse. Lo si vede, ad esempio, nel sonetto XXVII. Ma soprattutto, proprio per questo accentuato panteismo, il legame più diretto del libro -e non solo perché la protagonista è la stessa donna- è da trovarsi nei Versos del Capitán. Tuttavia nei Cien sonetos regna un'altra atmosfera artistica più sicuramente raggiunta. Pur ripudiando la forma classica del sonetto, Neruda in questo libro costruisce un'opera di rara fattura, di sapore freschissimo e moderna, unica nella poesia, del novecento, in cui l'irregolarità diviene perfezione, il capriccio regola esatta; in cui soprattutto si rifuggono le elucubrazioni intellettualistiche e spersonalizzate e la donna ricupera il ruolo di creatura viva, l'amore, ridiventa un sentimento che opera nel profondo sinceramente e con semplicità.
Donna, innamorato, amore, si confondono nel panteismo nerudiano con i fili dell'erba; ad ogni nome nasce un albero, un fiore; il corpo dell'amata confina direttamente col cielo e con la terra; l'acqua circola come sangue nelle vene; in ogni bacio la natura esala il suo aroma.
La straordinaria bellezza della poesia d'amore nerudiana si manifesta in tutto l'incanto più sottile, diviene freschezza germinativa, in una nota di vasta suggestione. Dalla regione incantata in cui l'amore si legittima nella sua più alta espressione, ridivenendo forma perfetta fusa nella natura, assistiamo, nei Cien sonetos de amor, attraverso le quattro sezioni in cui il libro si articola -«Mañana», «Mediodía», «Tarde», «Noche»- alla simbolica traiettoria di questo sentimento, dal primo trepido manifestarsi alla fioritura meridiana. Ma già la «Sera» insinua sottili malinconie, dolori, spine e di nuovo «la gran pioggia del Sud cade su Isla Negra»307. Queste presenze, tuttavia, non recano danno all'amore; anzi sembrano rinvigorirlo, farlo più intimo, togliendogli quanto aveva di corposo. Il senso di un'improvvisa assenza e della solitudine, rende più viva e necessaria la presenza dell'amata:
|
L'amore «di pena in pena attraversa le sue isole», ma è sempre più «il pane di ogni giorno»309. Per tal modo la «Notte» rappresenta la purificazione più completa dell'amore, una più intima unione spirituale contro l'ostilità delle cose, nella sicurezza di un possesso definitivo310. Il verso acquista levità e trasparenza, si fa quasi sussurro, esprimendosi in lunghe pause che dichiarano la felicità del possesso:
|
Questa condizione
d'amore conduce fatalmente all'idea della morte, che s'introduce
come larva sottile a turbare la gioia. Accenti cupi -che ancora una
volta richiamano la lezione di Quevedo,- si colgono in alcuni degli
ultimi sonetti della raccolta: «L'età ci copre come la pioggerella, /
interminabile e arido è il tempo»
312.
Esiste, tuttavia, in Neruda, una possibilità di ricupero,
nella considerazione della felicità vissuta: «non v'è stagione come quella che
vivemmo»
313;
l'unicità quasi miracolosa di un amore che, come non ebbe
nascita, non può conoscere la morte; solo «come un lungo fiume», «cambia di
terre e di labbra»
314.
Sta in questo la
chiave della raccolta. La malinconia della morte è superata
dalla certezza dell'eternità dell'amore. I corpi torneranno
alla terra, ma rinasceranno in piante, in minerali, saranno erba o
fiori e forse pane. Questo senso di gioioso panteismo è
espresso efficacemente da Neruda attraverso fini note cromatiche e
musicali nell'ultimo sonetto del libro: «In mezzo alla terra io scosterò / gli
smeraldi per scorgerti / e tu starai copiando le spighe / con una
penna d'acqua messaggera»
315.
In questa sicurezza di vita nell'eterno sta non la rassegnazione di
fronte alla morte, ma il superamento finale di ciò che essa
comporta come rinuncia. In tal modo Neruda ha dato nei Cien sonetos un nuovo
significato all'amore, innalzandolo a forza permanente del cosmo.
