Neruda
Giuseppe Bellini
A Pablo Neruda
scomparso il
23 Settembre 1973 in un'ora tragica per il Cile
L'autore, l'editore
Miguel Ángel Asturias: Pablo Neruda vivo1
Ora, | |||
la civica grandezza del Cile | |||
calpestata da scarpe militari, | |||
persecuzione, fucilazioni, rovine, | |||
e la diastole e la sistole | |||
di un solo cuore, | |||
la diastole, Allende, | |||
la sistole, Neruda, | |||
nessuno li separi, | |||
il loro esempio | |||
non è da requiem a requiem, | |||
è da «sursum» a «sursum», | |||
e sorgerà più alta la grandezza del Cile, | |||
la civica grandezza ch'era orgoglio d'America | |||
e canterà Neruda che ormai fuori del tempo | |||
incarnerà mill'anni | |||
di uccelli di schiuma... |
La lotta non finisce, | |||
nel sangue cileno | |||
s'è fatto luce il tuo destino, | |||
dacci le tue fiamme, | |||
la poesia di fuoco | |||
che marcò tiranni, | |||
traditori e lacchè... |
Nessuno parli della tua morte: | |||
io ti proclamo vivo, | |||
io ti proclamo vivo, | |||
e al richiamo del Cile, | |||
tu rispondi: Presente!... |
Miguel Ángel
Asturias (Premio Nobel) |
Il 23 settembre 1973 Pablo Neruda, il maggior poeta del nostro tempo e comunque quello di più vasta risonanza internazionale, si spegneva, vinto da un male incurabile, in una clinica di Santiago, lontano dalla residenza preferita di Isla Negra, posta di fronte all'oceano che tanto aveva amato e cantato nella sua poesia. Egli scompariva in un momento estremamente drammatico per il suo paese, sconvolto dall'intervento dei militari, dalla tragica fine -suicidio o omicidio?- del presidente Salvador Allende, dal sanguinoso processo di «normalizzazione» degli autori del colpo di stato. Nel clima dell'immane tragedia la morte di Neruda, avvenuta a pochi giorni di distanza da quella di Allende, assume un significato simbolico. Sul mondo cileno -ma oserei dire su tutto il mondo latino-americano- torna a scendere la notte dell'oppressione, contro la quale il poeta aveva sempre lottato. Se con la morte del presidente cileno scompare il simbolo di un diverso ordine politico-sociale, di un tentativo americano di uscire dalle ombre di un anacronistico medioevo, con quella di Neruda sembra tacere la voce di tutto un popolo, di tutto un continente che in lui aveva trovato la propria espressione. Egli lo aveva cantato per tutta la vita, ricostruendone incessantemente la speranza, sostenendolo nello scoraggiamento, dandogli la certezza nell'avvento di un futuro di segno diverso, che ostinatamente prospettava vicino.
Che Neruda
credesse davvero nella realizzazione di un mondo nuovo, fatto di
libertà e di giustizia, lo attestano la condotta di tutta
una vita e la sua opera di poeta. Egli vi credeva con
volontà, quasi con disperazione, nonostante le ricorrenti
delusioni, le molteplici sconfitte dell'uomo, delle quali fu
testimone partecipe per tutta l'esistenza. In epoca non troppo
remota aveva confessato di essere stato un uomo fortunato per aver
trovato la solidarietà anche negli sconosciuti: «Io sono stato un uomo fortunato. Conoscere la
fraternità dei nostri fratelli è un meraviglioso dono
della vita. Ma sentire l'affetto di coloro che non conosciamo,
degli sconosciuti che stanno vegliando il nostro sonno e la nostra
solitudine, i nostri pericoli o il nostro abbattimento, è
una sensazione ancor più grande e più bella
perché amplia il nostro essere e comprende tutte le
vite»
2.
La constatazione
dell'esistenza della solidarietà, che da un umile scambio di
doni tra bambini ai tempi della prima infanzia si proietta sugli
anni di una maturità insidiata dalla persecuzione politica,
sostiene l'ottimismo del poeta e dà un significato di
«restituzione» a quanto egli ha scritto: «Quell'offerta portava per la prima volta alla
mia vita un tesoro che mi accompagnò più tardi: la
solidarietà umana. La vita l'avrebbe posta sulla mia strada
più tardi, facendola risaltare contro l'avversità e
la persecuzione. Non sorprenderà, allora, che io abbia
cercato di ricambiare con qualcosa di balsamico, di odoroso e di
terrestre la fraternità umana»
3.
Ancora in
occasione del discorso d'accettazione del Premio Nobel per la
letteratura, nel 1971, Neruda ribadiva la propria ostinata certezza
nella costruzione del mondo felice; rifacendosi a Rimbaud, ne
sottolineava un verso profetico, «À l'aurore, armés d'une ardente patience,
nous entrerons aux splendides Villes»
, e
affermava: «Io credo in questa profezia
di Rimbaud, il veggente. Io vengo da un'oscura provincia, da un
paese separato da tutti gli altri da una netta geografia. Sono
stato il più abbandonato dei poeti e la mia poesia fu
regionale, dolorosa e piovosa. Ma ebbi sempre fiducia nell'uomo.
Non persi mai la speranza. Per questo, forse, sono giunto fin qui
con la mia poesia, e anche con la mia bandiera. In conclusione devo
dire agli uomini di buona volontà, ai lavoratori, ai poeti,
che l'intero avvenire fu espresso in quella frase di Rimbaud: solo
con un'ardente pazienza conquisteremo la splendida città che
darà luce, giustizia e dignità a tutti gli uomini.
Così la poesia non avrà cantato
invano»
4.
Di fronte a queste parole di Neruda ancor più si accentua il contrasto col momento storico in cui avviene la sua fine. Matilde, moglie del poeta, ha dichiarato che, pur lavorando fino all'ultimo istante alla conclusione delle sue memorie, e dopo aver lasciato un'ultima testimonianza di condanna contro i «golpisti», egli si lasciò praticamente morire. Il crollo di tante speranze, unito alla coscienza della fine prossima, dovette togliere a Neruda ogni volontà di prolungare, sia pure di qualche giorno o di qualche ora, un'esistenza che ormai vedeva inutile.
