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ArribaAbajoDalle «Residenze sulla terra» al «Canto generale»

Le Residencias en la tierra coprono, nei tre libri che le compongono, un lungo periodo creativo che va dal 1925 al 1945, stagione intensa della vita nerudiana, nel senso delle esperienze formative e dell'attività artistica.

Nel 1933 appare la prima Residencia en la tierra153, comprendente composizioni poetiche risalenti anche ad anni precedenti, fino al 1925. La seconda edizione è del 1935: il libro appare accresciuto della produzione poetica degli ultimi anni154. Tercera residencia vede la luce nel 1947155 e completa fino al 1945 l'arco creativo nerudiano, includendo il poema España en el corazón, già edito separatamente in Cile nel 1937156 e l'anno seguente in Spagna, presso la stamperia dell'esercito repubblicano dell'Est157.

Il panorama dell'attività creativa di Pablo Neruda non è, tuttavia, completo per quanto riguarda il periodo 1945-1947. Occorre ricordare ancora che nel 1926 egli pubblica il testo definitivo di Crepusculario158, nel 1932 quello dei Veinte poemas de amor y una canción desesperada159; del 1933 è l'edizione de El hondero entusiasta160. Ma nel periodo di tempo in cui appaiono le tre Residenze Neruda pubblica altri libri di valore determinante per intendere la posizione spirituale del poeta e la sua arte: nel 1935 egli presenta le poesie del conte di Villamediana161, traduce le liriche di William Blake162, pubblica i Sonetos de la muerte de Quevedo163, «regione» spirituale recentemente scoperta e di decisiva influenza sul poeta cileno. A Quevedo, nel 1947, Neruda dedica una delle sue prose più ispirate, dichiarando apertamente la suggestione esercitata su di lui dal poeta spagnolo del Secolo d'Oro164.

Si avverta che tanta attività letteraria ha luogo -come si è visto nella biografia- in anni difficili e tumultuosi, che vedono il poeta rappresentante diplomatico del suo paese in varie parti dell'Asia, poi in Spagna, dove partecipa intensamente all'attività creativa della generazione di Alberti, Lorca, Aleixandre, più tardi alla lotta per la libertà, al tempo della guerra civile del 1936, quindi in varie parti del mondo, al momento della seconda guerra mondiale. Sono anni decisivi per la formazione dell'uomo e del poeta.

L'apparizione di Residencia en la tierra non significa rottura con i libri precedenti che, come Crepusculario, i Veinte poemas de amor y una canción desesperada, Tentativa del hombre infinito, le prose di Anillos e de El habitante y su esperanza, avevano già richiamato l'attenzione della critica sul poeta e offerto la prova di un'originalità che veniva a rinnovare il clima della poesia cilena, in particolare, ma in senso più ampio -poiché l'influenza si estese immediata-, di tutta la poesia ispano-americana. Residencia en la tierra costituisce una prova ancor più concreta dell'autonomia e dell'originalità della poesia nerudiana, che le successive Residenze non faranno che confermare.

I legami tra la prima Residencia e l'opera poetica che la precede sono strettissimi, come abbiamo sottolineato. Il clima di malinconia e d'angoscia proprio dei Veinte poemas, il senso acuto di freddo e di solitudine che permea questa raccolta, preludono al clima disperato e crudele di Residencia en la tierra. La nostalgia, la malinconia, la coscienza di un bene irrimediabilmente perduto, elementi fondamentali dei Veinte poemas, costituiscono il logico tramite verso la cupa visione del mondo e il grigiore ostile che si manifestano nelle Residenze, libri in cui hanno sviluppo i procedimenti formali già presenti in tale raccolta.

In Tentativa del hombre infinito l'atmosfera dei Veinte poemas presentava già un'accentuazione cupa. Le Residenze prolungano tale clima portandolo a conseguenze estreme. Il potere allucinante che si coglie nei versi di Tentativa del hombre infinito si acuisce. I procedimenti onirici, le luci, le ombre, i suoni stridenti e disumani, i rumori soffocati qui presenti, aumentano d'intensità, per presentare la vita come dramma, secondo un concetto drammatico e romantico che di essa ha Neruda165.

Anillos e El habitante y su esperanza costituiscono anch'essi documenti inequivocabili della stagione in cui nasceranno le Residenze. L'anno stesso in cui appare Residencia en la tierra Neruda pubblica El hondero entusiasta, composto dieci anni innanzi, sotto l'influenza, s'è detto, del poeta uruguaiano Sabat Ercasty166. Il successo del libro in Cile fu enorme167.

La vicinanza di questa raccolta al clima dei Veinte poemas, quindi anche alla prima Residencia, si coglie soprattutto, ed è naturale, nelle liriche d'amore; ma il tono d'amarezza e d'angoscia vi è di molto accentuato. Tra l'epoca di composizione delle liriche riunite ne El hondero entusiasta e la data della pubblicazione, Neruda aveva fatto profonde e decisive esperienze, durante la residenza in Asia. Tornato in patria, nel 1933 dava alle stampe Residencia en la tierra, raccolta rimasta inedita fino allora. L'edizione di Santiago de Chile ebbe una tiratura limitata, di cento esemplari. Più tardi, nel 1935, l'edizione madrilena, in due volumi, presentò con maggiore ampiezza il frutto poetico della residenza asiatica di Neruda, in cui confluivano accenti ed esperienze di tutta l'epoca precedente.

In tutte le liriche delle Residenze, dal 1927 al 1936, quindi sia della prima che delle Residenze successive, il dato comune è rappresentato dall'esperienza vitale del poeta nel mondo indiano. Tuttavia, tra i poemi del periodo 1925-1927 e quelli del periodo accennato esiste uno stretto legame di continuità spirituale e di accenti. Già nel 1925, infatti, allorché compose «Galope muerto» e «Sonata» Neruda aveva avvertito di aver trovato una regione propria, indiscutibilmente personale: «Quei poemi mi indicarono il dominio della mia personalità. Con grande serenità scoprii che pervenivo al possesso di un territorio indiscutibilmente mio»168. Un «territorio» fatto di interrogativi angosciosi, che la residenza asiatica doveva acuire ed esasperare, con il risultato di una incancellabile lezione etica.

Del mondo indiano con il quale Neruda viene a contatto nel 1927, egli non accoglie, infatti, i facili e superficiali elementi dell'esotismo o del folclore. L'influenza dell'Asia su di lui è un'influenza di natura profonda, intima, spirituale, la stessa, anche se con sviluppi diversi, che si esercita nel Novecento su altri poeti ispano-americani che, come Carrera Andrade e Octavio Paz, hanno occasione di risiedere in qualche luogo del mondo asiatico169.

Per Neruda l'Asia rappresenta una lezione drammatica, tale da permanere viva e attuale nel corso di tutta la sua vita, accentuando la coscienza del dovere che spetta alla poesia nel mondo, sul convincimento, già manifestato da quel Quevedo che tanto influisce sul poeta cileno, che tutto è in potere della morte170.

