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ArribaAbajoLe origini del poeta

Pablo Neruda è un classico della poesia del Novecento. Già lo aveva in sostanza affermato Amado Alonso93, quasi all'origine della sua attività di poeta. Il tempo ha confermato tale giudizio, per quante riserve si vogliano fare nei riguardi di un'opera di così straordinaria abbondanza, da essere avvicinata dal Bo alle «grandi imprese letterarie dell'Ottocento, valga per tutte quella di Hugo»94. L'importanza della poesia nerudiana è stata, infatti, riconosciuta, fino ai nostri giorni, dalla critica più obiettiva, al disopra delle ricorrenti polemiche dalle quali fu sempre accompagnata.

Quando Neruda inizia la sua attività poetica, in Cile perdurano ancora le tendenze romantiche e moderniste, anche se già si conoscono le esperienze dell'avanguardia, dell'ultraismo e del surrealismo, soprattutto. Il giovane poeta che viene dalla provincia non sfugge all'influenza dell'ambiente: Bécquer e Darío sono i primi maestri, insieme a Tagore; ma presto egli manifesta la propria originalità, entro le tendenze accennate, esprimendosi in forme nuove, ricorrendo a immagini surreali, a un ermetismo che per un lungo periodo diviene caratteristica del suo verso e uno degli elementi di maggior suggestione della sua poesia.

La «Canción de la fiesta», con la quale ottiene il primo premio nel certame poetico di Santiago (1921), e che vale a imporre il nome di Neruda nell'ambiente artistico della capitale, e Crepusculario (1923), in cui sono riunite anche liriche scritte tra i sedici e i diciassette anni, attestano la preponderante presenza degli elementi romantici, ma anche di forme squisitamente moderniste. Il poeta ha ripudiato da tempo la «Canción de la fiesta», senza eliminarla dai suoi scritti di poesia. Per quanto riguarda Crepusculario, pur avendolo definito «libro d'altro tempo», ingenuo e senza valore letterario95, egli ha continuato a considerarlo fondamentale per lo studio e la comprensione della sua lirica, avvicinandolo ad alcuni dei suoi libri di maggiore maturità, nel senso soprattutto di una poesia «della sensazione di ogni giorno»96. È questo il legame sottile che unisce la raccolta alle altre opere più mature, in particolare al Memorial de Isla Negra (1964), libro che presenta frequenti agganci con Crepusculario sul filo della memoria, del richiamo all'infanzia e alla prima giovinezza, agli affetti familiari e all'amore.

Neruda avverte97 che mai Crepusculario, preso come punto di partenza della sua poesia, ebbe «un proposito poetico deliberato, un messaggio sostantivo originale»; questo venne più tardi, ma il linguaggio che diviene poi caratteristico della sua poesia è già presente in questa prima raccolta, anche attraverso evidenti influenze, e talora in certe ingenuità sulle quali ha posto l'accento il Silva Castro98. «Farewell» e «El padre», in particolare, sono liriche indicative di queste presenze e recano un timbro drammatico che prelude alle Residenze, cupi interrogativi, problemi tormentosi che domineranno la poesia nerudiana successiva, inquietudine esistenziale, solitudine di terra e di cielo, dalla quale sorge il clima dominante d'angoscia.

In Crepusculario va definendosi per gradi il paesaggio che diverrà caratteristico della poesia di Neruda: stelle penetranti e crudeli, lunghi e profondi silenzi notturni, ossessionante sordità e senso di vuoto, cielo incombente come una minaccia, acque precipitanti dall'alto su una terra ostile, o avventantisi violente su litorali desolati. La pioggia e l'acqua dell'oceano, col loro moto costante, costruttore e distruttore al tempo stesso, sono già una presenza caratteristica e insistente: essa trae le sue origini dalle condizioni ambientali dell'infanzia, momento destinato a colorare sentimentalmente tutta la poesia nerudiana. Ma qui il clima dell'infanzia non ha ancora raggiunto il significato positivo dell'aroma dei boschi, è fermo a un senso freddo e minaccioso, più vicino al lugubre significato de «La copa de sangre»99 che al panteismo trepidante di «¿Dónde estará la Guillermina?»100.

Alfredo Cardona Peña ha fatto un esatto accostamento tra Góngora e Neruda, affermando101 che il primo fu il Neruda del secolo XVII per quanto riguarda l'audacia della comparazione. Si potrebbe sottolineare, tuttavia, un altro punto di contatto tra i due poeti: la presenza costante nella loro lirica, certo con diversa nota sentimentale, di un mondo di acque che dà a essa una nota distintiva. Nel verso nerudiano l'acqua sembra divenire elemento unico del mondo, e non solamente nel periodo che porta alla conversione politica del poeta, ma in tutta l'opera successiva alla Tercera residencia.