Anche le immagini
successive alla scomparsa del poeta, fornite dai mezzi
d'informazione, costituiscono un documento agghiacciante della
tragedia cilena: il feretro, vegliato dall'indomita compagna della
sua vita, deposto a terra, in una stanza della casa di Santiago che
mostra evidenti i segni del saccheggio; il funerale che, nonostante
il divieto dei militari, finisce per riunire una folta schiera di
amici e di popolo; le grida che si levano a salutare in Neruda la
scomparsa dell'ultimo simbolo della libertà. È lecito
affermare che nessun poeta al mondo, meglio di Neruda,
rappresentò in modo più vitale il suo popolo. Alle
sue letture poetiche, ai suoi interventi anche d'ordine politico,
le piazze non erano sufficienti. Quando egli fece ritorno in Cile
dopo la persecuzione di González Videla, le accoglienze
popolari, in regime non di sinistra, furono imponenti. Lo stesso
accadde sul finire del 1972 quando lasciò l'ambasciata di
Parigi per far ritorno, ormai minato irrimediabilmente dal male, ma
sempre ottimista, a Isla Negra e alla poesia. In una lettera da
Parigi del novembre 1972 egli appare abbattuto dall'insistere di
una malattia della cui natura esatta non era a conoscenza; e
tuttavia non cessava di fare progetti per il futuro5.
La prospettiva di tornare in Cile per dedicarsi esclusivamente alla
poesia doveva sorridergli. In un'altra lettera, del febbraio 1973
-documento tra i più toccanti, alla luce degli avvenimenti-
Neruda manifestava un senso di liberazione: «Ho rinunciato alla famosa ambasciata che mi
asfissiava»
6.
E continuava preannunciando i festeggiamenti che per i suoi
settant'anni il presidente Allende intendeva organizzare quale
omaggio ufficiale del paese. Per quell'occasione, il luglio 1974,
il poeta voleva intorno a sé gli amici più cari,
coloro che avevano studiato e diffuso la sua poesia in ogni parte
del mondo. Intanto era tornato al lavoro, quasi in modo frenetico:
«Sto scrivendo come mai
prima...»
7.
In un'ultima lettera, dell'11 luglio 1973, poco più di due
mesi prima della sua morte, egli tornava a parlare di progetti per
il luglio 19748.
La condizione
disarmata dell'uomo di fronte alla morte, tante volte denunciata
nella sua poesia da Neruda, così vicino, per questo tema, al
gran cantore ispanico della morte, Francisco de Quevedo, acquista
un rilievo singolare alla luce delle ultime lettere. L'inquietudine
nerudiana di fronte al futuro traspare, tuttavia, anche nell'opera
che dedica a quella che chiama la «rivoluzione
cilena»9.
Le radici metafisiche operanti nell'intimo del poeta si direbbe che
accentuino la loro nota inquietante proprio negli ultimi tempi. Le
sue preoccupazioni davanti al futuro del paese Neruda le aveva
manifestate anche nel marzo 1972, in occasione della presentazione
in Italia di Fine del mondo. Persino nell'ultimo libro
edito dal poeta l'ottimismo è minato dalla conoscenza di una
realtà che va progressivamente deteriorandosi; le due fonti
maggiori della sua ispirazione, l'oceano e Quevedo sembrano
accentuare l'inquietudine. Neruda trascorre i giorni «leggendo il mare e percorrendo la paura / del
poeta mortal nel suo lamento»
10;
di Quevedo, cioè. Il presentimento doveva avvertirlo che i
giorni ultimi erano prossimi. È tuttavia egli rimaneva al
suo posto, non tanto perché la malattia non gli permetteva
alternative, quanto perché il combattente che egli era stato
non poteva rinnegare se stesso e la propria opera, e doveva morire
sul campo.
Ricardo
Neftalí Reyes Basoalto, che più tardi adotterà
lo pseudonimo di Pablo Neruda -riconosciutogli successivamente con
legge dello stato-, nacque il 12 luglio 1904 a Parral, nel sud
estremo e piovoso del Cile, da Rosa Neftalí Basoalto,
maestra e un po' poetessa, e da José del Carmen Reyes
Morales, ferroviere. La madre morì nell'agosto dello stesso
anno e nel 1906, trasferitosi a Temuco, il padre sposa Trinidad
Candia Marverde. Sarà questa la «Mamadre», la
due volte madre, cantata da Neruda nel Memorial de Isla
Negra, ma anche celebrata anteriormente quale immagine della
bontà continuamente distribuita. Della madre vera, ricordata
solo per un ritratto -«Era una signora vestita di nero, magra
e pensierosa»11-,
non farà altro che accenni, nei quali è confermata la
sua estraneità al mondo affettivo nerudiano. Nel Memorial il poeta
tornerà a farvi allusione, come a una presenza che rimane
«scontrosa ed evasiva» tra le ombre12.
Verso la matrigna, al contrario, l'affetto di Neruda andrà
continuamente; persino il nome che le spetta nella gerarchia della
parentela familiare gli sembrerà offensivo sul piano della
realtà affettiva: «Mi sembra
incredibile -egli scrive- di dover dare questo nome [matrigna]
all'angelo tutelare della mia infanzia. Era diligente e dolce,
aveva il senso dello humour contadino, una bontà attiva e
infaticabile. Appena arrivava mio padre, lei si trasformava in
un'ombra, dolce come tutte le donne d'allora e di
laggiù»
13.
Il padre lascia
un'orma assai profonda nella sensibilità del poeta,
assurgendo nel suo ricordo a categoria mitica, attraverso il tempo.
Neruda lo vede continuamente immerso nella interminabile pioggia
del sud, alla guida del suo treno, «marinaio in terra»
che unisce i porti senza marina. La sua morte, avvenuta il 7 maggio
1938, dà l'avvio nella poesia nerudiana a una ricorrente
immagine che si coniuga con quella dei treni e dei boschi
dell'infanzia: «Fu cattivo agricoltore
-scrive di lui il figlio-, ma buon ferroviere. Mio padre fu
ferroviere con l'anima. Mia madre poteva distinguere nella notte,
tra gli altri treni, il treno di mio padre che arrivava o partiva
dalla stazione di Temuco»
14.