Nelle Residenze erompe l'originalità dell'ispirazione nerudiana, in una ricchezza di elementi che qualificano in modo definitivo una poesia che scaturisce da un atteggiamento essenzialmente drammatico di fronte alla vita, e che si esprime nel verso in forme della più ardita novità. L'accumularsi delle immagini, dei simboli, delle enumerazioni, le rotture sintattiche, i conati di espressione, come li ha definiti l'Anderson Imbert171, le emersioni insoddisfatte e le riimmersioni ostinate in una materia spirituale così tumutuosa e imbrogliata, danno un aspetto ermetico e surrealista alla poesia delle Residenze. Spesso si tratta di elementi insistentemente aggrovigliati, difficilmente districabili, sovrapposti e contorti, erompenti e inattesi; di improvvise rivelazioni di luce, tra lo spalancarsi di baratri terrificanti, testimonianza acuta, in ogni momento, di viva tensione spirituale. Su tale vasto e profondo documento umano in cui, al disopra del tormento personale del poeta, si coglie il grido di un dolore universale, il lettore si affaccia disorientato, per sentirsene immediatamente attratto.

Presentando Neruda all'Università di Madrid Federico García Lorca interpretava sottilmente le caratteristiche della poesia delle Residenze -che sono poi le caratteristiche di tutta la poesia nerudiana-, definendola voce originale dell'America, di fronte all'europeismo d'imitazione che fino allora aveva caratterizzato la poesia ispano-americana. Per Lorca la poesia di Neruda rifletteva dell'America la voce ampia, romantica, crudele, disorbitata e misteriosa: una poesia che presentava l'aspetto di apocalittici blocchi di pietra sul punto di sprofondare, «poemi sostenuti sull'abisso da un filo di ragnatela, sorriso con una lieve sfumatura di giaguaro, gran mano coperta di vello che gioca delicatamente con un fazzoletto ricamato»; una poesia di tono mai uguagliato in America, appassionata, tenera, sincera172.

Nelle prime Residenze il problema della propria esistenza assume presto, per Neruda, significati più ampi, diviene problema dell'uomo, in una visione in cui, a mano a mano, si accentua il tono di angoscia e di desolazione. Alla base di tale atteggiamento sta la tormentosa esperienza di solitudine dell'Asia, di cui è documento nelle molte lettere scritte in quell'epoca dal poeta all'amico Héctor Eandi173, e ricordata più tardi come un'ossessione nelle Memorie174.

La sensazione ossessiva, e al tempo stesso di effetti positivi dal punto di vista etico, di quel muro di luce, permane viva attraverso il tempo nella sensibilità nerudiana. Il poeta vi allude continuamente, e di nuovo nel Memorial de Isla Negra:


Esta luz de Ceilán me dio la vida,
me dio la muerte cuando yo vivía,
porque vivir adentro de un diamante
es solitaria escuela de enterrado,
es ser de pronto ave transparente,
araña que hila el cielo y se despide.
Esta luz de las islas me hizo daño,
me dejó para siempre circunspecto
como si el rayo de la miel remota
me sujetara al polvo de la tierra...175



Il mondo indiano offre a Neruda in tutta la sua crudezza lo spettacolo della miseria dell'uomo; si tratta di un mondo popolato da misere larve umane, inondato da grumi di passioni sanguigne, agitato dall'incubo di incombenti rovine e dall'onnipresenza della morte. Tutto si presenta al poeta sul punto di disgregarsi, in prospettive raccapriccianti di caos, mentre ogni cosa naufraga nell'informe176. Egli percepisce l'avanzare inarrestabile della morte, coglie il significato disperato degli sguardi polverosi «caduti al suolo», sente affondare le foglie nella terra, senza che emettano suono177. Nel verso nerudiano si percepisce un movimento ciclopico che ripete il caos primitivo delle origini. La sua poesia si muove entro turbini di acqua e di vento, in mezzo a una caduta continua di cose che scompaiono nella terra. Gli aneliti dell'uomo appaiono continuamente soffocati, sullo sfondo di una tragedia in cui tutto rovina. Una realtà disintegrata opprime il poeta; ansiosamente, ma con inutile fatica, egli tenta di spiegarsi il mondo e di esprimere, con esattezza che lo soddisfi, la materia emotiva che si agita in lui.

Con le Residenze Neruda porta un contributo sostanziale al surrealismo nella poesia ispanica, teso com'è a oggettivare gli impulsi del subcosciente178. Nel campo dell'espressione assistiamo a una lunga e dura battaglia tra i mezzi offerti dal linguaggio alla poesia per l'oggettivazione del sentimento e la costante insoddisfazione del poeta. Di qui le continue riimmersioni segnalate dall'Alonso179, onde pervenire a una nuova conquista espressiva, della quale, tuttavia, il poeta non si appaga, seminando in tal modo le sue liriche di continui segni di scontento. Mai come in questo momento la parola, l'immagine, gli si rivelano inadeguate a esprimere la sua condizione di uomo che passa tra «ombra e spazio», dotato di cuore «singolare» e di sogni funesti, «precipitosamente pallido», «appassito in fronte», e con lutto di «vedovo furioso» per ogni giorno della sua vita180. Neruda spia l'inanimato e il dolente181, vede davanti a sé un panorama lugubre, coglie la portata delle funebri solitudini che lo assediano, le presenze inquietanti di un mondo estinto e caotico che ascende da un colore morto, in cui si perde la speranza.

Dominato da tali sensazioni il poeta vuol rendere in segni tangibili il processo di dissoluzione della materia. Il suo non è più un canto, ma una lunga serie di lamenti stridenti, in cui s'intercalano sordi silenzi e vaste ondate di crolli; un naufragio agghiacciante nel vuoto, quello stesso che Neruda rappresenta nel poema «Débil del alba»:


El día de los desventurados, el día pálido se asoma
con un desgarrador olor frío, con sus esperanzas en gris,
sin cascabeles, goteando el alba por todas partes:
es un naufragio en el vacío, con un alrededor de llanto...



La condizione in cui viene a trovarsi il poeta è quella dell'unico sopravvissuto a una catastrofe apocalittica. Per questo egli piange, sulle rovine, in mezzo a ciò che è «invaso», tra il confuso, sentendosi solo tra materie sconnesse, sotto una pioggia ostinata che neppure la terra vuol più accogliere.

La tendenza a interpretare il mondo come immane rovina è caratteristica di Neruda fin dalle origini della sua poesia. Egli lo confessa in diverse liriche: in «Sabor» afferma di aver conservato una tendenza, un sapore solitario di false astrologie e di costumi lugubri; in «Diurno doliente» dichiara di portare un pallido pallio, un corteggio evidente di passione eccessiva e di sogni di cenere. È una disposizione che il contatto con il mondo funebre indiano porta alle più estreme conseguenze, in un panorama cupo, che scoraggia definitivamente alla vita.