In Crepusculario, tuttavia, domina soprattutto il clima notturno. Il modernismo induce Neruda all'uso di un'aggettivazione preziosa, al ricorso talvolta a una terminologia che si avvicina al decorativismo di Rubén Darío, a un accentuato erotismo e a notazioni di colore di delicato cromatismo. Il libro si presenta come una raccolta per qualche verso eterogenea, collegata da un filo sentimentale che fa presa su due elementi fondamentali, l'amore e le esperienze limitative di un'epoca difficile per il poeta, quella del 1921, allorché egli si trasferisce a Santiago per frequentare l'Istituto Pedagogico. È un momento di strettezze finanziarie e di disorientamento di fronte al mondo della capitale, di cui è chiara testimonianza nel gruppo di liriche riunite sotto il titolo «Los crepúsculos de Maruri». Sono questi crepuscoli, in definitiva, l'esperienza di solitudine, il senso di limite, l'esaltazione colorista, a dare titolo alla raccolta. Non a torto il Silva Castro ha sottolineato102 che Crepusculario è un sostantivo collettivo e frequentativo, creato per indicare l'insieme dei crepuscoli di cui il poeta ha fatto collezione, un clima di solitudine e di malinconia cui allude Rodríguez Monegal103.

Per molto tempo la critica non decifrò il significato del titolo, Los crepúsculos de Maruri. In epoca successiva Neruda ne chiarì il senso. Egli torna a parlare in varie occasioni di Crepusculario, ribadendo il significato che il libro ha per la sua esperienza di uomo e per la genesi della sua poesia. Nel Memorial de Isla Negra il primo libro, Donde nace la lluvia, presenta una lirica intitolata «La pensión de la calle Maruri»: da essa cogliamo la profondità dell'esperienza nerudiana di quell'epoca remota, quando abitava al numero 513 della calle Maruri. Un senso di solitudine e di limite rivive col ricordo di un momento che ha impresso un'orma decisiva nel poeta:


Soy prisionero con la puerta abierta,
con el mundo abierto,
soy estudiante triste perdido en el crepúsculo,
y subo hacia la sopa de fideos
y bajo hasta la cama y hasta el día siguiente.



Il tempo, lungi dal cancellare il ricordo bruciante del passato, ne accentua la nota dolorosa. Neruda ricorda nelle Memorias il clima negativo della capitale cilena: «Mi sentii umiliato e perduto nella città. Santiago aveva un odore di gas e di caffè, nell'anno 1921, nel mese di marzo. Migliaia di case erano occupate da gente sconosciuta per me, e da cimici. Io non capivo nulla. L'autunno e poi l'inverno terminavano con le foglie nelle strade e nei boschi. Il mondo si fece più sporco, più oscuro e doloroso»104.

Alla difficoltà di inserimento nel mondo cittadino si aggiungano le strettezze economiche: «La vita di quegli anni nella Pensione per Studenti era di fame completa»105; ma anche di attività intensa. Nelle Memorias Neruda afferma: «Nella calle Maruri n. 513 terminai di scrivere il mio primo libro. Scrivevo due, tre, quattro, cinque poesie al giorno. Alla sera, quando il sole tramontava, davanti al balcone si svolgeva uno spettacolo giornaliero, che io non perdevo per nulla al mondo. Era il tramonto del sole con grandioso accumularsi di colori, con zone di luce, ventagli, immensi d'arancione e di scarlatto. Il capitolo centrale del mio libro si chiama Los crepúsculos de Maruri. Nessuno mi ha mai chiesto che cosa sia questo Maruri. Forse qualcuno saprà che è quell'umile strada visitata dai più straordinari crepuscoli»106.

Erano questi crepuscoli l'unico legame che rimaneva al poeta con la natura in mezzo alla quale era cresciuto. La condizione d'esilio traspare dai versi di Crepusculario. I tramonti che rapiscono il giovane accentuano in lui un senso d'angoscia e di lacerazione che sfocia nella confessione di un totale disorientamento:


Yo no sé por qué estoy aquí, ni cuando vine
ni por qué la luz roja del sol lo llena todo;
me basta con sentir frente a mi cuerpo triste
la inmensidad de un cielo de luz teñido de oro,
la inmensa rojedad de un sol que ya no existe,
el inmenso cadáver de una tierra ya muerta.



Quella di Santiago è un'esperienza che incupisce il verso del poeta in prospettive di morte:


Tengo miedo. La tarde es gris y la tristeza
del cielo se abre como una boca de muerto.



Anche l'amore assume colorazioni funebri, accentuando la nota drammatica, che si manifesta in estrema delicatezza d'accenti nel poema Pelleas y Melisanda, dove, pur partendo da Maeterlinck, Neruda raggiunge originalità di accenti nell'ordine di una pura emozione sentimentale, che sfocia in un panorama funebre.