Il ricordo del
paesaggio natale, la presenza degli alberi della selva, la pioggia
inclemente, colorano di una sottile nota sentimentale la vita e la
poesia di Pablo. Le scorribande sul treno del padre, addetto al
trasporto di zavorra per le traversine della strada ferrata, la
compagnia dei manovali -spesso avanzi di galera, come Monge; del
quale il poeta conserverà per sempre il ricordo di
insospettata bontà-, avevano per il giovane il significato
di una scoperta del mondo. Questo gli si mostrava nei mille incanti
che affascinano il bimbo che si apre alla vita. L'amore per la
natura, per gli insetti del bosco, per gli alberi e le piante ha la
sua origine in questo periodo incantato dell'infanzia e colora di
sé tutta la poesia nerudiana, storia inesauribile di
presenze minime, di acque e di vegetazione. Da quel periodo viene a
Neruda l'amore per la legna, al quale fa continuamente riferimento
nella sua poesia15.
In altro luogo ha scritto: «La natura,
lì, mi dava una specie di ebbrezza. [...] Non scrivevo
versi, ma mi attiravano gli uccelli, gli scarabei, le uova di
pernice»
16.
La vita nel sud
cileno, a Temuco, dove Neruda inizia e compie i primi studi, era
dura come quella dei pionieri. La casa di legno, la comunione con
le altre famiglie, in un agglomerato autosufficiente, dove il
danaro era scarso ma molto era l'ingegno, costituiscono il
fondamento di un'esperienza vitale il cui valore permarrà
inalterato per il resto della vita: «Dal
fondo del cortile i Reyes e gli Ortega, i Candia e i Masson, si
scambiavano arnesi e libri, torte per i compleanni, unguenti per le
frizioni, ombrelli, tavole e sedie»
17.
La figura eminente del gruppo è Carlo Masson «nordamericano dalla zazzera bianca, somigliante
a Emerson»
, patriarca della famiglia, i cui esponenti
più giovani erano ormai «profondamente creoli»
18.
Neruda ricorda l'attività dei Masson con ammirazione:
«In questa famiglia, senza che nessuno
avesse danaro, nascevano stamperie, alberghi, macellerie. Alcuni
dei figli erano direttori di giornali, altri erano operai nella
stessa stamperia»
19.
Nel 1910 Neruda si
iscrive al liceo maschile di Temuco. Nel tempo l'impressione di
questi anni dell'adolescenza rimane legata al senso di freddo
provato nella scuola. Il concetto della durezza dei costumi per la
formazione dell'uomo, insieme all'imprevidenza, dominava la
pedagogia del tempo. La realtà circostante offriva
continuamente una lezione di limite; l'uomo doveva essere preparato
a tutto, alla distruzione e alla morte, alle piogge torrenziali e
ai venti che scoperchiavano le case, ai terremoti e agli incendi:
«Ogni uomo del sud ha tre o quattro
incendi completi nella sua vita. Forse il ricordo più remoto
della mia persona è vedermi seduto su delle coperte davanti
alla casa, che ardeva per la seconda o per la terza
volta»
20.
Il ricorrere della
disgrazia non fa che accrescere tra i pionieri, in
un'attività febbrile, il vigore della ripresa: «le segherie cantavano. Il legname si accumulava
nelle stazioni e di nuovo i villaggi odoravano di legno
fresco»
21.
Neruda ha sottolineato il significato positivo della vita in una
casa di legno «appena uscita dal
bosco»
22,
privilegio che distingue chi è nato nelle sterminate
estensioni del sud.
A Temuco
l'esperienza di Pablo è con una vita di manifestazioni
vigorose del coraggio e della forza. I grandi riti barbari dei
pionieri restano impressi per sempre nella sua sensibilità,
come lo restano le esperienze raccolte, i ritrovamenti del bosco, i
giochi nel freddo della scuola, il sorgere del primo amore, che
canterà più tardi in Estravagario e nel Memorial e di cui in Infancia y poesía parla
come di qualcosa di romantico e di crepuscolare: «Mi par di ricordare che si chiamava
María, ma non ne sono sicuro. Ricordo invece che tutto quel
confuso primo amore, o qualcosa di simile, fu fulmineo, doloroso,
pieno di emozioni e di tormenti, e impregnato in ogni fessura di un
penetrante aroma di lillà
conventuali»
23.
La direttrice del
liceo dove Neruda studiava, la poetessa Gabriela Mistral, Premio
Nobel per la letteratura nel 1945, avvia il giovane alle prime
letture: «Fu lei che mi fece leggere i
primi grandi nomi della letteratura russa, che tanta influenza
ebbero su di me»
24.
Ma oltre ai russi le letture nerudiane si estendono ai libri
d'avventure di Salgari, i cui eroi verranno frequentemente
ricordati dal poeta. Intanto incomincia a scrivere versi, in un
clima spirituale che, sostanzialmente, darà orma definitiva
alla sua poesia: «Salgo nella mia stanza.
Leggo Salgari. La pioggia si rovescia come una cateratta. In un
minuto la notte e la pioggia coprono il mondo. Lì sono solo
e scrivo versi sul mio quaderno
d'aritmetica»
25.
Sono i quaderni che la sorella Laura conserverà gelosamente.
In Neruda il poeta sorgeva d'improvviso, tra l'incomprensione, o
meglio l'indifferenza dei genitori. Egli ricorda nelle
Memorie l'indifferenza paterna di fronte alla sua prima
poesia, che per lui aveva invece il significato di una
straordinaria apertura spirituale: «una
volta sentii un'intensa emozione e scrissi alcune parole
semirimate, ma estranee a me, diverse dal linguaggio giornaliero.
Le trascrissi in bella copia su un foglio, preso da
un'ansietà profonda, da un sentimento fino allora
sconosciuto, una specie di angoscia e di
tristezza»
26.
Le letture si
ampliano, intanto, a Verne, a Vargas Vila, a Strindberg, a Gorki,
Felipe Trigo, Diderot, Victor Hugo, Bernardin de Saint-Pierre; il
poeta incomincia a intravvedere «misteri preoccupanti».
Egli scrive: «Il sacco della sapienza
umana si era rotto e si sgranava nella notte di Temuco. Non
dormivo, non mangiavo, per leggere. Inutile dire che leggevo senza
metodo. E chi legge con metodo? Solo le statue. Da tutti gli angoli
della terra si entra nella conoscenza. [...] Per me i libri furono
come la selva in cui mi perdevo, in cui continuavo a perdermi.