La morte finisce così per essere un'apertura su un mondo di
riconquistata serenità.
Nel medesimo anno,
1960, Neruda pubblica Canción de gesta, un poemetto di XLII
composizioni, in endecasillabi non rimati, dedicato a Cuba e alla
rivoluzione castrista, nella quale il poeta vede aprirsi un
avvenire diverso per tutta l'America. Il prologo spiega la genesi
del poemetto, dapprima progetto di canto dedicato a denunciare la
situazione di Portorico -soggetto agli Stati Uniti,- quindi
trasformatosi in aperta professione di fede politica negli ideali
della rivoluzione cubana. Neruda torna a proclamarsi «poeta d'utilità
pubblica»
316,
con la stessa sincerità con cui aveva rivendicato il diritto
a vivere intimamente, e porta il suo contributo alla difesa delle
conquiste realizzate da Fidel Castro. Nella Canción egli ritrova i
toni accesi che caratterizzano España en el corazón e certi passi
del Canto
general.
L'invettiva
convive, nel poema, con momenti di intenso lirismo, specie
nell'evocazione degli uccelli dei Caraibi o della condizione negra.
Le figure in cui si concreta la tragedia americana ricevono dura
condanna; i satrapi che resero o che ancora rendono schiavi i paesi
centro-americani vengono bollati a fuoco, soprattutto i Somoza, la
cui abiezione spicca nel contrasto con la figura eroica di Sandino.
Come vermi dell'inferno si muovono i «tristi familiari del dollaro», «i
sanguinosi cannibali caraibici / camuffati da eroici generali: / un
regno di topi spietati, / un'eredità di sputi militari, /
una caverna fetida di violenti, / un fosso di fanghi tropicali, /
una catena oscura di tormenti, / un rosario di pene
capitali»
317.
Il significato simbolico della rivoluzione castrista è
definito, nei versi di «Un minuto cantado para
Sierra Maestra», come inizio di una nuova
stagione per l'America latina: «Aprite
gli occhi, popoli offesi, / in ogni parte c'è Sierra
Maestra»
. Nella composizione che chiude il libro,
«Escrito en el año 2.000», sui ricordi
dell'Asia, sulle ricorrenti presenze degli amici, defunti o
assassinati durante la guerra civile spagnola, Neruda conferma i
segni della «città felice» di cui la rivoluzione
cubana sembra aver posto le basi. La validità della
Canción de
gesta sta in questo messaggio, nella diretta partecipazione
del poeta al miraggio di una prospettiva di riconquistata
libertà, ma soprattutto in accenti inediti di sarcasmo,
d'ironia, di condanna e di disteso lirismo, nell'accento pensoso di
certi passi, dove si erge «la triste
grandezza del tempo»
, la presenza della morte, con la
quevedesca «agricultura
de los huesos»
318.
La novità più appariscente della nuova «canzone
di gesta» è la celebrazione di uno sforzo collettivo,
più che di un eroe, sullo sfondo politico-sociale
continuamente vivo e operante.
Neruda nel 1970
Neruda e Matilde, con la locomotiva di Alberto Tallone, ad Alpignano
Neruda e Matilde nella casa di Isla Negra
Las piedras de Chile,
pubblicato nel 1961, rappresenta una nuova adesione di Neruda alla
sostanza spirituale della patria e un ritorno marcato al clima
riflessivo. Pubblicato in edizione di lusso, il libro reca
interessanti fotografie delle pietre cilene, sorprese in una loro
forma umana, o di animali o d'oggetti. Ma soprattutto le pietre
divengono per il poeta motivo per documentare ancora una volta la
drammaticità della vicenda umana. Egli scrive: «Dovere dei poeti è cantare con i loro
popoli e dare all'uomo: sogno e amore, luce e notte, ragione e
vaneggiamento. Ma non dimentichiamo le pietre! Non dimentichiamo i
taciti castelli, gli irti, rotondi regali del pianeta.