Tra la data di pubblicazione delle opere nerudiane e la loro composizione occorre sottolineare un lungo ritardo per quanto riguarda El hondero entusiasta: il poema fu scritto nel 1923, ma pubblicato solo nel 1933, dopo i Veinte poemas de amor y una canción desesperada, Tentativa del hombre infinito, le prose di El habitante y su esperanza e Anillos. In più occasioni Neruda si è soffermato su questa circostanza, chiarendola; egli spiega107 che i motivi che lo indussero a ritardare di dieci anni la stampa de El hondero sono da ricercarsi nella sorpresa di avervi scoperto l'influenza del poeta uruguaiano Carlos Sabat Ercasty, sentita inconsciamente, nell'accento di «eloquenza e di alterigia verbale»108 che, col trascorrere del tempo, dovette apparirgli sempre più esterno e innaturale, di fronte al concetto sobrio e spontaneo che della poesia si andava formando.

Più tardi Neruda ha affermato, a proposito de El hondero entusiasta, che il libro, «originato da un'immensa passione amorosa», fu la sua prima «volontà ciclica di poesia: quella di conglobare l'uomo, la natura, le passioni e gli avvenimenti che lì si svolgevano in una sola unità»109. La conferma da parte di Sabat Ercasty che i versi della raccolta risentivano della sua influenza fu per il poeta un duro richiamo alla realtà. A questo proposito egli ha scritto: «Il giovane esce alla vita credendo di essere il cuore del mondo e che il cuore del mondo si esprima attraverso lui. La mia ambizione ciclica di un'ampia poesia terminò lì, chiusi la porta a un'eloquenza per me impossibile da seguire da quel momento, e ridussi stilisticamente, in modo deliberato, la mia espressione»110.

Dall'avvertenza alla seconda edizione de El hondero si deduce chiaramente che Neruda assegnava, comunque, alla raccolta un significato che la preserva nel tempo: quello di un documento importante ai fini della genesi della sua formazione, testimonianza di una gioventù che amò definire «eccessiva e ardente». Il libro reca in sé tutto l'ardore di un'ispirazione accesa, quella stessa che, secondo il poeta, fu all'origine della prima lirica della raccolta: «Ormai andavo lasciando indietro Crepusculario. Tremende inquietudini muovevano la mia poesia. In rapidi viaggi al Sud rinnovavo le mie forze. Ero tornato tardi a casa mia, a Temuco. Era oltre mezzanotte. Prima di coricarmi aprii la finestra della mia stanza. Il cielo mi abbagliò. Era una moltitudine pullulante di stelle. Tutto il cielo viveva. La notte era appena lavata e le stelle antartiche si spiegavano sulla mia testa. Mi prese un'ebbrezza di stelle, sentii un colpo celeste. Come esaltato corsi al mio tavolo e appena avevo tempo di scrivere, come se ricevessi un dettato: il giorno seguente lessi pieno di gioia il mio poema notturno. È il primo de El hondero entusiasta»111.

La prima reazione di Neruda al giudizio di Carlos Sabat Ercasty fu la distruzione di parte dei suoi poemi. Al momento della pubblicazione, dieci anni dopo, la raccolta rimase fedele, per quanto possibile, alla redazione primitiva. Ma il libro conteneva un numero maggiore di composizioni, e molte di quelle conservate sono incomplete, mancanti di alcuni pezzi, «frammenti caduti a contatto del tempo, perduti»112.

Che El hondero entusiasta rappresenti un momento insostituibile cui Neruda si sente intimamente legato lo attesta egli stesso: «Mi sarebbe piaciuto possedere tutti i versi di questo tempo sepolto, per me aureolato dal medesimo interesse che circonda le vecchie lettere, giacché, questo libro non vuol essere, lo ripeto, altro che il documento di una gioventù eccessiva e ardente. Non ho alterato, aggiunto né soppresso nulla di questi versi rinati, ho voluto preservare la loro autenticità, la loro verità dimenticata»113.

Benché Neruda insista sul carattere documentario della raccolta, è noto che al suo apparire El hondero suscitò enorme interesse nel mondo poetico cileno. Scrive il Cardona Peña114 che il libro fu accolto con la sorpresa dell'inedito da tutta una generazione che vi vedeva rispecchiato il proprio entusiasmo, l'atteggiamento ribelle che la dominava, il proprio disorientamento di fronte alla coscienza radicale che l'uomo corre verso la morte, «come un grido verso l'eco»115.

La sostanza dell'atmosfera de El hondero è assai vicina a quella dei Veinte poemas de amor y una canción desesperada. Neruda ha affermato116 che il risultato del mutamento operatosi in lui dal momento in cui decise di non dare alla stampa El hondero fu il ritrovamento della sua vera strada e la creazione dei Veinte poemas. Occorre, tuttavia, dar ragione al poeta per l'ordine in cui collocò la raccolta nelle Obras Completas, ponendola come ultimo risultato della sua poesia del periodo che precede Residencia en la tierra. Se per molti motivi, infatti, El hondero rappresenta la genesi dei Veinte poemas, per altri può essere considerato il logico sviluppo di questo libro, in una concezione più vigorosa della vita e dell'amore. Permangono, è vero, ne El hondero, tutte le presenze naturali gravide di pesanti possibilità; il vento è furia che domina e agita tutte le cose; le illusioni si sgretolano e tutto sembra cedere al pianto:


Dan ganas de gemir el más largo sollozo.
De bruces frente al muro que azota el viento inmenso117.