Erano altri fiori smaglianti, altri fogliami alti e cupi,
misterioso silenzio, suoni celestiali, ma lo era anche la vita
degli uomini al di là dei monti, al di là delle
felci, al di là della pioggia»
27.
La natura schiva
di Neruda lo va isolando nella solitudine. Le impressioni del mondo
piovoso dell'infanzia permeano le prose di Anillos e de El habitante y su esperanza,
brevi raccolte del 1926, ma sono già nei primi libri
poetici, da Crepusculario (1923) ai Veinte poemas de amor y una canción
desesperada (1924), a Tentativa del hombre infinito (1925) e permangono
in tutta la poesia successiva, anche quando la partecipazione del
poeta alla lotta dell'uomo sulla terra è più accesa.
La pioggia rimane presenza incancellabile. Nelle Memorias Neruda ha scritto:
«Comincerò col dire, dei giorni e
degli anni della mia infanzia, che il mio unico personaggio
indimenticabile fu la pioggia. La gran pioggia australe che cade
come una cateratta dal polo, dai cieli di Capo de Hornos fino alla
frontiera. In questa frontiera o Far
West della mia patria nacqui alla vita, alla terra e
alla pioggia»
28.
La sua natura
schiva rende difficile al giovane l'inserimento nella vita di
Santiago, allorché vi si reca, nel mese di marzo del 1921,
per seguire i corsi di lingua e letteratura francese presso
l'Istituto Pedagogico. Nel Canto general egli ricorda il suo arrivo in
città: «giunsi nella capitale,
vagamente impregnato / di nebbia e di pioggia. Che strade erano
quelle?»
29.
Per il poeta Santiago rimase un luogo ostile; egli si sentiva
strappato da una realtà che lo aveva formato intimamente,
che era divenuta parte sostanziale della sua spiritualità.
La sua sensazione è di disancoramento e d'esilio; la
povertà insidia da ogni parte e la monotonia dei giorni che
si susseguono uguali nella miseria assilla il poeta. Nel
Memorial egli
ricorderà quel momento ostile e tuttavia indimenticabile
anche per gli straordinari crepuscoli30.
Già in Crepusculario Neruda consegnava l'esperienza
negativa di quei giorni, il senso di solitudine che si trasformava
in angoscia. Ne fa fede il gruppo di liriche raccolte nel capitolo
«Los crepúsculos de
Maruri», intitolato cioè alla via in cui
era situata la pensione del poeta a Santiago. Più tardi egli
esprimerà il suo stupore per il fatto che nessuno si sia mai
domandato che cosa significasse quel nome nel libro31:
di fronte ai crepuscoli più straordinari che avesse mai
visto e che osservava dal balcone della sua casa, il poeta reagiva
al senso di freddo dell'ambiente cittadino, componendo
freneticamente: «Scrivevo due, tre,
quattro, cinque poesie al giorno»
32.
Nella sua poesia si coglie il senso gelido di quell'esperienza, che
accentua la preoccupazione per la morte: «E la morte del mondo cade sulla mia
vita»
33.
A Santiago,
tuttavia, il giovane poeta stringe amicizie che saranno durature:
Cifuentes, Azócar, Rojas Giménez, Tomás
Lago... Nel 1919 aveva partecipato ai Giochi Floreali del Maule
aggiudicandosi il terzo premio col poema «Las
emociones eternas»; nel 1921 un'altra lirica,
«La canción de la
fiesta», gli ottiene il primo premio nel
Festival di Poesia di Santiago, organizzato dalla Federazione degli
Studenti del Cile. Il nome di Neruda incomincia a diffondersi; egli
collabora alla rivista studentesca «Claridad» e prende parte
attiva al programma di rinnovamento promosso dagli universitari.
Neruda afferma di aver aderito immediatamente all'ideologia
anarco-sindacalista studentesca34.
La sua vocazione di sostenitore delle lotte del popolo si manifesta
già chiaramente. Scrive nelle Memorie: «Noi studenti appoggiavamo le rivendicazioni
popolari ed eravamo bastonati dalla polizia nelle strade di
Santiago. Nella capitale arrivavano migliaia di operai licenziati
dalle miniere di salnitro e di rame. Le manifestazioni e la
conseguente repressione coloravano tragicamente la vita nazionale.
Da quell'epoca e con intermittenza la politica si mescolò
nella mia poesia e nella mia vita. Non era possibile chiudere la
porta che dava sulla strada, nei miei poemi, così come
neppure era possibile chiudere la porta all'amore, alla vita, alla
gioia o alla tristezza nel mio cuore di giovane
poeta»
35.
Dalle parole
trascritte appare chiaro come Neruda abbia sempre rifiutato rigidi
incasellamenti. In più di una conversazione egli ha ribadito
la sua avversione all'immagine falsa che della sua poesia si
è andata diffondendo, sottolineata esclusivamente ora nel
suo aspetto politico, a scapito di quello più marcatamente
legato al sentimento e alla vita interiore, a una metafisica che ne
è una delle componenti più rilevanti, ora esaltata
esclusivamente per queste connotazioni e per il tema dell'amore, a
scapito di una moralità che si esplica anche nella
partecipazione attiva alla lotta politica. Neruda ha detto:
«La mia poesia non è né
politica né amorosa, né metafisica; essa rappresenta
una logica fusione di tutti questi temi, di queste sollecitazioni,
come del resto avviene nella vita; è il ritratto dell'uomo
che io sono, della mia partecipazione diretta all'esistenza, non
solo come spettatore. Sbagliano coloro che vogliono far spiccare
una parte della mia poesia a scapito dell'altra, perché non
esiste un'altra. Non vi è contrapposizione in essa.
E in ogni momento, è certo, io sono e mi sono sentito un
uomo impegnato, con me stesso e col mio
prossimo»
36.
Di ciò fa
fede, fin dall'epoca più remota, l'enunciazione da parte di
Neruda della sua poetica, «Sobre una
poesía sin pureza». Lo scritto appare
sulla rivista «Caballo verde para la
poesía», fondata dal poeta a Madrid
prima della guerra civile. L'attenzione che egli porta alle
espressioni più umili della vita dell'uomo, quali fonti
della più schietta poesia, non è meno intensa di
quella con cui considera il sentimento, rivalutandone il
significato poetico permanente: «Così sia la poesia che cerchiamo,
sciupata come da un acido dai doveri della mano, penetrata dal
sudore e dal fumo, odorosa di orina e di giglio, macchiata dalle
diverse professioni che si esercitano dentro e fuori della legge.