Fortificarono cittadelle, avanzarono a uccidere o a morire,
decorarono l'esistenza senza compromettersi, conservando la loro
misteriosa materia ultraterrena, indipendente ed
eterna»
319.
Presenza dominante nella geografia cilena, la pietra diviene per
Neruda la sostanza stessa della patria. Il significato delle
«portentose presenze» si accentua progressivamente per
Neruda dall'anno in cui comincia a risiedere a Isla Negra. Nella
ininterrotta battaglia tra le pietre e le onde egli coglie un
messaggio che si trasmette attraverso il tempo: «hanno conversato con me in un linguaggio roco e
bagnato, misto di grida marine e di avvertimenti
primordiali»
320.
È questa conversazione, o messaggio, che Neruda intende
interpretare nelle liriche del libro, prevalentemente odi per la
struttura. Il profondo animismo nerudiano trasforma la pietra in
creatura viva. Sullo sfondo dell'oceano le pietre disseminate lungo
la costa gli appaiono testimonianza di tragedie, di aneliti
inappagati, di esseri che, emersi dalle acque e giunti sulla
spiaggia, lì si arrestarono, «sulla riva del tempo e
dell'oceano»
321,
e come naufraghi attesero invano l'aiuto degli uomini della terra,
finchè l'oblio li trasformò in pietre. Ma sulla
spiaggia le pietre appresero il canto, emisero una voce che
continua a esprimersi nel tempo.
La tensione lirica
de Las piedras de
Chile viene dal senso drammatico con cui il poeta interpreta
il destino della pietra. Lo si più osservare in
«Donde cayó el
sediento», ma anche in numerose altre liriche,
nelle quali è sempre viva la problematica nerudiana, che si
accentua nella solitudine e nel silenzio: «io sono la sentinella / di una caserma senza
soldati, / di una gran solitudine piena di
pietre»
322.
È in questo clima che la dimensione del tempo ingigantisce.
La spiritualità del poeta, la sua natura, si affermano in
tre elementi ispiratori: la pietra, l'aria, l'oceano.
L'identificazione col paesaggio fa scaturire sempre la nota
più personale. Il richiamo della pietra è il richiamo
della morte, ma anche dell'eternità:
|
Dopo Las piedras de Chile
Pablo Neruda pubblica due libri di non eccessiva estensione, i
Cantos
ceremoniales, nello stesso anno 1961, e l'anno seguente il
minuscolo Plenos
poderes. Dal punto di vista formale il primo di questi libri
reca qualche novità: Neruda vi include dieci poemi di
inconsueta estensione, in versi di vario metro, con presenza anche
delle strutture proprie delle odi. Plenos Poderes presenta ugualmente una
varietà metrica considerevole, fondata sul verso libero, in
composizioni piuttosto brevi, non dissimili, talvolta, dalle odi. I
Cantos
ceremoniales, come del resto indica il titolo, si
caratterizzano per un accento grave, nella celebrazione di temi che
coinvolgono continuamente l'intimità del poeta nella
evocazione dei personaggi su cui fonda la storia interiore
dell'America indipendente, dell'esperienza spagnola, come
nell'«Elegía de
Cádiz», di regioni riscoperte, come in
«Lautréamont
reconquistado». In apertura di libro, ne
«El sobrino de Occidente»
Neruda denuncia il vuoto che gli giunge ora dai libri e dagli
scrittori preferiti, Pascal, Quevedo, lo stesso Lautréamont,
il cui sapore «di verme» scompare, tuttavia, in
«Lautréamont
reconquistado». Ma i Cantos sono soprattutto un inno al
Cile; di qui il legame con Las piedras de Chile, ma più lontano ancora
col Canto
general, per l'empito del sentimento. Un'unità
costante è mantenuta nelle composizioni della raccolta dal
persistente clima autunnale. I colori della poesia nerudiana si
rinnovano, soprattutto ne «El gran
verano» e nell'«Elegía
de Cádiz», e la metafora si manifesta in
una singolare luminosità. Ma presto il canto ritorna alle
regioni più intime, alla visione drammatica dell'esistenza
cilena, come in «Cataclismos», ricordo del
tragico maggio 1960, in cui il Cile fu sconvolto da spaventosi
terremoti. Anche qui, mostrandosi sostenitore della sua gente,
Neruda ne canta, oltre che il dolore, la fede nella vita, incita
alla ricostruzione della patria, intesa come regione dell'anima:
«fondiamo di nuovo la patria
tremante»
324.