Il tema della morte diviene dominante nella poesia nerudiana, soprattutto a partire dalla seconda Residencia. La frequentazione dell'opera di Quevedo ha anch'essa importanza in questo momento, specificamente per quanto riguarda la concezione corrosiva del tempo, della polvere e l'incessante e sottile insinuarsi della morte nelle cose e nella vita dell'uomo182. L'inquietante «lingua di polvere marcia» de «La calle destruida», che avanza implacabile, logorando le cose fino a distruggerle, è rappresentazione concreta del significato distruttore del tempo. Il binomio tempo-morte, che l'Alazraki ha indicato come costantemente presente in Quevedo nell'esercizio di un potere di corrosione183, ricompare in tutta la sua drammaticità in Neruda. Ma il concetto nerudiano dell'onnipresenza della morte e della tragedia che essa rapresenta per l'uomo, acquista una drammaticità insolita in «Sólo la Muerte». Attraverso una serie di immagini fluviali, di bare a vela naviganti sul fiume dei morti, contemplando l'unica realtà che domina la vita, si fa largo un atteggiamento di incontenibile ripudio. La morte è, per Neruda, presenza viscida e insana, assai lontana dal concetto quevedesco, per il quale essa rappresentava la preparazione di un'altra vita. Contro la morte Neruda vede che l'uomo è inerme, paralizzato di fronte al suo agguato. La realtà raccapricciante è resa dal poeta attraverso un processo di srealizzazione che ne accentua la natura inquietante:


A lo sonoro llega la muerte,
como un zapato sin pie, como un traje sin hombre,
llega a golpear con un anillo sin piedra y sin dedo,
llega a gritar sin boca, sin lengua, sin garganta...



Di qui gli accenti cupi di tante composizioni della seconda Residencia. Ma la tragedia dell'uomo distrutto dalla morte era già resa in tutta la sua nota di dolore in «Entierro en el este», della prima Residencia en la tierra. In tale lirica compaiono immagini essenziali e concetti destinati a permanere nella poesia nerudiana. Le pire su cui bruciano, secondo il rito, i defunti, sono immagine che non si cancellerà. L'essere, apparentemente così potente, assalito dal fuoco, mostra la sua intrinseca debolezza, non è più che «respiro scomparso», «liquore estremo», «tremula cenere» che ricade sulle acque. La visione di una gamba e di un piede fatti fuoco non abbandonerà più il poeta; essa diverrà lezione di valore permanente intorno alla nullità dell'essere creato. Nel Memorial de Isla Negra torna, infatti, vivissima l'immagine del cadavere bruciato sulle rive del fiume sacro, con un chiaro significato di lezione etica che si afferma al disopra del dubbio religioso:


Y si algo vi en mi vida fue una tarde
en la India, en las márgenes de un río:
arder una mujer de carne y hueso
y no sé si era el alma o era el humo
lo que del sarcófago salía,
hasta que no quedó mujer ni fuego
ni ataúd, ni ceniza: ya era tarde
y sólo noche y agua y sombra y río
allí permanecieron en la muerte184.



Nell'unità delle due prime Residenze si possono cogliere due aspetti caratterizzanti: nel primo libro il poeta sembra preoccuparsi soprattutto del mondo nella sua natura di caos; nel secondo domina, sul tema della morte, una più diretta osservazione della nullità della vita. Nel giorno che ascende dal sonoro185 la morte è l'unica realtà permanente. Nell'angoscia del cuore186, nell'infinita tristezza che induce la conoscenza della terra187, nella stanchezza che si impadronisce dell'uomo e nel lamento188, l'anima che ha tentato invano di sollevarsi precipita; mentre il mondo rivela solo volgarità tristi, che piangono lente lacrime sporche189.

Il panorama entro cui si muove Neruda è caratteristico di una stagione autunnale e funebre: un susseguirsi di giorni luttuosi190, un lungo autunno nero, che nella sua essenza dolorosa il poeta rappresenta come «una sola ora lunga come una vena»191. In quest'ora Neruda esprime il nostro trascorrere, tra il terrore e la tenerezza, «interminabilmente sterminati»192.

L'accento così intensamente sofferto di questa poesia non può farla giudicare, come ha fatto il Salama193, «asfissiante», né come il prodotto di uno smarrimento estetico e filosofico. È bensì vero che Neruda, in un determinato momento della sua vita e della sua evoluzione politica, sembrò ripudiare apertamente i poemi delle Residenze precedenti a España en el corazón, in ciò che essi avevano di «malato» e di potenzialmente dannoso per la gioventù: «Non ho voluto che vecchi dolori portassero lo scoraggiamento a nuove vite -egli scrive.- Non ho voluto che il riflesso di un sistema che poté condurmi fino all'angoscia, depositasse in piena edificazione della speranza il fango terrificante con cui i nostri comuni nemici incupirono la mia stessa giovinezza»194.

In realtà Neruda considerò sempre le Residenze un momento tra i più importanti e insostituibili della sua poesia. In questa parte della sua opera egli diviene interprete di un dolore cosmico che supera il dato personale. Fernando Alegría ha sostenuto195 che nel concepire un caos così monumentale il poeta ha manifestato come mai alcuno prima di lui l'angoscia metafisica dell'uomo ispano-americano, i terrori, le superstizioni da cui è dominato, il senso di colpa inculcato dagli insegnamenti religiosi e dall'interrotta tradizione degli antenati «indios», la solitudine in mezzo a una civiltà estranea che non comprende e che non può quindi apprezzare, la coscienza dolorosa di essere un fallimento, la costernazione davanti alla natura, che lo schiaccia con le sue foreste, gli oceani, le montagne, e alla sua decadenza, risultato dello sfruttamento, della denutrizione, dell'alcoolismo, della povertà, delle malattie; così che Residencia en la tierra è l'espressione di un dramma psicologico e sociale ispano-americano.

In questo senso Neruda è stato definito il poeta «cosmico» dell'America196. Ma egli è soprattutto il poeta dell'angoscia, che sorge, come ha scritto Amado Alonso197, dal vedere che ciò che è vivo muore incessantemente. È questa la tragedia che Neruda manifesta nei suoi poemi, ricorrendo a una complicata simbologia, il cui significato è imprescindibile conoscere per attingere il messaggio delle Residenze. Amado Alonso, studioso acuto del linguaggio nerudiano di queste raccolte, ha spiegato il senso dei numerosi simboli ricorrenti198, taluni di valore positivo, altri di segno negativo, ma non di rado anche di significato bivalente. Nell'opera successiva questi simboli subiscono talvolta trasformazioni semantiche interessanti199. Nelle Residenze la loro presenza contribuisce ad accentuare l'aspetto ermetico della poesia e ad accrescerne la suggestione.