Il tormento di un mondo impenetrabile, privo di comunicazioni, determina angoscia nell'uomo. Ma se il dolore perde il suo carattere umano e «l'ombra più non lo contiene»118, nel canto dell'amore -il tema che più avvicina El hondero ai Veinte poemas-, l'accento è diverso, ribelle, agonicamente vitale, anche se la malinconia e la tristezza sono costantemente in agguato. L'atmosfera che distingue i Veinte poemas è un'atmosfera d'ansia, di desiderio, di spiritualità e d'erotismo, di vitalità e d'abbandono. I versi con cui inizia la prima lirica introducono in un mondo astrale in cui l'uomo si sente scardinato da ogni sistema. Ma il «pianto gelido del cuore», il «presagio del fumo e della nebbia», il dolore che «più non è dolore umano»119, trovano la loro ragione, più che nel tormento cosmico, nell'angoscia d'amore, nel desiderio roso dal ricordo. Tuttavia è l'ultima poesia del libro a darci la chiave della raccolta, o meglio a immetterci in un filone sul quale si costruisce la concezione vitale dell'amore, nell'identificazione totale della donna con la terra, con tutta la natura:


Y tú, en tu carne, encierras
las pupilas sedientas con que miraré cuando
estos ojos que tengo se me llenen de tierra120.



Dell'opera nerudiana che va da Crepusculario alla data di apparizione de El hondero entusiasta, la raccolta più significativa è rappresentata dai Veinte poemas de amor y una canción desesperada, pubblicati nel 1924, uno dei libri di maggior rilievo di tutta la poesia di Neruda, di ingualcibile freschezza nel tempo. La sua importanza è stata avvicinata a quella di Azul di Rubén Darío:121 se da Azul, infatti, partì il primo impulso che rinnovò tutta la poesia americana e ispanica, al tramonto del romanticismo, dai Veinte poemas prende l'avvio il rinnovamento radicale della poesia ispano-americana successiva al modernismo. Con i Veinte poemas ha inizio una lunga influenza nerudiana sulla lirica del nuovo e del vecchio continente.

Dell'importanza della raccolta Neruda ebbe piena coscienza. Presentando il libro, in occasione della milionesima copia venduta, lo definì «un punto acceso di ricordi e d'aromi trafitti da lancinanti malinconie giovanili, aperto a tutte le stelle del Sud», mostrandosi soprattutto colpito dal destino singolare del volume che, nato dal dolore, era divenuto per tutti fonte di conforto, di fede nella vita: «In virtù di un miracolo che non comprendo, questo tormentato libro di poesia ha indicato a molti uomini la strada della felicità. Quale migliore approdo può proporre un poeta alla sua opera?»122.

La ragione della novità e del valore di questa poesia sta nel rapporto fra il sentimento tragico dell'amore e il paesaggio, che è presenza di mare e di latitudini piovose e astrali. Neruda non ha mancato di chiarire concretamente la geografia dei Veinte poemas,123 una geografia che gli era familiare: egli si recava spesso, con la famiglia, a Bajo Imperial, sulla costa; di qui il primo incontro col mare e col fiume che vi sfocia. Le dune, la vegetazione locale, i pini madidi di pioggia, le notti fredde del Sud, penetranti e trafitte d'astri, il vento impetuoso, recante oscure presenze e minacce incombenti, contribuiscono a dare al poeta quel senso misterioso e spaziale che permea gli slanci amorosi e le immagini erotiche. Neruda ha affermato124 che molto più tardi egli non riusciva a scrivere senza pensare al rumore della pioggia e delle onde sulla sabbia. L'imprecisione, che elude il dato esterno, ed è propria della memoria poetica, ha forse richiamato all'autore Bajo Imperial; altrove egli dichiara125 di aver scritto i Veinte poemas a Santiago, ricordando il paesaggio natale, soprattutto i boschi di Temuco: «le grandi spiagge fredde, i fiumi e il selvaggio litorale del Sud»126; il porto sarebbe, in questo caso, Porto Saavedra, che nel primo libro del Memorial de Isla Negra diviene, con evidente significato sentimentale, «Puerto Amor»127. Incertezze e contraddizioni che non intaccano, s'intende, la sostanza della poesia, il significato che in essa assume il paesaggio dell'infanzia.