Tuttavia egli è attratto soprattutto dallo spettacolo di
morte; i vulcani tornano a essere dèi terribili, di fronte
ai quali l'uomo appare indifeso, mostra tutta la sua debolezza. La
morte estende su tutti il suo tragico dominio e solo il tempo
rimarginerà le ferite. In «Fin de
fiesta» siamo di nuovo di fronte alla nota
più intima, a una confessione che, più che
manifestazione della complessità del poeta è
tentativo di spiegarsi a se stesso. Tornano le domande intorno al
«Dove andremo?», al «Chi sono?»; e sul
rimpianto per un mondo familiare che permane vivo anche dopo la sua
scomparsa, si afferma la natura tirannica della vita. La morte
ricompare perciò come unica condizionatrice dell'uomo. Ma la
lezione della vita è così profonda che alla fine
Neruda accetta anche la morte con serenità.
I Cantos ceremoniales rappresentano un'ulteriore confessione, ma sui temi consueti si innestano di continuo motivi nuovi, di luce, di musicalità, di sentimento. La nota del poeta civile va unita a quella di una riflessività e di una problematica che costituiscono, come sempre, il dato di maggior interesse della poesia nerudiana.
Il clima dei
Cantos
ceremoniales continua in Plenos poderes. Confessioni, meditazioni,
interrogativi che rivelano scopertamente l'umanità di Neruda
in un segno personale, del tutto estraneo alla nota
«sorridente» individuata dal Silva Castro325;
anche se non mancano momenti sereni, rappresentati, ad esempio, dal
poema «La
Sebastiana», in cui celebra la costruzione
della casa destinata ad accogliere Matilde. Ma Plenos poderes è un
libro in cui permangono, non tanto le ombre tormentose, che il
poeta ha superato, quanto le inquietudini dell'uomo che continua a
ignorare, senza rassegnarsi. Egli va interrogando, perciò,
le cose e la convinzione di rappresentare una coralità che
si esprime attraverso la sua poesia, lungi dall'accentuarne il tono
eroico lo induce a maggior raccoglimento. La poesia è per
Neruda armonia sottile e misteriosa che risveglia improvvisamente
le risonanze più profonde e, mentre manifesta dell'uomo i
problemi e le aspirazioni, gli si offre, al tempo stesso, come
messaggio. Luminosità e trasparenza si uniscono, in questi
versi, alla nota metafisica, sull'imperare dei temi del tempo e
della morte, dell'amarezza del destino umano: «Mai ricorderemo d'esser
morti»
326.
Nella lirica «Al difunto
pobre» la tristezza della condizione umana
è denunciata nelle infinite privazioni che la
caratterizzano.
La malinconia si insinua dappertutto in Plenos poderes, ma Neruda tenta spesso di reagirvi, cosciente della sua funzione di sostenitore della speranza. Egli è continuamente combattuto tra questo dovere e il richiamo del suo fondo metafisico, che, volente o nolente, finisce anche qui per avere il sopravvento, preannunciando il Memorial de Isla Negra, la poesia della memoria.
Il Memorial rappresenta uno dei momenti più alti della poesia nerudiana. I cinque volumi che lo compongono appaiono nel 1964, in occasione dei sessant'anni del poeta. La grandezza e la novità della poesia di Neruda si affermano in questa ampia raccolta, che incide in gran parte su motivi noti, autobiografici, foglie di quel prodigioso «carciofo» che è per il poeta il cuore327, scavando profondamente nella complessità spirituale dell'artista, del quale affermano, in sostanza, l'unicità.