Una poesia impura come un vestito, come un corpo, con macchie di
nutrimento, e atteggiamenti vergognosi, con rughe, osservazioni,
sogni, veglie, scosse, idilli, credenze politiche, negazioni,
dubbi, affermazioni, imposte»
37.
Nel 1923, durante
un breve soggiorno a Temuco, Neruda compone El hondero entusiasta.
«Tremende inquietudini agitavano la mia
poesia -egli afferma-. In rapidi viaggi al sud rinnovavo le mie
forze»
38.
Sabat-Ercasty e Walt Whitman sono i poeti che maggior influenza
esercitano in questo periodo sul giovane. Il suo verso va facendosi
più originale, nell'ambito del movimento ultraista,
finché nel 1924 i Veinte poemas de amor y una canción
desesperada mostrano appieno questa originalità:
«Allora, costringendo la forma, curando
ogni passo, senza perdere il mio impeto originale, cercando di
nuovo le mie reazioni più semplici, il mio stesso mondo
armonico, incominciai a scrivere un altro libro d'amore. Furono i
Veinte
poemas»
39.
L'apparizione, nel
1925, di Tentativa
del hombre infinito e nel 1926 di El habitante y su esperanza e di
Anillos
completa un momento definitivo per la poesia nerudiana. Scrive
Margarita Aguirre40
che tra il 1924 e il 1927 Pablo Neruda è il poeta più
popolare del Cile, malgrado la presenza di altri nomi di rilievo,
Gabriela Mistral e Vicente Huidobro, quest'ultimo marcatamente
intellettualistico e teso anche ad ambizioni politiche, la
presidenza della repubblica. L'aspirazione di Neruda è
invece quella di uscire dal ristretto ambito nazionale, di
viaggiare, di scoprire il mondo. Egli mira, perciò, a un
incarico diplomatico non d'impegno, e riesce a ottenerlo attraverso
la protezione di un amico, l'ambasciatore Bianchi, che superando
mesi di dilazioni lo presenta direttamente al ministro per gli
affari esteri. Il desiderio di Neruda era di recarsi in Europa, ma
non essendovi posti vacanti in questo settore della diplomazia
cilena fu nominato console a Rangoon. Nel 1927 il poeta parte per
raggiungere la sede diplomatica, visita Buenos Aires, Río de
Janeiro, Lisbona, si trattiene alcuni giorni a Madrid, dove conosce
Guillermo de Torre, al quale propone i primi poemi di Residencia en la tierra,
con esito negativo: «Egli lesse le prime
liriche e alla fine mi disse, con tutta la franchezza dell'amico,
"che non vedeva né intendeva nulla e che non sapeva cosa mi
proponessi con ciò"»
41.
Neruda parte quindi per Marsiglia, dove s'imbarca diretto in India.
Ha inizio, così, per una serie di circostanze fortuite,
un'esperienza che sarà decisiva per la spiritualità
nerudiana e, di conseguenza, per la sua poesia. Il suo vagare da
Rangoon -dove conosce l'inquietante amore della birmana Josie
Bliss, che canterà nelle Residencias e ancora ricorderà nel
Memorial de Isla
Negra e nelle Memorie- a Ceylon, a Batavia -dove si
sposa con un'olandese, Maria Antonietta Agenaar, dalla quale
più tardi divorzierà- lo pone a contatto di una
realtà sconvolgente, dove miseria e ricchezza convivono
strettamente, di un mondo in cui l'uomo rivela la propria
condizione miserabile di fronte all'indifferenza degli dei e degli
uomini: la «lampada sulla terra» che si spegne nel
fango del sobborgo.
La misura esatta di questa esperienza ci è offerta da «Entierro en el Este», della prima Residencia en la tierra. Ancora in epoca recente, nel Memorial de Isla Negra, la lezione di quel continuo contatto con la morte appariva operante42. In Asia i giorni si succedono con ossessionante monotonia per il poeta, isolato dall'impossibilità di capire la lingua e di farsi capire, immerso in una luce implacabile che accentua la solitudine e l'esasperazione. In «Aquella luz» del Memorial de Isla Negra rivive, insieme alla lezione etica, la nota esasperata della solitudine, del resto continuamente evocata da Neruda anche nelle Memorias43. Gran parte delle Residencias reca l'orma incancellabile di questa esperienza. Riferendosi al manoscritto della prima Residencia en la tierra -che Neruda gli aveva inviato e che invano tentò di pubblicare, finché per l'intervento di Pedro Salinas «una serie del gran libro di Pablo»44 apparve sulla «Revista de Occidente» di Ortega-, Rafael Alberti scrive:
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Nel 1932 Neruda
torna in Cile, dove pubblica il primo volume delle Residencias. La gran stagione
nerudiana ha concretamente inizio con questo libro e la fama del
poeta si diffonde. Nel 1933 egli è console a Buenos Aires,
dove ha occasione di conoscere Federico García Lorca, al
quale rimarrà legato da un'amicizia che sopravviverà
alla scomparsa del poeta spagnolo. Nell'ambito letterario
bonaerense Pablo Neruda stringe altre durature amicizie:
Gonzáles Carvallo, Oliverio Girondo, Norah Lange, Ricardo
Molinari, Raúl González Tuñón, Sara
Tuñón de Rojas Paz, alla quale, con García
Lorca, regala un libro manoscritto e disegnato46.
Nominato console a Barcellona nel 1934 il poeta vive soprattutto a
Madrid, dove è poi console, nel 1935. Alberti
racconta47
che un giorno del mese di giugno del 1934, quando più non
l'aspettava ed era ormai parecchio tempo che non sapeva nulla di
lui, Neruda gli si presenta improvvisamente nella sua casa di
Madrid. Nel Canto
general, rivolgendosi all'amico, il poeta rievocherà
quel tempo, lontano, ma sempre vivo nella memoria come stagione
felice, ricordando ciò che allora recava con sé:
«sogni spezzati / da implacabili acidi,
presenze / in acque esiliate, in silenzi / da dove le radici amare
emergevano / come legni bruciati nel bosco»
48.