Per quanto riguarda più specificamente la seconda edizione di Residencia en la tierra, essa apporta alla poesia nerudiana molti elementi che troveranno più ampio sviluppo in seguito, sia nel Canto general che nei vari libri delle Odas elementales, fino al Memorial de Isla Negra. Tra i «Cantos materiales» le liriche «Entrada a la madera», «Apogeo del apio», «Estatuto del vino», e, nella terza Residencia, «Naciendo en los bosques», hanno il significato di incontri positivi con la genuinità della terra, di cui più tardi le Odas saranno l'inno più grande. Ma ancora vi è l'elemento del ricordo, la poesia della memoria, una memoria ancora fresca, perché fatti e persone apartengono a un passato non remoto: il ricordo vivo degli amici si manifesta nell'ode a Federico García Lorca, nella lirica dedicata a Alberto Rojas Jiménez. Sono tutti temi che si radicheranno in Neruda e sfoceranno nuovamente vivi nel Memorial de Isla Negra, dove confluisce anche il ricordo degli amori del periodo «ruggente», già cantati, nella prima Residencia, nel «Tango del viudo», e, nella seconda, in «Josie Bliss».

Tercera residencia conclude per un lato il clima delle due prime Residenze. La sezione iniziale -delle cinque di cui si compone il libro-, prolunga il tono caratteristico delle due precedenti raccolte, culminando nel lungo poema «Las furias y las penas», ispirato a Quevedo. Tuttavia, a partire dalla seconda sezione, Tercera residencia inaugura una nuova epoca nella poesia nerudiana, quella politico-sociale, manifestazione non più di un atteggiamento passivo di fronte alla vita, ma di un impegno attivo che conduce Neruda a lottare fianco a fianco con l'uomo, sostenuto da un ideale di giustizia e di fratellanza, dalla certezza dell'avvento di un mondo migliore.

Il dolore cosmico espresso in accenti così profondi nella poesia precedente rappresenta, in sostanza, un'immersione necessaria nella dura condizione umana, attraverso la quale pervenire a una nuova speranza. La luce «colma di petali» sorge spesso dalla cenere200; la constatazione del nostro fluire inarrestabile, quale si manifesta ne Las furias y las penas, è all'origine dell'affermazione di una solidarietà che presuppone inevitabile l'avvento del giorno felice. Perciò il passaggio di Neruda al canto della lotta che l'uomo sostiene per mutare il mondo.

Alla base di questa «conversione» sta l'esperienza della guerra civile spagnola del '36. La distruzione di un mondo caro, fatto di amicizie sincere, di piccole cose minute, di paesaggi intimi, gli orrori della guerra, sono componenti che determinano una trasformazione radicale dell'atteggiamento nerudiano di fronte alla condizione umana. Madrid, dove Neruda aveva trascorso gli anni precedenti alla guerra civile, nel pieno fervore della generazione repubblicana, assume ora il significato di un mondo felice perduto che sogna di riconquistare. Ancora dopo molti anni egli ricorderà quel tempo come stagione insostituibile nella sua vita201.

Nel Memorial de Isla Negra un intero libro è dedicato al canto del «fuoco crudele», vale a dire dell'esperienza incancellabile di un periodo che comprende gli anni madrileni precedenti la guerra stessa. Madrid ha già categoria di simbolo in España en el corazón; il tempo non fa che accentuarne il significato in tal senso nell'animo nerudiano. Nel Memorial de Isla Negra, infatti, Madrid diviene quintessenza di quanto esiste di positivo202.

La conversione di Neruda è determinata soprattutto dall'esperienza di dolore e di sangue della guerra. Allorché nel 1939 egli pubblica Las furias y las penas, si ritiene in dovere di spiegare il significato di questo poema, espressione di un'atmosfera che la sua poesia ha da tempo superato. Las furias y las penas risale, infatti, nella sua stesura, al 1934; non poteva, quindi, significare un ritorno al clima del passato. Dal 1934 al 1939 molte cose erano accadute: davanti al mucchio di rovine cui la Spagna era ridotta Neruda sentiva superata definitivamente la sua produzione poetica dell'epoca più cupa. Poiché la poesia non valeva a placare l'ira del mondo, egli ricorreva alla lotta, al cuore deciso. Se il mondo era cambiato, appariva logico che anche la sua poesia cambiasse203.

Già all'inizio di España en el corazón Neruda offre una spiegazione del mutamento d'accento avvenuto nella sua opera; egli lo fa risalire alla brutalità della guerra:


Preguntaréis: Y dónde estàn las lilas?
Y la metafísica cubierta de amapolas?
Y la lluvia que a menudo golpeaba
sus palabras llenándolas
de agujeros y pájaros?
................
Preguntaréis por qué su poesía
no nos habla del sueño, de las hojas,
de los grandes volcanes de su país natal?
Venid a ver la sangre por las calles,
venid a ver
la sangre por las calles,
venid a ver la sangre
por las calles!204



Di fronte a una realtà tanto bruciante il poeta sente stonato l'accento di una poesia dell'angoscia, quale era venuta manifestando fino allora, convinto della sua incapacità di difendere l'uomo, di infondergli fiducia nella lotta: quindi egli ripudia le ombre, allontana i «vuoti» del pianto, in nome di un «selvaggio cereale» giunto alla sua «notte divorante»205. Il canto si trasforma, perciò, in denuncia, in espressione di solidarietà e di fede:


   Es la hora
alta de tierra y de perfume, mirad este rostro
recién salido de la sal terrible,
mirad esta boca amarga que sonríe,
mirad este nuevo corazón que os saluda
con su flor desbordante, determinada y áurea206.



España en el corazón è il risultato poetico della crisi spirituale determinata in Neruda dalla guerra civile. Il poema doveva esercitare un'influenza decisiva non solo sulla poesia spagnola e ispanoamericana, ma su quella europea, in particolare sulla poesia della Resistenza francese, durante la seconda guerra mondiale. Il Marcenac afferma che España en el corazón ne fu addirittura la prefigurazione207. Nel suo duplice atteggiamento di denuncia e di fede il poema costituì l'inizio di una nuova epoca per tutta la poesia che si volgeva contro l'arbitrio e l'oppressione politica; Aragón lo esaltò in tal senso208.

In España en el corazón il verso assume chiara coscienza di parte e, al tempo stesso, diviene ampio e generoso nella tesa spontaneità, mutando radicalmente il clima della poesia nerudiana. Dominato da sentimenti complessi, da reazioni violente e improvvise, da ampi ristagni sentimentali, il poema è un documento vivissimo del dramma di un popolo nella sua ora decisiva.