Nelle Memorias Neruda torna a trattare della raccolta cui mi riferisco; da alcuni passaggi apprendiamo che i Veinte poemas sono il risultato del ripudio del modo espressivo e sentimentale de El hondero entusiasta128. «Allora, controllando la forma, curando ogni passo, senza perdere il mio impeto originale, cercando di nuovo le mie più semplici reazioni, il mio mondo armonico, incominciai a scrivere un altro libro d'amore. Furono i Veinte poemas». E aggiunge: «È un libro che amo perché malgrado la sua acuta malinconia vi è in esso il godimento dell'esistenza. Mi aiutò molto a scriverlo un fiume e la sua foce: Il Río Imperial. I Veinte poemas sono la romanza di Santiago, con le strade studentesche, l'Università e l'odore di madreselva del buon amore condiviso. I brani di Santiago sono scritti tra la via Echaurren e l'Avenida di Spagna e dentro l'antico edificio dell'Istituto Pedagogico, ma il panorama è sempre quello delle acque e degli alberi del Sud. I moli della "Canzone disperata" sono i vecchi moli di Carahue e di Bajo Imperial. Le loro tavole rotte e i pali come monconi battuti dall'ampio fiume. Lo svolazzare dei gabbiani che vi si sente e che si continua a sentire in quella foce. M'andavano incalzando l'amore e il ricordo, disteso sulla coperta di quei piccoli vapori, con ruote ai fianchi, che facevano la spola tra Carahue e Puerto Saavedra. Toccavamo Nehuentué, continuavamo lungo la costa, tra peumos e pinete. Fisarmoniche suonavano in qualche luogo della nave. Queste fisarmoniche non le aggiungo per letteratura: le udii per la prima volta sul fiume Imperial»129.

Nei Veinte poemas de amor il fondo sentimentale permane romantico, ma più importano il senso drammatico che il poeta dà alla vita e all'amore, la novità che il verso presenta, perfettamente strutturato e definito, la testimonianza di un originale processo creativo, la ricchezza espressiva, che chiaramente annuncia il lirico singolare delle epoche successive. Le Residencias, infatti, sono già presenti nei Veinte poemas per la suggestione delle metafore, per le immagini surreali e l'atmosfera intensamente drammatica. Ma in questa raccolta si rispecchiano anche fondamentali momenti del Canto general e delle Odas elementales; mentre ai Veinte poemas, intesi come epoca di esperienze indimenticabili sul piano sentimentale, allude frequentemente Neruda nel Memorial de Isla Negra. Possiamo dire che il nucleo centrale della poesia nerudiana sta già nei Veinte poemas. Vi troviamo l'estremo soggettivismo e l'esaltazione romantica che l'Onís ha definito costanti nell'opera di Neruda130; il concetto drammatico e romantico che il poeta ha della vita confluisce in sospesa attenzione, che è già agonia, tesa a cogliere del mondo il palpito segreto, la lacerante bellezza, ma soprattutto il mistero di dolore che circonda e domina l'uomo, permeandone ogni attività.

L'amore è, per Neruda, fonte di dolore; anzi, esiste proprio in quanto è veicolo attraverso il quale si esprime il dolore universale. Nel corpo della donna, che l'uomo desidera in contrastanti impulsi, con lo spirito non meno che con i sensi, si manifesta la straziante amarezza dell'inappagato, di ciò che sembra raggiunto e si rivela irraggiungibile, di ciò che è attuale e presente proprio perché trascorso o solo intravveduto. Unica presenza reale è il ricordo, presenza che lacera continuamente nell'intimo. L'amore, per Neruda, in questa raccolta, sta unicamente nel ricordo deluso; la condizione dell'innamorato è quella di un solitario, teso a percepire il senso di una realtà sentimentale che è tormento di desiderio, anelito a concretare in forma reale l'oggetto su cui il dolore si riversa e da cui è, al tempo stesso, originato. L'uomo è agitato passionalmente dal ricordo di un anteriore possesso. Intorno sta un mondo ostile: mentre l'amore si manifesta in tormento e l'uomo cerca di pervenire a più sicure costruzioni, si percepisce la penetrante insidia delle tenebre notturne. L'angoscia diviene, quindi, il clima inevitabile dell'amore; il paesaggio è presenza pungente di possibilità inquietanti; la vastità dei pini, il senso desolato della campagna, il crepuscolo che muore in un tramonto eterno negli occhi dell'amata, il senso di freddo isolamento in un universo combattuto, l'ossessionante movimento delle onde, la durezza impenetrabile del cielo, gli astri penetranti e gli uccelli sinistri, tutto è presenza che ferisce, dolore.

Il clima dei Veinte poemas è soprattutto di straziante malinconia che, come ha scritto Amado Alonso131, si veste di nostalgia; tristezza di un bene perduto «che ristagna nel ricordo». Nella malinconia del perpetuo addio alle cose l'uomo manifesta un modo di trattenerle, «il pagamento in tristezza, in grazie al quale riviviamo nella nostra anima momenti di felicità ormai passati». L'isolamento, la solitudine nascono da questo atteggiamento, attraverso il quale l'uomo prende coscienza che le cose non gli appartengono, che non gli appartiene neppure l'oggetto amato e, infine, neppure l'amore come sentimento.