Nel tempo Neruda sottolineerà ciò che
significò l'amicizia con Alberti: «la tua voce, marinaio, li attendeva / per darmi
il benvenuto e la fragranza / della violacciocca, il miele dei
frutti marini»
49.
Scriverà Alberti:
|
Come la residenza
in Asia, anche se in senso più positivo dal punto di vista
spirituale, il soggiorno in Spagna segna un momento definitivo per
Neruda. Egli entra in pieno nel fervore della vita intellettuale
madrilena; gli sono amici, oltre a Lorca e ad Alberti, Aleixandre,
Altolaguirre, Cernuda, Diego, Felipe, Jorge Guillén,
Salinas, Miguel Hernández, Vivanco... I poeti spagnoli
offrono al fratello cileno un omaggio significativo, pubblicando i
tre Cantos
materiales, e pongono l'accento, nella presentazione, sulla
sua «straordinaria personalità e
l'indubitabile altezza letteraria»
51.
Pablo Neruda conserverà sempre viva l'impressione di quel
soggiorno. Nelle Memorie scrive: «Tutta quell'epoca di prima della guerra ha per
me un ricordo come di grappolo la cui dolcezza è ormai sul
punto di darsi, ha una luce come quella del raggio verde quando il
sole scende all'orizzonte marino e s'accommiata con un lucore
indimenticabile»
52.
E ancora ricorda gli amici, l'incontro con la sostanza più
viva della Spagna: «Quella Madrid! Ce
n'andavamo con Maruja Mayo, la pittrice gagliega, per i sobborghi
bassi cercando le case dove vendono sparto e stuoie, cercando le
strade dei bottai, dei cordai, di tutte le materie secche della
Spagna, materie che intrecciano e torcono il cuore. La Spagna
è secca e pietrosa, e il sole la colpisce verticalmente
facendo scaturire scintille dalla pianura... costruendo castelli di
luce col polverone. Gli unici fiumi di Spagna sono i suoi poeti.
Quevedo con le sue acque verdi e profonde, dalla schiuma nera;
Calderón con le sue sillabe che cantano, i cristallini
Argensola; Góngora, fiume di rubini»
53.
Ai poeti
menzionati si aggiungeranno anche Garcilaso, Manrique, il conte di
Villamediana, ma sarà soprattutto Quevedo a significare per
Neruda il ritrovamento di una regione spirituale che gli è
propria e che invano andava cercando. Nel Viaje al
corazón de Quevedo scrive: «La vita mi fece percorrere i più lontani
luoghi del mondo prima di arrivare a quello che avrebbe dovuto
essere il mio punto di partenza: la Spagna. E nella vita della mia
poesia, nella mia piccola storia di poeta, mi toccò
conoscere quasi tutto prima di arrivare a
Quevedo»
54.
L'incontro col
poeta del Seicento spagnolo, col gran cantore della
fragilità umana e della morte, fu occasionale. Neruda
racconta55
che avvenne in un negozio di libri usati della stazione madrilena
di Atocha, nel 1935. Lì egli trovò «un vecchio e tormentato libretto»
,
rilegato in pergamena, con l'opera poetica di Quevedo. Passò
la notte leggendo intensamente; quella lettura valse a riscattarlo
dall'idea «buffonesca, parasatirica» avuta
precedentemente da «cattivi testi» e da «cattive
antologie». Nel Viaje citato Neruda confessa cosa significò
per lui l'incontro con il vero Quevedo: «Quevedo fu per me la roccia tumultuosamente
tagliata, la superficie emergente a taglio su un mondo d'arena, su
un paesaggio storico che solo allora m'incominciava a nutrire. I
miei oscuri dolori che volli vanamente formulare, e che forse si
fecero in me estensione e geografia, confusione d'origine, palpito
vitale per nascere, li trovai dietro la Spagna, inargentata dai
secoli, nell'intimo della struttura di Quevedo. Fu allora il mio
padre maggiore il mio "visitatore" di
Spagna»
56.
L'orma di Quevedo rimarrà profonda, permanentemente viva in Neruda. Anche nel crepuscolo della sua esistenza Quevedo torna a essere fonte di riflessione amara, compagno nel momento difficile, accentuando il dubbio e la separazione. Nell'ultimo libro edito dal poeta, lo scrittore spagnolo è accomunato all'oceano, «due gravi dismisure»57, e la sua poesia è sempre «il verso favorito»58. Le stesse radicali preoccupazioni, anche se con sbocchi diversi, accomunano sempre più, nel tempo, i due poeti59. Ma già nel 1935 Neruda rendeva un significativo omaggio a Quevedo pubblicandone presso «Cruz y Raya» i Sonetos de la muerte.
Nel clima
madrileno, propizio ormai a Neruda e alla sua attività, egli
fonda la rivista «El caballo verde para la
poesía», esercitando sul gruppo dei
giovani poeti spagnoli un'influenza determinante. Lorca lo aveva
presentato nel 1934 all'Università di Madrid come «un autentico poeta, di quelli che hanno i sensi
ammaestrati in un mondo che non è il nostro e che poca gente
conosce. Un poeta più vicino alla morte che alla filosofia;
più vicino al dolore che all'intelligenza; più vicino
al sangue che all'inchiostro. Un poeta pieno di voci misteriose
che, fortunatamente, lui stesso non sa decifrare; un uomo vero che
ormai sa che il giunco e la rondine sono più eterni della
guancia dura della statua»
, sostenendo che la sua poesia
si levava «con tono mai uguagliato in
America, di passione, di tenerezza e di
sincerità»
60.
Sulla rivista da
lui diretta Pablo Neruda prende posizione intorno alla poesia
pubblicando il già citato articolo «Sobre una poesía sin
pureza», che lo pone in posizione ben definita
di fronte alla poesia pura, in Spagna rappresentata nella sua
massima espressione da Juan Ramón Jiménez. Si
comprende facilmente che tra Neruda e Jiménez nella
concezione della poesia doveva esistere un abisso; ma ciò
non avrebbe dovuto impedire il riconoscimento del valore reciproco.
Sta di fatto che Jiménez nutriva nei confronti di Neruda un
certo risentimento per taluni cori «stupidi e beoti» ai
quali partecipava al telefono contro di lui61.