Dopo un'invocazione ispirata, in cui rifulge la grandezza della Spagna, colpita a tradimento dalla congiura fascista, si succedono maledizioni apocalittiche e invettive sconcertanti. Additati i responsabili della tragedia spagnola, lunghe elegie si intercalano a non meno estese e impietose manifestazioni di ripudio e di odio. Madrid, la Spagna, gli amici, le battaglie, l'arrivo dei soccorsi, le crudeltà e le indegnità dei nemici, non fanno che accentuare quel tono di generale condanna che si manifesta in un linguaggio durissimo sui responsabili di tanta distruzione e morte.

Macchie dense d'ombra segnano questo nuovo inferno, più cupo e ossessionante di quello dantesco. Non vi spira alito di vento; tutto è soffocante e nero. Li stanno Sanjurjo, Mola, Franco, «sterco della terra», in abissi orrendi. Il vigore crescente delle raffigurazioni domina, insieme a toni commossi, o accorati e dolenti, tutto il poema, in un effetto di vicendevole risalto. Il crescendo infernale culmina nella rappresentazione del principale responsabile della tragedia.


... Triste párpado, estiércol
de siniestras gallinas de sepulcro, pesado esputo, cifra
de traición que la sangre no borra...209



Alla fine la vittoria si prefigura sulla sconfitta e sulle distruzioni: le armi del popolo stabiliscono «i nuovi occhi della speranza»210.

L'accusa che España en el corazón sia opera di forestiero che, tra insulti, espressioni di rabbia e di odio, fa unicamente la cronaca del fatto in dubbia forma metrica che si confonde con la prosa211, è completamente gratuita. Nel poema Neruda inaugura, al contrario, un modo nuovo di poesia, dove l'invettiva perviene a risultati espressivi originali, giovandosi, per contrasto, degli ampi ristagni dell'emozione e del ricordo.

Davanti a una materia così scottante la reazione del poeta non trova modo più idoneo e immediato di esprimersi, che passare continuamente da un estremo all'altro, dall'invettiva, cioè, alla tenerezza. Così facendo egli dà un accento nuovo alla poesia spagnola scaturita dalla guerra civile.

Se confrontiamo il poema di Neruda con i Romances de la guerra de España di Alberti, con España, aparta de mí este cáliz, di Vallejo, o con España, poema en cuatro angustias y una esperanza, di Nicolás Guillén, è fuori di dubbio che in questi poemi troviamo maggior misura che in España en el corazón. Ma si attenda al titolo, e si comprenderà come Neruda intendesse dare nel suo poema il documento di una reazione immediata e quasi viscerale alla tragedia, in cui entravano i sentimenti più diversi. Se la violenza della terminologia e la crudezza delle immagini nuoce alla «poeticità» della lirica nerudiana, qualora si intenda per poesia equilibrio d'accenti, essa non nuoce in alcun modo al suo vigore espressivo, alla sua immediatezza, in definitiva a un genuino risultato poetico nell'ambito della concezione nerudiana della «poesia impura», in cui entrano immediati i sentimenti. E tuttavia, in España en el corazón non è da trascurare l'alta ispirazione di taluni passi in cui il poeta, abbandonata l'invettiva, si volge a contemplare con sincero dolore l'immane entità della tragedia. Ne sono esempi efficaci il «Canto a las madres de los milicianos muertos», traboccante di dolore umano, l'ampio avvio di «Como era España», l'accorato «Canto sobre unas ruinas», i mesti accenti di «Tierras ofendidas» e di «Madrid 1937», dove tutto è distruzione, dolore e morte; dove ogni elemento si trasforma in un'unica sostanza: «sangue nostro perduto, cuore terribile scosso, pianto». Né va dimenticato l'ampio afflato di speranza che domina l'«Oda solar al ejército del Pueblo».

La sezione finale di Tercera residencia raccoglie i canti del periodo successivo alla guerra civile, fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Tra note elegiache, ritorni al clima della guerra di Spagna, inni alla reincarnazione di Bolívar nell'eroismo dei repubblicani spagnoli, celebrazioni di valore intimo, Neruda innalza il suo canto alla grandezza dell'esercito russo in lotta contro il militarismo germanico per la difesa della patria. Non v'è ideologia politica che possa disconoscere al «Canto a Stalingrado», al «Nuevo canto de amor a Stalingrado», al «Canto al ejército rojo a su llegada a las puertas de Prusia» sincerità d'ispirazione e un risultato di vera grandezza epica che non soffoca la nota umana. Questi poemi costituiscono l'avvio, all'epicità del Canto general, anche se in realtà, per molti aspetti, tutte le Residenze, e soprattutto Tercera residencia, preludono al Canto.

Dalla piovosa solitudine che dettò a Neruda i primi versi, egli passa, nella terza Residenza, a un'espressione di amore universale, che diverrà nota caratteristica della poesia successiva. Dalla visione negativa del mondo, attraverso il dolore della guerra, Neruda perviene alla formulazione di un messaggio di speranza, che è già il segno caratterizzante di Tercera Residencia. In questo senso le tre Residenze documentano un periodo essenziale dell'opera e della spiritualità nerudiane.

Dalla Tercera Residencia al Canto general (1950) il passo è breve.

Il poeta ha affermato: «Credo che il mio libro, dal suo inizio, sia un libro allegro, sano, ottimista, malgrado la tristezza che lo circonda non in forma totale. Ho sentito durante un anno di lavoro accanito una gioia inebriante, poiché la vita mi dava l'occasione di vincere tutti i nemici del popolo, quando ormai mi si credeva nel fondo della sconfitta»212. Neruda allude, con queste parole, all'ultimo anno, di eccezionale intensità creativa, mentre viveva alla macchia, braccato dalla polizia di González Videla, prima di passare la frontiera e di entrare in Argentina. Ma il Canto non fu un poema scritto fin dall'inizio con un chiaro disegno epico; la sua «confezione» -mi si permetta il termine- avvenne in un lungo lasso di tempo, che va almeno dal 1938, anno di morte del padre -se stiamo a Margarita Aguirre213-, a quel 5 febbraio 1949 consegnato alla fine del poema:


Así termina este libro, aquí dejo
mi Canto general escrito
en la persecución, cantando bajo
las alas clandestinas de mi patria.
Hoy 5 de febrero, en este año
de 1949, en Chile, en «Godomar
de Chena», algunos meses antes
de los cuarenta y cinco años de mi edad214.