Dal punto di vista formale avvertiamo nei Veinte poemas l'incipiente presenza dei simboli, caratteristici, poi, delle Residencias, il ricorso insistente all'immagine, alla metafora, alla comparazione: le nubi sono «bianchi fazzoletti d'addio» agitati da mani «viaggianti»132; le mani candide dell'amata sono «dolci come l'uva»133, gli occhi sono «oceanici» e spiccano su un fondo cupo, un paesaggio di tinte crudeli in cui le presenze animali, gli uccelli, accentuano l'impenetrabilità del mondo circostante: «Gli uccelli notturni beccano le prime stelle»134.

Immagini surreali di alta suggestione si succedono; in tutte si manifesta la concezione di un mondo inteso in movimento incessante, dominato da minacce oscure, da presenze dolorose annuncianti catastrofe. Lo scardinamento dell'universo, così caratteristico di Residencia en la tierra, è già percepito nei Veinte poemas come definitivo e irrimediabile. La posizione dell'essere, in siffatto universo, è di angosciosa attesa dell'irreparabile. Il «giorno degli sventurati», lo «straziante giorno grigio» di «Débil del alba», è annunciato chiaramente dalla notte ostile dei Veinte poemas, notte che non potrà sfociare altro che in un giorno piatto, privo, di colori, gocciolante di umori appiccicosi.

Numerosi altri elementi definiscono ancor più, nella raccolta, la concezione negativa che il poeta ha del mondo. In primo luogo la solitudine, il cui senso di vuoto è reso più raggelante dall'assenza dell'amata; quindi la pioggia, il vento marino che insegue gabbiani erranti e fa gemere le foglie. Pioggia e vento sono presenze continue in questa parte della poesia nerudiana, tese sempre a significare inquietudine e dolore.

Il ricordo acuisce, nel tempo, il senso desolato dei crepuscoli perduti, delle primavere sciupate. La notte presenta la sua metallica durezza e il cuore, ferito, «gira come un volante pazzo». Ogni cosa rappresenta un agguato del dolore: l'angoscia, la morte, l'inverno già stanno spiando tra la rugiada135; un vento di tempesta passa improvvisamente sulle cose; il cielo si fa duro, grigio, assetato, di una sete «densa di pesci cupi»; il turbine trascina nel suo vortice foglie oscure136.

La tristezza che il poeta sente si trasforma in tormento stilistico. Neruda cerca di esprimere, insoddisfatto, la propria situazione sentimentale in forme quanto più possibile aderenti a ciò che esperimenta nell'intimo. Il poema è un chiaro esempio di questo tormento espressivo. Amado Alonso ha visto in esso137 il documento di quel processo di «ensimismamiento y enajenamiento» caratteristico poi delle Residencias. Neruda affonda continuamente, con insistenza, in sé, insoddisfatto del risultato di oggettivazione del proprio sentimento, tendendo a un risultato stilistico sempre più aderente a ciò che prova. La malinconia, l'angoscia non trovano immediatamente la strada per manifestarsi compiutamente nella forma. I versi iniziali del poema 20 introducono in questo processo espressivo; si tratta di successive immersioni nel sentimento, attraverso le quali, per momenti di progressiva aderenza, il poeta perviene a un dolore la cui prima origine sta nella nostalgia.

Con la «Canción desesperada», che chiude la raccolta, l'atmosfera di solitudine e d'angoscia dei Veinte poemas de amor si corona delle ultime luci della passione. Dalla nostalgia e dalla tristezza il poeta perviene alla disperazione, al grido esasperato del sesso, che conclude, dopo gli ultimi vani bagliori, in un naufragio nel vuoto:


Abandonado como los muelles en el alba.
Sólo la sombra trémula se retuerce en mis manos.



I Veinte poemas de amor sottintendono esperienze amorose che hanno nomi concreti, ma difficilmente identificabili, per noi. Neruda ha confessato138 che in questo libro è agitato, fondamentalmente, da due amori, l'uno dell'adolescenza provinciale, l'altro del soggiorno studentesco a Santiago. Nel secondo libro del Memorial de Isla Negra, «La luna en el laberinto», egli celebra in «Terusa» l'amore «della prima luce dell'alba, / del mezzogiorno acerrimo / e delle sue lance», e in «Rosaura» quello più concreto dell'«ora scivolante / del crepuscolo povero, nella città / quando brillano i negozi / e il cuore affoga / nella sua stessa regione inesplorata». Nelle Memorias queste donne recano i nomi di Marisol e di Marisombra139; nomi simbolici, evidentemente, che nascondono di proposito l'identità reale delle donne amate. Del resto il conoscerne i veri nomi non gioverebbe ad una più profonda valutazione della poesia nerudiana, che nei Veinte poemas raggiunge risultati di valore permanente.