In epoca ancora recente il poeta cileno ricordava con divertito
umorismo questi momenti, legati a un periodo vitale della
giovinezza. Ma Juan Ramón Jiménez non gli
perdonò mai. Nel 1939 egli scrisse che Neruda era «un gran poeta, un gran cattivo poeta, un gran
poeta della disorganizzazione; il poeta dotato che non finisce di
comprendere né di impiegare le sue doti
naturali»
62.
E ancora: «Pablo Neruda non è in realtà che un
abbondante, trascurato scrittore realista dal disorbitato
romanticismo; nei suoi momenti migliori, un realista
«quasi» magico, senza arrivare a Perse, a Eliot, a
Joyce. Non è, come essi, un cosciente profondo del
subcosciente, un castigatore che sommerge e fonda sorpresa e
potere, con l'entrata qua e là dell'ineffabile, in un vero,
soggiogante, risoluto «realismo magico»63.
Questi e altri giudizi di Jiménez sono stati ripetuti fino alla sazietà dai detrattori del poeta cileno, anche in occasione del Premio Nobel. Si tratta quasi sempre di meschini espedienti che non intaccano il valore e l'originalità della poesia nerudiana, il cui timbro rimane inconfondibile nella lirica del nostro tempo.
Nel 1935 Neruda
pubblica a Madrid la seconda edizione di Residencia en la tierra, includendovi
poemi del periodo 1925-1935; la sua fama cresce ancora,
testimonianza di quel «fluir
vivo» che per Octavio Paz è la poesia
nerudiana64.
Nel 1936, intanto, la situazione spagnola precipita e proprio
quando il 19 luglio appare il sesto numero del «Caballo verde» la
ribellione franchista è un fatto compiuto. La stagione
felice si chiude; Lorca manca all'appuntamento: «Era ormai sulla strada della morte. Non ci
vedemmo mai più»
65.
Anche l'atteggiamento di Neruda cambia, e cambia la sua poesia, che
abbandona «la metafisica coperta di
papaveri»
66.
Nelle parole introduttive a «Las furias y las penas»
della terza Residenza il poeta scriverà: «Il mondo è cambiato e la mia poesia
è cambiata. Una goccia di sangue caduta su queste righe
rimarrà a vivere in esse, indelebile come
l'amore»
67.
È questo un
momento decisivo per Neruda, da tempo unito sentimentalmente
all'argentina Delia del Carril «che lo
accompagnerà per molti anni e condividerà le sue idee
politiche»
68.
(Il precedente matrimonio era stato sciolto nel 1936; Neruda aveva
avuto nel 1934 una figlia, Malva Marina, che segue la madre e muore
in Olanda nel 1942). Nel nuovo clima politico il poeta prende
decisamente posizione in favore del governo legittimo ed esplica
un'attività intensa, che provoca il suo richiamo da parte
del governo cileno. Trasferitosi a Parigi, Neruda vi fonda nel 1936
la rivista «Los poetas del mundo
defienden al Pueblo español», con Nancy
Cunard. Nello stesso anno partecipa a Valenza al Secondo Congresso
degli Scrittori, che si conclude a Parigi per l'incalzare della
guerra. Qui, nel febbraio 1937, Neruda commemora la morte di Lorca;
il suo impegno si fa ancor più deciso di fronte alla
tragedia che coinvolge, col popolo spagnolo, gli amici e gli ideali
comuni. All'uditorio dichiara: «Molti forse si attendevano da
me tranquille parole poetiche distanti dalla terra e dalla
guerra... Non sono un politico né mai ho preso parte alla
lotta politica, e le mie parole, che molti avrebbero desiderato
neutrali, sono state colorate di passione. Comprendetemi e
comprendete che noi, poeti dell'America spagnola e poeti di Spagna,
non dimenticheremo né perdoneremo mai l'assassinio di colui
che consideriamo il più grande di noi, l'angelo di questo
momento della nostra lingua... Non potremo mai dimenticare questo
crimine, né mai perdonarlo. Non lo dimenticheremo né
lo perdoneremo mai. Mai»69.
Lorca, gli amici,
la guerra, sono un'esperienza positiva e crudele a un tempo per
Neruda. Nel Memorial
de Isla Negra egli ricorderà continuamente i
primi70,
insieme a ciò che Madrid significò per lui: la casa
coi gerani, i sobborghi umili popolati di bimbi71.
Il senso di orfanezza che la Spagna lascia nel poeta, percepibile
in particolare in «Ahí! Mi ciudad
perdida», è destinato a prolungarsi per
tutta la sua vita. Negli anni a noi più vicini questo senso
si fa tirannico, allorché nei suoi viaggi la nave tocca
porti spagnoli senza che egli possa scendere a terra. Tra i nomi
amici Aleixandre è un simbolo del passato che sopravvive,
lasciato lì «a vivere con i suoi
assenti»
72.
La fine della guerra civile spagnola vede Neruda dedito a una attività instancabile per salvare le vite di tanti perseguitati e proscritti. Nel 1937 era tornato in Cile e aveva fondato la «Alianza de Intelectuales de Chile». A Santiago appare España en el corazón e nel 1938 il poeta Manuel Altolaguirre ne stampa un'edizione sul fronte barcellonese di guerra, nelle stamperie dell'Esercito dell'Est. In Francia Louis Aragon ne fa un'altra edizione, premettendovi un prologo in cui definisce il poema una grandiosa introduzione a tutta la letteratura del nostro tempo.
In patria Pablo Neruda interviene nella propaganda per l'elezione del nuovo presidente della repubblica; le elezioni sono vinte dall'esponente del Fronte Popolare, Pedro Aguirre Cerda che, al termine della guerra spagnola, aderendo alla richiesta del poeta in favore dei profughi, dichiara di accoglierli nel paese. Neruda parte allora per la Francia, nominato console per l'immigrazione spagnola, e va riscattando dai campi di concentramento e dalle prigioni numerose persone; sul finire del 1939 egli riesce a imbarcare sulla nave «Winnipeg» duemila spagnoli, tra i quali Rafael Alberti. È noto che, davanti alle continue difficoltà frapposte alla partenza della nave, Neruda minacciò di uccidersi.