E anche se, stando al Cardona Peña215, tra il 4 febbraio 1948 e l'8 gennaio 1949 fu scritta la maggior parte del libro, ad eccezione di quanto era stato già pubblicato in anni precedenti -nel 1943 il Canto general de Chile, nel 1948 Himno y regreso, Alturas de Macchu Picchu, Que despierte el leñador e Coral de año nuevo para la patria en tinieblas- il poema sorge da una laboriosa opera di accostamento, di integrazione, di creazione nuova, assai lontana da una struttura cosciente anteriormente studiata. Scrive a questo proposito il Puccini che da una serie d'indizi «siamo portati a supporre che il disegno dell'opera debba essersi maturato e composto a gradi irregolari o addirittura a sbalzi, così come si mettono insieme pezzi di varia natura che si vogliono far accostare e combaciare e non come tessere d'uguale grandezza d'un preordinato mosaico. Niente di prestabilito doveva essere nella mente di Neruda se non l'idea, l'ambizione (da tanto tempo accarezzata), dell'opera significativa, monumentale e globale»216. Non v'è dubbio, tuttavia, che nel periodo della clandestinità Neruda attende con particolare alacrità al compimento del poema. Trattandone nel 1962, in Mi infancia y mi poesía, egli dà chiarimenti interessanti intorno a questo punto: «Ho sempre cercato il tempo per scrivere il libro. Per sfuggire alla persecuzione non potevo uscire da una stanza e dovevo cambiar posto molto spesso. La prigione ha qualcosa di definitivo in sé, una routine e una fine. La vita clandestina è più agitata e non si sa quando terminerà. Fin dal primo momento compresi che era giunta l'ora di scrivere il mio libro. Andai studiando i temi, disponendo i capitoli e non smisi di scrivere che per cambiare rifugio. In un anno e due mesi di questa vita strana fu terminato il libro. Era un problema far uscire gli originali dal paese. Gli feci una bella copertina sulla quale posi il mio nome. Gli misi come falso titolo Risas y lágrimas, di Benigno Espinosa. Il titolo non gli stava male davvero. Molte cose curiose accaddero con questo libro. Per me fu qualcosa di nuovo arrivare a scrivere poesia per sei, sette e otto ore di seguito. A mezza strada mi mancarono i libri. A misura che affondavo nella storia americana, mi occorrevano fonti d'informazione. È curioso; come sempre, comparvero come per miracolo quelle di cui abbisognavo. In una casa ospitale e un po' contadina in cui mi rifugiai trovai in un vecchio armadio un'Enciclopedia Hispanoamericana. Ho sempre detestato questi libri che si vendono a rate. Non mi piace vedere quei dorsi rilegati per ufficio. Questa volta il ritrovamento fu un tesoro. Quante cose non sapevo, nomi di città, fatti storici, piante, vulcani, fiumi! In casa di gente di mare, dove dovevo restare circa due mesi, domandai se avevano qualche libro. Ne avevano uno solo, ed era il Compendio de la historia de América di Barros Arana. Giusto quello che mi occorreva. I capitoli che scrivevo erano portati immediatamente a battere a macchina. C'era il pericolo che se mi scoprivano si perdessero gli originali. Così potè conservarsi questo libro. Ma io, negli ultimi capitoli, non avevo nulla dei precedenti, così che non mi resi esattamente conto di quanto avevo fatto fino a pochi giorni prima di uscire dal Cile. Mi fecero anche una copia speciale che potei portarmi via nel mio viaggio. Attraversai così la cordigliera, a cavallo, senz'altri vestiti che quelli che avevo indosso, col mio bel librone e due bottiglie di vino nelle bisacce»217. Lo scritto sembrerebbe dapprima contraddire in parte la nostra affermazione della mancanza di un piano preordinato da parte del poeta nella concezione del Canto, ma in realtà non fa che confermarla. In Algunas reflexiones improvisadas sobre mis trabajos, del resto, Neruda avverte: «Non so fino a che punto potrà essere vero quanto ho detto. Forse si tratta solo di miei propositi o di mie inclinazioni»218.

Nel Canto general non è raro che la suggestione delle immagini liriche alle quali Neruda ci aveva abituati paia attenuarsi; in compenso la sua poesia si carica di potenzialità plastiche, per le quali è possibile trovare un punto di contatto con la grandiosità della pittura messicana contemporanea, quella di David Alfaro Siqueiros e di Diego Rivera. A questi due pittori si devono le tavole che corredano il Canto nella prima edizione messicana: Siqueiros dipinse la primavera nuova del mondo, Rivera la resurrezione possente delle razze amerindie sepolte.

La poesia di Neruda si rivela nel Canto della stessa grandezza possente di questa pittura. Il suo vigore plastico si consustanzia di concetti, confluendo nella creazione di un'atmosfera tesa ed eroica dell'umanità, che al tempo stesso spira sottile lirismo nella, revivescenza dei miti della prima creazione, nel canto della natura e delle razze perdute, nell'accorato ricordo di dolorose odissee personali, ma anche nell'affermazione di una coscienza civile sulla quale si fonda la certezza di un futuro migliore.

La critica non ha mancato di segnalare punti manchevoli nel Canto. È stato detto anche che la forza del poeta cileno non stava nel genere epico, ma in quello lirico; ciò non è esatto: anzi, troviamo nel poema una riuscita, anche se non sempre perfetta, fusione di epico e di lirico: basterebbero a dimostrarlo le poesie raccolte nel capitolo dedicato alle Alturas de Macchu Picchu. Il Puccini ha definito il Canto general -pur non mancando di sottolinearne i difetti strutturali, le ripetizioni manieristiche, il frammentarismo ingiustificato, il prosaismo e la rettorica219 -«quasi un poema sinfonico»220. Per quanto concerne il prosaismo nel verso nerudiano è questa accusa ricorrente da parte dei critici, né si può negare la sua presenza nel poema, pur limitandola a momenti non numerosi, anche questi espressamente voluti dal poeta, essenziali, quindi, alla sua espressione. «Questo prosaismo -ha dichiarato Neruda- è intimamente legato alla mia concezione della Cronaca. Il poeta deve essere, parzialmente, il Cronista della sua epoca. La cronaca non dev'essere quintessenziata, né raffinata, né cultista. Dev'essere pietrosa, polverosa, piovosa e quotidiana. Deve avere l'orma miserabile dei giorni inutili e delle esecrazioni e lamentazioni dell'uomo. Mi ha molto sorpreso la non comprensione di questi semplici propositi che significano grandi cambiamenti nella mia opera, cambiamenti che molto mi costarono. Comprendo che sono andato sempre derivando verso l'espressione più misteriosa e centrifuga di Residencia en la tierra o di Tentativa, ed è stato molto difficile per me giungere allo strascicato prosaismo di certi frammenti del Canto general, che scrissi perché continuo a pensare che così dovevano essere scritti. Perché così scrive il cronista»221.