L'incontentabilità del poeta di fronte ai risultati della sua creazione si manifesta anche per quanto concerne la raccolta esaminata. Egli ha scritto che il libro non raggiunse, per lui, neppure in quegli anni di «così poca conoscenza», l'ambizioso risultato di «una poesia agglomerativa in cui si unissero tutte le forze del mondo e si abbattessero»140. Di qui un nuovo tentativo di superamento, in Tentativa del hombre infinito (1925), dove l'atmosfera dei Veinte poemas si accentua, con una nota di decisa novità espressiva. Neruda ha definito questa raccolta141 uno dei libri più importanti, ma meno letti e studiati, della sua produzione poetica, completamente diverso dagli altri; successivamente ha dichiarato che Tentativa del hombre infinito non arrivò a essere quello che egli desiderava, pur rimanendo sempre «uno dei veri nuclei» della sua poesia142. Attendendo a questi poemi, in quegli anni lontani, egli andò acquistando, infatti, una coscienza prima non posseduta, col risultato che «se in qualche parte l'espressione, la chiarezza o il mistero sono nettamente definiti, è in questo piccolo libro, straordinariamente personale»143.

In Tentativa del hombre infinito Neruda rompe i legami sintattici, il verso libero inizia, e conclude, la sua stagione felice, le parole acquistano nuova e insospettata forza espressiva, le immagini sorgono nuove e si accavallano, abdicando, almeno apparentemente, a un significato logico che in realtà accentuano, sottolineando in molteplici forme la condizione interiore del poeta. Neruda ripudia ogni formalismo; la poesia è racconto e rappresentazione plastica della sua dimensione spirituale: «Io non racconto io dico in parole disgraziate». Le parole vivono nel loro significato, suscitano immagini dinamiche, accostate in apparente caos, ordinate in realtà con sapienza, al fine di rendere un'atmosfera in continuo movimento, espressione di un dolore che ha trovato alcuni simboli costanti in cui manifestarsi, il vento, l'acqua, la morte, nel solco profondo di una malinconia autunnale.

In Tentativa del hombre infinito il mondo incomincia a disarticolarsi, a cadere in una pioggia di cose deformate, minacciando totale distruzione. Nella difficile solitudine l'anima «affamata» del poeta inciampa, grida col vento la sua disperazione. Il senso del trascorrere del tempo è reso in un'associazione di immagini diverse, alcune, consuete, altre nuove e ardite; non è più l'orologio, ad esempio, che segna il trascorrere delle ore, ma la notte stessa che le scandisce, la tenebra, orologio che va isolando le ore della vita. I richiami a Quevedo sono evidenti. In Residencia en la tierra i giorni che passano saranno «petali del tempo» che cadono «immensamente» e si accumulano intorno come rosa inondata o medusa144; in Tentativa del hombre infinito è un succedersi di immagini tormentose che manifestano angoscia radicale; la notte diviene «uragano morto» che lascia cadere oscura lava, comunicando un senso appiccicoso, quello che Neruda porta in sé dalle origini, dal paesaggio natale -il «crocicchio triste» del sud cileno, madido d'acqua-, dalla pioggia che sente cadere «con petali di vetro». È un elemento viscido e al tempo stesso tagliente, stridente o sordo che si diffonde. Tutto incombe e il cielo assume dalla pioggia la sua natura, divenendo una sola goccia che suona cadendo nella solitudine. L'udito dell'uomo ingigantisce nell'ascolto del tempo, che trascorre in un caos minaccioso.

Nei versi di Neruda si coglie un potere allucinante; l'immagine sorge in forme del tutto nuove, con colori lugubri, suoni stridenti o agghiaccianti afonie. Nel cuore di una notte che occupa tutto l'universo si leva, osteggiata dal vento e dalla pioggia, la triste lamentazione del poeta.

A Tentativa del hombre infinito seguono due raccolte di prose, El hombre y su esperanza e Anillos, entrambe del 1926. Neruda ha sempre affermato145 di essere alieno dal consegnare alla prosa gli esiti della poesia e nel breve prologo a El habitante y su esperanza dichiara di aver scritto lo strano racconto solo su richiesta dell'editore, ma che in realtà non lo interessa narrare cosa alcuna. Ciò non significa che la prosa nerudiana sia priva di interesse e di valore; anzi, essa è quasi sempre una nuova espressione di poesia.

Fotografía de Neruda huyendo de la persecución

Ande, 1949: Neruda passa la cordigliera per sfuggire alla persecuzione

 Fotografía de Neruda y Matilde

Neruda e Matilde

 Imagen de María Celeste

La Maria Celeste

 Interior de la casa de Neruda en Isla Negra

Interno della casa di Neruda a Isla Negra

 Documento autógrafo de Neruda

Autografo del poeta

El habitante y su esperanza presenta pagine vagamente narrative. Lo scritto è stato chiamato impropriamente «romanzo», ma col romanzo ha poco -o nulla- a che vedere e ciò che in esso meno importa è proprio la narrazione. A stretto rigor di termini Neruda non racconta nulla: non esiste nello scritto che un sottile filo disperso, che conduce all'intuizione vaga di un momento tragico, di un delitto, di una vendetta o di una restaurata giustizia.