La novità e
l'importanza del Memorial, nel quale Neruda afferma di aver voluto
tornare deliberatamente agli inizi sensoriali della sua poesia e di
aver cercato unicamente «l'espressione
cupa o felice d'ogni giorno»
328,
erano già apparse chiaramente alla critica fin da
Sumario,
«mazzo di ombra antartica»,
anticipo significativo dell'opera, che il poeta aveva voluto
affidare a Tallone «rettore della
suprema chiarezza»,
a indicare l'incontro felice, dopo
lunga peregrinazione, della sua poesia con la sua casa ideale, la
tipografia329.
Sumario era un
titolo provvisorio, ma già significativo di tutto il
Memorial, che
vi appariva definito nel suo clima caratteristico attraverso il
sottotitolo, poi titolo del primo volume della nuova edizione,
Libro donde nace la
lluvia; allusione, cioè, a un mondo di sostanziale
intimità, dal quale il poeta si sentiva sempre più
attratto:
|
Questi versi de
«La condición
humana» definiscono la sostanza
dell'intimità nerudiana e qualificano esattamente il momento
rappresentato dal Memorial. È questo, del resto, il fondo
permanente di tutta la poesia di Neruda, scavo continuo nella
propria sostanza spirituale, continua immersione in se stesso per
meglio comprendersi e farsi comprendere; cammino verso la
definizione di una suggestiva geografia interiore, che lo
identifica totalmente con la sostanza della patria e legittima
anche l'amore, richiamo essenziale delle medesime radici: «tu senza toccarmi accorrevi all'incontro dal
bosco invisibile a segnare l'albero dalla cui corteccia volava
l'amore perduto»
331.
Già fin
dall'apparizione di Sumario era possibile affermare l'esistenza di un
Neruda «tutto nuovo [...] nel
rinvigorirsi del tronco antico»,
in cui «la decisa novità strutturale e tonale
dell'opera»
era «esempio
magistrale di coerenza nell'evoluzione, di vitale rinnovamento in
chiave di ritorno»
332.
Ciò vale per tutto il Memorial de Isla Negra, dove la poesia della
memoria è il punto di partenza per una nuova stagione
poetica. Si tratta di un momento definitivo e determinante
dell'uomo Neruda, in cui con i ricordi dell'infanzia e della
giovinezza, costantemente presenti333,
confluiscono le sensazioni più intime, radicate fin dalla
nascita, la palpitante e fortificante presenza della natura, le
esperienze decisive della vita, gli amori, le lotte, il morso del
tempo e dell'odio, le confortanti esperienze dell'amicizia, l'amore
per Matilde, che inaugura una nuova età per il poeta,
già annunciata in Estravagario come primavera della vita: «Io sono col miele dell'amore / nella stagione
vespertina»
334.
La poesia di
Neruda è sempre stata confessione autobiografica di un uomo
complesso e contrastante, «piovoso e
allegro / energico e autunnabondo»
335.
Questo è il clima caratteristico dell'opera nerudiana, che
si ripete nella sua sincerità essenziale anche nel
Memorial de Isla
Negra, i cui contatti, in questo senso, con il resto della
poesia di Neruda sono evidenti. La sostanza del Memorial, infatti, ha
precedenti prossimi e remoti, che vanno da Estravagario all'epoca
più vicina dei Cien sonetos de amor, ma del pari affonda, oltre
che nelle Odas, in particolare nel Canto general, nelle Residencias, nei Veinte poemas de amor y una
canción desesperada e in Crepusculario, se non addirittura nelle
prime acerbe composizioni dell'infanzia, ancora prive del dono
della poesia.
Si può
affermare che Neruda è stato portato da sempre a un
periodico bilancio della propria esistenza336.
Bilanci e confessioni rappresentano soste meditative con potere di
rinvigorimento; un modo per riprendere con rinnovata lena la
creazione artistica e raggiungere risultati nuovi, inaugurando
sempre epoche diverse. La necessità di bilancio e di
confessione si rivela anche in numerose prose, in Infancia y poesía,
soprattutto, e nelle Memorias. La nota autobiografica è
perciò nell'opera di Neruda prodotto immediato di una
«concreta sostanza
storico-personale»
337,
in cui si riflettono la condizione umana del nostro tempo, le
angosce e le aspirazioni di un mondo alle cui vicende il poeta
partecipa senza riserve anche nel Memorial.