È una difesa che mi sembra giustificata. Il Canto general va considerato anche per ciò che esso significa come novità o come continuità formale; esattamente il Melis ha osservato che «Il linguaggio si ricompone in una nuova misura, senza ripudiare nessuna conquista del violento travaglio creativo anteriore, ma riassumendola in un contesto di più ampio respiro»222. Non si può negare che nel Canto general Pablo Neruda abbia dato all'America il suo vero poema epico, la «Canzone di gesta» del continente, come ha scritto il Cardona Peña223, il libro in cui pone tutto se stesso, senza alcuna riserva, creando «un monumento poetico di singolarissima stirpe», secondo il Rodríguez Monegal224, per il quale occorre risalire, nel passato, a Victor Hugo, o nella poesia contemporanea a Ezra Paund, ai Cantos, per trovare un equivalente. Il gusto, gli orientamenti politici, possono indurre a operare scelte personalissime nell'immenso materiale poetico del Canto general, ma la sostanziale grandezza, l'unicità dell'opera, permane. Davanti al lettore si snoda, in tutta la suggestione più ampia, la storia, meravigliosa e raccapricciante a un tempo, di un mondo immenso e misterioso, a partire dalla sua creazone fino al glorioso passato preispanico, agli orrori della conquista, all'avvento della luce, giunta malgrado i pugnali con i «Libertadores», alle nuove note tragiche della tirannia moderna, alle dittature che tormentarono, o ancora tormentano, le repubbliche americane.

È nei canti di condanna dei tiranni dove l'emozione poetica, l'atmosfera lirica si attenua, dominata dall'ardore bruciante dell'invettiva e del ripudio, dalla sincerità di uno sdegno legittimo in chi soffre vivendole le tragedie della propria terra. Ci spieghiamo facilmente la nota di questi canti, anche se si può preferire il Neruda che si spoglia della violenza di parte per esprimere solo un'accesa umanità, un'emozione feconda di risultati poetici. Ma allora il Canto general si snatura. Non bisogna dimenticare, infatti, che il poema va preso in tutto il suo insieme per comprenderne appieno il significato, il messaggio pregnante che si fonde costantemente con le testimonianze e le confessioni di un uomo, il poeta, che pur cosciente della sua missione eroica non dimette mai le vestiture umane.

La critica è solita riconoscere quali punte eminenti del Canto i poemi alle Alturas de Macchu Picchu, quelli del Canto general a Chile: due momenti essenziali nella genesi del poema. A essi va, tuttavia, aggiunta la lirica emozione del ricordo personale dell'infanzia, della persecuzione, della solidarietà umana, i poemi de El fugitivo e Yo soy; la delicata sinfonia delle germinazioni marine e la rinnovata nostalgia del Cile; il preziosismo barocco de El gran Océano; la grandiosa «ouverture» de La lámpara en la tierra; la cronaca mordente de Los Conquistadores; il lungo inno a Los Libertadores; il crudo ripudio dei satrapi ne La arena traicionada; l'inno all'uomo comune ne La tierra se llama Juan; l'incitamento alla riscossa in Que despierte el leñador. Non v'è dubbio, tuttavia, che il canto alle Alturas de Macchu Picchu vale nella memoria del lettore, nella sua sensibilità, a colorare profondamente di sé tutto il Canto general, sorto dall'ampliamento di due motivi fondamentali che il poeta stesso ha indicato225, la scoperta grandezza delle lotte del popolo cileno e l'emozione che gli causò la visita, durante il suo soggiorno in Perú, alla morta città incaica di Macchu Picchu, nella quale Neruda scoperse le radici stesse della storia americana, confuse e come emergenti da sotterra. Ne venne l'imperioso desiderio di un canto epico che prendesse le sue mosse dall'origine del mondo amerindio. Nel canto di tali origini, della natura e dei metalli, delle defunte presenze umane, egli affondò la mano «turbolenta e dolce nel più genitale del terrestre»226, penetrò il confuso splendore attraverso la notte di pietra227. L'alta città di pietre e di scale divenne il simbolo di tutto un mondo da rivendicare:


Madre de piedra, espuma de los cóndores.
Alto arrecife de la aurora humana.
Pala perdida en la primera arena228.



Del mondo incaico, che improvvisamente affiorava alla sua coscienza, Neruda percepiva il carattere di eternità: «Il regno morto vive ancora»229. Ciò non nel senso di un compiacimento esterno alla vista delle monumentali rovine architettoniche, ma in quello di una presenza umana ancora operante. Il legame sottile che il poeta scopre tra il defunto costruttore della città e l'uomo contemporaneo risiede nella nota intramontata di dolore. Le rovine di Macchu Picchu, situate nella rarefazione dell'aria, in un clima, cioè, che è già fuori del tempo e che dà alle cose una dimensione di leggenda, sono il punto di partenza per un tormentoso indagare alla ricerca dell'uomo, del suo significato permanente:

 Neruda firma las «Poesías»

Milano, 1960: Neruda firma le «Poesie»

 Neruda con Quasimodo»

Neruda con Salvatore Quasimodo

 Neruda con Matilde y Anna Proclemer

Il poeta con Anna Proclemer e la moglie Matilde

Fotografía típica de Neruda

Un tipico attegiamento di Pablo Neruda

 Neruda leyendo poesías en Milán

Milano, 1960: Il poeta legge le sue poesie


Piedra en la piedra, el hombre, dónde estuvo?
Aire en el aire, el hombre, dónde estuvo?
Tiempo en el tiempo, el hombre, dónde estuvo?
Fuiste también el pedacito roto
de hombre inconcluso, de águila vacía
que por las calles de hoy, que por las huellas,
que por las hojas del otoño muerto
va machacando el alma hasta la tumba?
La pobre mano, el pie, la pobre vida...
Los días de la luz deshilachada
en ti, como la lluvia
sobre las banderillas de la fiesta,
dieron pétalo a pétalo de su alimento oscuro
en la boca vacía?230



L'incalzare degli interrogativi rende l'ansia di una ricerca che è vitale per Neruda. La nota d'epopea e al tempo stesso l'intenso lirismo che permea il Canto sorge già da questi accenti. Fino alla conquistata certezza di aver colto un messaggio che il poeta era destinato a trasmettere al suo mondo: «Sali a nascere con me, fratello»231. Se Neruda avesse scritto anche solo questo capitolo di liriche si sarebbe qualificato per sempre, nell'ambito della poesia, con una voce nuova e possente, nell'originalità della sua concezione del mondo americano, nel messaggio continuamente operante che ne scaturisce, nella nota che lo caratterizza nel dolore. Il Canto general è già tutto qui, in sintesi mirabile, in questo gruppo di liriche. Le vicende politiche e umane che riguardano più direttamente il poeta, perseguitato e ramingo, fuggitivo e braccato dalla polizia del dittatore, non fanno che accentuare nel resto del poema le note che in modo ineguagliabile si esprimono nelle Alturas de Macchu Picchu. Il senso, la coscienza di un destino eroico si fonde continuamente con gli interventi della più personale biografia. La sensibilità di Neruda vibra davanti al dolore umano come di fronte alla meraviglia, allo splendore e al mistero della natura. Nei suoi canti alla Cordigliera una lontana maestra di Neruda, la poetessa Gabriela Mistral, aveva aperto la strada al canto «americano» -e prima di lei l'avevano aperta Darío e, in epoca più remota, Andrés Bello-; ma Neruda s'impone su tutti i possibili predecessori per il gigantesco disegno e per la sensibilità con cui affronta i molteplici temi su cui si costruisce il Canto.