Il merito maggiore di questo scritto è di offrire un'atmosfera nebulosa, fatta di notazioni vaghe, di profonde interpretazioni animiche, ma rifuggente completamente dal consueto modulo della narrazione. Sono prose essenzialmente poetiche, di potere altamente drammatico, significative per l'interpretazione del mondo intimo nerudiano. Il poeta ha dato sfogo, qui, alla sua concezione della vita come dramma; ma non è il dramma particolare che conta, bensì il suo riflettersi nei moti confusi che si manifestano nell'uomo e che lo dominano: «tutto avviene dentro con movimenti e colori confusi, senza distinzione».

L'uomo appare dominato dal peso della fatalità, il mondo incombe su di lui. Nell'espressione di questa concezione drammatica ogni pagina è una costruzione lirica perfetta, che potrebbe vivere autonoma. Il significato dello scritto, come ha notato il Cardona Peña146, è che l'uomo è al tempo stesso attore e spettatore della propria catastrofe. La speranza è il nuovo giorno, l'eliminazione di un'immobilità, lo scuotersi da un abbattimento. Frasi intere restano impresse nel lettore per il loro significato intrinseco, assai più di qualsiasi narrazione o racconto di fatti. Ne El habitante y su esperanza la natura finisce per essere la grande protagonista. Le immagini di tristi realtà sono desolate, come lo saranno nelle Residencias. Già qui si parla di giorni tristi che «si trascinano disgraziatamente»147. La drammaticità del momento è rivelata da molteplici elementi, dalla sera, «bocciolo freddo da cui come neri fiori emergono ombre»148, da foglie che strisciano, da uccelli che precipitano: «Con gran passione le foglie si trascinano lamentandosi, gli uccelli si lasciano cadere dalle alte uccelliere e rotolano rumorosi fino al pallido tramonto, dove stingono lievemente»149. La notte cupa «sale dai buchi tappando tutto col suo manto senza sosta»150. La solitudine diffonde un odore freddo; le ore del dolore si succedono e infiniti segni recano la testimonianza di un mondo che vive nel dramma. Ma ciò che maggiormente domina le pagine de El habitante y su esperanza, insieme al colore autunnale della terra, è la presenza della pioggia; mare e pioggia sono all'origine delle emozioni del poeta; Neruda ha detto151 che in questo scritto, allo stesso modo che nei Veinte poemas de amor, vi è molta creazione emotiva dei suoi ricordi marini.

Quanto ad Anillos, è un libro scritto a due mani da Neruda e dall'amico Tomás Lago, in un regolare avvicendamento di pagine, nell'intento di rendere omaggio al comune amico Alberto Rojas Jiménez. Al momento della stampa, tuttavia, la pubblicazione apparve priva della dedica che era nelle intenzioni. Le prose di Neruda sono facilmente isolabili nel libro, anche se è da sottolineare la perfetta fusione dei due stili, per cui si è parlato di «prose siamesi»152. L'interesse delle pagine nerudiane sta nel clima poetico che esse suscitano, assai vicino anch'esso a quello delle prime Residencias, pur con non infrequenti identificazioni gioiose con la natura. Ciò che domina, tuttavia, è la malinconia, l'angoscia che scaturisce dall'attento attingere l'intimo palpito del mondo. Neruda è il cantore dell'autunno, delle selve, degli uccelli, delle acque del Sud, in un'atmosfera di raccolta solitudine, che diffonde un senso di tristezza sottile, preannuncio di momenti più cupi.

In prose così intime non è da ricercare il motivo civile, anche se esso si manifesta nell'ampio senso di solidarietà umana. Nelle pagine di Anillos Neruda è attento essenzialmente a percepire la voce delle cose, la loro poesia, la nota malinconica che scaturisce da un paesaggio dominato dal sentimento. Egli si compiace di questo momento e non si preoccupa di superarlo; è lo sfogo di un animo poetico aperto alle emozioni più profonde. Ma le prose di Anillos non vivono solo come preannuncio di atteggiamenti che svilupperà la lirica nerudiana successiva; esse hanno una loro inconfondibile autonomia artistica. È sufficiente il lirismo di «Soledad de los pueblos» o di «Atardeceres» ad attestarlo. La validità di Anillos riposa su questo e sulla sensibilità che lo informa, sul valore pittorico delle descrizioni, che si manifesta in eccezionali risultati cromatici.

Il periodo iniziato con Crepusculario conclude nella prima Residencia en la tierra, ed è già un momento insostituibile della poesia nerudiana, dalla cui conoscenza è impossibile prescindere se si vuol penetrare il significato della lunga stagione creativa del poeta, cogliendo le radici profonde che riaffiorano costantemente in tutta la sua opera.



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