Riflesso della vita del poeta e della sua sostanza spirituale, il Memorial de Isla Negra è veramente quel «Canto personal» che Neruda annunciava, destinato ad avere nella storia della sua poesia un'importanza non inferiore al Canto general338. In entrambi i libri, infatti, entra determinante la storia dell'uomo, in cui si identifica il poeta, ed entrambi, benché su un piano diverso, più soggettivo e intimo il Memorial, più corale e combattivo il Canto general, rappresentano l'essenza insostituibile di una poesia destinata a operare profondamente nel tempo.
Il primo progetto del Memorial de Isla Negra contemplava sei libri, ma l'edizione bonaerense ne presenta solo cinque. Neruda ha giustificato questo cambiamento nel piano dell'opera con la necessità di partecipare, in patria, alla lotta politica339. Che il libro rappresenti un momento ancora aperto della poesia nerudiana è attestato, del resto, dal canto finale a Matilde che, benché esteso, viene presentato dal poeta come «frammento». Infatti esso riprenderà nel libro successivo, La barcarola.
I cinque libri che costituiscono il Memorial recano ognuno un titolo: Donde nace la lluvia, La luna en el laberinto, El fuego cruel, El cazador de raíces. Sonata crítica. Il metro prevalente è l'indecasillabo, o l'irregolarità propria delle Odas e di Estravagario; unica eccezione il canto a Matilde, in cui il poeta ricorre a un metro particolarmente lungo e maestoso, a significare la piena del sentimento e l'eccellenza della donna cantata su tutte le altre presenze femminili; metro che ricorda la Marcha triunfal di Rubén Darío.
Lungo i cinque
libri del Memorial de
Isla Negra la poesia della memoria si svolge in alterne
volute. La cronologia del ricordo si arresta in improvvise pause e
meditazioni. Il paesaggio, il rumore del mare presso Isla Negra, la
notte che circonda il poeta, strappano più di una volta
Neruda dal fluire della memoria, inducendolo a meditazioni sul
presente, in cui tornano insistenti preoccupazioni per la patria:
«In mezzo alla notte mi domando, / cosa
accadrà al Cile? / Che ne sarà della mia povera
patria oscura?»
340.
Tratto si insinua la stanchezza del ricordo. Per il poeta il particolare perde importanza; contano solo le cose «inafferrabili»341, le sostanze impalpabili, che attraverso il tempo hanno scavato solchi permanenti nell'uomo. In realtà, tutto il Memorial ripudia il dettaglio per riandare solo alla sostanza delle presenze più intime.
In Donde nace la lluvia la memoria scava alle radici stesse del sentimento nerudiano. Le presenze familiari, il padre ferroviere, la «Mamadre», la matrigna, che gli fu madre due volte, i treni, la pioggia, la selva, il persistente aroma di bosco, la scoperta della condizione umana, che lo apre alla tristezza della vita, lo scontro con la città, costituiscono un filone inesauribile al quale il poeta torna continuamente, quasi a cogliere il senso di se stesso, o per spiegare la propria intimità.
La luna en el laberinto raccoglie le impressioni dei primi viaggi e dei primi amori, Terusa, Rosaura, di cui è profonda presenza nei Veinte poemas de amor y una canción desesperada e in Crepusculario. Torna poi il ricordo dell'esperienza asiatica, la scoperta di un mondo di luce abbacinante e ostile, che per il poeta ha un significato di tormento e da cui trae un'unica lezione, quella dell'inutilità di ogni atto umano di fronte alla morte.
Tra le poche
esperienze positive di questi anni sta l'amicizia, ricordata nel
secondo libro del Memorial attraverso i nomi di Alberto Rojas
Jiménez, di Joaquín Cifuentes, Raúl Fuentes
Besa e Homero Arce, già cantati altre volte da Neruda nella
sua poesia. Il significato di questa stagione, tuttavia, è
essenzialmente quello denunciato dal titolo del libro: la vita
è un labirinto in cui il poeta s'è dibattuto senza
riuscire a trovare un'uscita: «La vita,
il continuo succedersi di un vuoto / che di giorno e d'ombra
empiono questa coppa»
342.