L'ultimazione del poema in un periodo critico, quale quello accennato, quando il poeta era alla macchia, in un momento di piena tempesta spirituale, dominato da quel diretto impeto di solidarietà che Neruda andava incontrando ovunque sulla sua strada, spiegano in gran parte il fremito che anima la sua poesia e spiegano anche l'onda irresistibile di nostalgia per la patria, che non domina solo il Canto general de Chile, ma si insinua in tutto il Canto general -come del resto in tutta la lirica nerudiana-, benché in questo gruppo di poemi divenga addirittura ossessiva, soprattutto in «Quiero volver al Sur» e in «Mares de Chile». Nel canto della patria Neruda ritorna il cantore «acqueo» di Residencia en la tierra; ma il tempo ha schiarito le tinte e la desolazione del mondo scardinato e incombente, che negava ogni àncora di salvezza, è scomparsa, sostituta da un'ostinata visione della nuova primavera. Nei canti alla patria vive la bellezza delle remote regioni; il mare di Valparaíso presenta le tinte cristalline che la memoria accentua sentimentalmente, diviene «finestra dell'oceano», «misteriosa luna», «acqua alta e densa come acuto fuoco, pressione e sogno e unghie di zaffiro»232.

Nei poemi de El gran Océano rivive la misteriosa bellezza delle prime creazioni marine: l'oceano diviene «talamo dell'acqua» e questa «l'uraganata pelle che abbatte», «latte furioso della stella»233. In «Rapa Nui» sembra ripetersi il senso inquietante dell'ignoto che agitò il mondo anteriore alle scoperte; nelle lontananze oceaniche verso le quali guarda il Cile, il mondo indecifrabile popolato di statue -i moais- sorge dall'immensità delle acque e le sculture gigantesche sembrano esserne scolte estreme:


Sólo el pez luna que murió en la arena.
Sólo el tiempo que muerde los moais.
Sólo la eternidad en las arenas
conocen las palabras:
la luz sellada, el laberinto muerto,
las llaves de la copa sumergida234.



Se la vita marinara dei porti cileni torna ad agitarsi nei versi nerudiani, evocata e sottolineata dalla nostalgia, il mare è più frequentemente punto d'avvio alla meditazione, dato di partenza dal quale scaturisce la metafisica nerudiana. Lo si vede nella lirica «A una estatua de proa», in cui il poeta evocando i relitti che navigarono i mari, le polene che presenziarono la morte e naufraghe del tempo approdarono infine su una spiaggia abbandonata, introduce le sue inquietudini, l'insistente pensiero della morte:


Para mí tu belleza guarda todo el perfume,
todo el ácido errante, toda su noche oscura.
Y en tu empinado pecho de lámpara o de diosa,
torre turgente, inmóvil amor, vive la vida.
Tú navegas conmigo, recogida, hasta el día
en que dejen caer lo que soy en la espuma235.



La stessa atmosfera di intima nostalgia dà vita ai versi dei poemi riuniti in Yo soy: essi cantano la lontana infanzia nell'estremo sud cileno236, il vagare del poeta per il mondo, le peripezie della sua vita, il sicuro rifugio messicano, il ritorno in Cile, l'incontro con il popolo, la manifestazione di una nuova solidarietà umana, l'orgogliosa affermazione di non scrivere per «accaniti apprendisti del giglio», ma per la gente umile, che un giorno finirà per comprendere i suoi versi, perché in essi troverà le «raffiche» che costruirono la vita del poeta:


Quiero que a la salida de fábricas y minas
esté mi poesía adherida a la tierra,
al aire, a la victoria del hombre maltratado.
Quiero que un joven halle en la dureza
que construí, con lentitud y con metales,
como una caja, abriéndola, cara a cara la vida,
y hundiendo el alma toque las ráfagas que hicieron
mi alegría, en la altura tempestuosa237.



La tenerezza nerudiana, la vibrazione, la trasparenza con cui il poeta esprime la propria emozione di fronte alle cose, si manifestano anche nei momenti che più si qualificano per impegno politico. La sensibilità con cui Neruda interpreta la natura e il dono della solidarietà umana ne El fugitivo238, vibra della stessa nota spirituale in Que despierte el leñador, nell'evocazione del mondo nordamericano -«All'ovest di Colorado River / c'è un luogo che amo»239-, nell'invocazione a Walt Whitman cui chiede voce per cantare la ricostruzione di Stalingrado240. Il Canto general riconferma in ogni momento la visione ottimistica del mondo. Neruda non si nasconde il limite umano, l'agguato continuo della morte, e si dichiara preparato a essa -«Ho pronta la mia morte, come un vestito / che m'attende, del colore che amo, / dell'estensione che cercai inutilmente, / della profondità che abbisogno»241-, ma afferma soprattutto la certezza del mondo felice:


Yo tengo frente a mí sólo semillas,
desarrollos fragantes y dulzura242.



Alcuni si sono meravigliati che Neruda abbia potuto passare dal pessimismo disperato delle Residencias all'ottimismo del Canto general, ma non bisogna dimenticare cosa ha significato per lui la guerra civile spagnola e il contatto, in America, con una realtà che non ammetteva reazione diversa dalla lotta, che per risultare efficace doveva essere sostenuta dalla speranza, se non dalla certezza, di riuscire a cambiare radicalmente le cose. Più che su un determinato orientamento politico -senza per questo discuterne il valore-, l'ottimismo nerudiano si fonda su un acceso sentimento di solidarietà umana. L'impegno è caratteristica della letteratura ispano-americana, nella quale, come ha osservato l'Onís243, la disumanizzazione dell'arte appare impossibile, tanto lo scrittore è legato al presente, alla sua terra e al suo popolo; perciò nell'opera letteraria convergono idee politiche e sociali alle quali chi scrive non saprebbe rinunciare. Per Neruda vi è chi ha parlato, a questo proposito, di romanticismo sociale244; il Torres-Ríoseco è giunto addirittura, in un maldestro tentativo di difesa del poeta, ad affermare che la sua posizione politica era da considerarsi un «modus vivendi»245. Ma Neruda è sempre stato fondamentalmente sincero nelle sue numerose conferme di fede politica, che è rimasta sempre la stessa, al disopra degli eventi: quella che gli faceva vedere il mondo nuovo raggiungibile solo attraverso il comunismo246.

Con il Canto general e con le Residencias la poesia nerudiana dà la misura forse più alta delle proprie possibilità, certo il contributo di maggior rilievo alla poesia del nostro tempo, anche se i libri poetici successivi costituiscono anch'essi momenti determinanti del suo svolgimento.



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