La residenza in Spagna, l'amicizia con Lorca, Alberti, Aleixandre, Hernández, la guerra civile, elementi determinanti dello svolgimento spirituale nerudiano e del suo orientamento politico, tornano nel terzo libro del Memorial, El fuego cruel, dove Neruda intende nuovamente fissare sull'usura del tempo e della memoria, il senso doloroso della tragedia spagnola, già cantata in España en el corazón. Egli sente intimamente il martirio della «madre remota»343, un martirio che ancora si prolunga. Il ricordo di Madrid, degli amici, riapre le ferite, anche se qualcosa di positivo è venuto da quell'esperienza di dolore e di sangue: la scoperta della miserabile condizione in cui vive il popolo cileno è in Neruda la determinazione di sostenerne la lotta verso la libertà e la giustizia. Ne El fuego cruel, ricordando la propria attività politica, il poeta sottolinea la grandezza della sua gente, che egli scopre quando, in Senato, si trova di fronte alla coalizione dell'interesse:
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Nel suo impegno Neruda esperimenta presto, come è noto, la persecuzione e l'esilio. Il ricordo delle dolorose vicende personali, già così vivo nel Canto general, e la scoperta della solidarietà umana, inducono nel poeta una sottile malinconia. È in questa situazione spirituale che torna invadente il ricordo dell'amore, di Josie Bliss, già cantata nelle Residencias, e dell'Asia, cui si succedono impressioni di Grecia, e soprattutto una lacerante nostalgia del Cile. Il «fuoco crudele» è, in sostanza, tutta questa serie di esperienze dolorose, che incidono profondamente nell'animo del poeta. Nel libro la memoria abbandona quasi del tutto il filo della cronologia, sopraffatta dal sentimento. Nel quarto libro del Memorial, El cazador de raíces, troviamo solo saltuarie allusioni a luoghi e circostanze materiali della vita di Neruda. Il poeta si abbandona alla meditazione e nel ricordo passato e presente confluiscono verso il futuro. Si tratta ancora di boschi, di cordigliere, di fiumi; è un modo di cantare la patria e la sostanza della propria spiritualità. L'inno alla natura definisce una regione interiore già cantata da Neruda nel primo libro, ma qui sottolineata nel significato di sostanza operante.
Torna poi il ricordo dell'amore; e di nuovo ricordi di lotte, di persecuzioni, di una solidarietà umana che si sublima nella «Serenata de México»; nella nazione amica Neruda ritrova le radici comuni di tutta l'America.
Nell'ultimo libro, Sonata crítica, Neruda prende posizione, come in Estravagario, contro i nemici, che affronta con caustico umorismo; riafferma la legittimità e la sincerità del proprio impegno, più volte ribadito, anche di fronte al tramonto dei miti e degli uomini345; professa un indifferenziato amore per realismo e idealismo in nome della bellezza, interpretandoli come radici dell'albero della vita346.
Il libro conclude col canto dell'amore, cioè di Matilde. Essa rappresenta, per Neruda, l'incontro predestinato dalle origini con le proprie radici, la stagione definitiva della vita.
La poesia della memoria si snoda tra questi temi. Il poeta non si chiude in se stesso, non si lascia trascinare dalla malinconia del ricordo, ma da questo trae forza per nuovi motivi, per nuova poesia. Le «memorie» sogliono concludere la vita, sono l'ultimo prodotto dell'artista ormai incapace di creare. Il Memorial de Isla Negra è ben diverso: esso presenta un Neruda nella pienezza del vigore creativo. La nuova raccolta poetica rappresenta il momento di più profonda riflessione della poesia nerudiana, una pausa di significato rilevante nello sviluppo di un'opera che, se ha presente costantemente il destino dell'uomo, non abdica mai al diritto di esprimere, da parte del poeta, i propri dubbi e le angosce, le speranze e le delusioni.