Neruda giovane romantico
Neruda e la sorella
Messico, 1950: Neruda, con Rivera e Siqueiros, firma il «Canto general»
A Parigi Pablo aveva fondato con César Vallejo il «Grupo Hispanoamericano de ayuda a España»; ma in Cile la sua attività non era stata minore. Nel 1938 gli erano morti il padre e la matrigna; a Isla Negra aveva comperato la casa che doveva prediligere per il resto della vita. Nel 1940 egli lascia la Francia e torna in Cile. Già nel 1938 aveva incominciato a scrivere il Canto a Chile, che poi si svilupperà nel Canto general. Dall'agosto 1940 al 1943 Neruda è console a Città del Messico. La nazione sorella diverrà per il poeta una seconda patria, ed egli la canterà continuamente nella sua poesia. La seconda guerra mondiale lo vede opporsi alle tendenze fasciste. Nel settembre 1942 scrive il «Canto a Stalingrado», che viene affisso come manifesto per le strade della capitale; di fronte alle obiezioni di alcuni seguaci della poesia disimpegnata Neruda scrive il «Nuevo canto de amor a Stalingrado». I fascisti lo aggrediscono a Cuernavaca e la reazione di solidarietà degli intellettuali di tutta l'America è imponente. Amico degli artisti messicani più prestigiosi, di Siqueiros e di Rivera, Neruda interviene per salvare il primo implicato nell'affare Trotsky, riuscendo a fargli raggiungere il Cile. Questo intervento gli sarà rimproverato dagli avversari e gli costerà nel 1963 il Premio Nobel.
Lasciato il
Messico Neruda viaggia per l'America; in Guatemala stringe amicizia
con Miguel Ángel Asturias, che anni dopo, nel 1954,
sarà accolto esule nella sua casa. In tutto il continente il
suo nome è noto e rispettato. Ogni ritorno in Cile è
un'apoteosi. Scrive Volodia Teitelboim: «Mai un cileno occupò un posto più
chiaro, intimo e significativo nello spirito di tanti paesi
dell'America, come Neruda»
73.
Il soggiorno in Messico aveva avuto per il poeta importanza particolare anche dal punto di vista sentimentale; vi aveva, infatti, conosciuto Matilde Urrutia, nativa di Chillàn, nell'estremo sud del Cile, la donna che diverrà legalmente sua moglie nel 1955 e che canterà per tutto il resto della vita come predestinata al suo incontro.
Nel viaggio di ritorno in Cile, trattenutosi in Perù per qualche tempo, Neruda visita le Alture di Macchu Picchu, la cittadella degli incas, scoperta nel 1911, a quattromila metri d'altezza, dall'archeologo Hiram Bingham. Perdute le sue tracce per tre secoli la città ripresentava ora nelle imponenti rovine la sostanza spirituale del mondo incaico. Neruda ne fu impressionato profondamente, non tanto per i resti archeologici quanto per la sottintesa presenza umana. Di qui l'idea di estendere il Canto a Chile a un Canto general di tutta l'America.
In patria
l'attività di Neruda è instancabile anche nel campo
politico. La guerra civile spagnola gli aveva fatto cogliere
lucidamente la realtà del suo stesso paese. Nel Memorial ricorderà
questo momento: «Nella mia patria
arrivai con altri occhi / che la guerra m'aveva posto / sotto i
miei»
74.
La miserabile condizione umana lo induce sempre più alla
lotta. Candidato per le provincie miniere del nord, Tarapacá
e Antofagasta, il 4 marzo 1945 è eletto senatore; nel
medesimo anno, il 24 maggio, gli viene concesso il Premio Nazionale
di Letteratura e l'8 luglio si iscrive al partito comunista -del
quale fin dal 1933 era simpatizzante-, insieme ad altri
intellettuali. Si trattò di un avvenimento di rilievo che
valse a modificare l'atteggiamento del partito comunista cileno nei
confronti degli intellettuali. Scrive Volodia Teitelboim: «A partire da quel momento, il partito
comunista, che fin dalla sua nascita era stato un partito di
operai, cominciò ad essere anche il partito degli
intellettuali del Cile. Nel partito si cominciò a
considerare con altri occhi la poesia. Grazie soprattutto a Neruda
si ristabilì l'eredità e lo stile di
Recabarren75.
La letteratura, l'arte e la cultura, lungi dal rappresentare
attività sospette come era accaduto in altri periodi
dominati dal settarismo, ottennero il loro posto di rispetto in
quanto espressioni che hanno un valore di per se stesse, per la
bellezza della loro forma, per il contenuto umano e per il loro
significato rivoluzionario»
76.
L'azione di Neruda
si intensifica in difesa del sottoproletariato, contro le
ingiustizie dei monopoli economici, soprattutto statunitensi, la
corruzione politica, la cecità dei governi o la loro aperta
malafede. Nel primo discorso tenuto in Senato egli aveva
manifestato la sua concezione intorno al ruolo attivo degli
scrittori nella società: «Gli
scrittori le cui statue servono dopo la loro morte per così
eccellenti discorsi d'inaugurazione e per così allegri
pellegrinaggi, hanno vissuto e vivono vite difficili e oscure, per
il solo fatto della loro disorganizzata opposizione all'ingiusto
disordine del capitalismo... Dichiaro la mia fede nella patria,
nelle sue istituzioni, nella sua storia e nel suo popolo: ma non
come entità immutabili, bensì soggette a
trasformazione e a progresso»
77.
L'atteggiamento
politico procura presto a Neruda nemici numerosi; nel 1946 il
trionfo di Gabriel González Videla, candidato alla
presidenza della repubblica per il partito radicale e appoggiato
dall'Unione dei Partiti Democratici del Cile, sarà fonte di
persecuzioni ed esilio per il mutamento improvviso che avviene
nella politica del candidato, appena raggiunta l'alta carica.
Neruda lo attacca apertamente nel 1947 -anno in cui appare la
Tercera
Residencia- pubblicando il 27 novembre sul
«Nacional» di Caracas
-diretto dall'amico, poeta e narratore, Miguel Otero Silva- la
«Lettera intima per un milione di uomini», nella quale
denuncia il dramma del suo paese. Il 6 gennaio 1948 egli pronuncia
in Senato un discorso divenuto famoso, «Io accuso»,
contro l'insinuazione di tradimento per offesa al prestigio della
patria lanciatagli dal presidente. Nella persecuzione contro la
propria persona Neruda vede ripetersi quella condotta dal potere
politico contro le grandi figure dell'indipendenza americana e
cosciente del valore della propria opera lo sottolinea apertamente:
«Nella Lettera intima per un milione
di uomini di cui mi si accusa, nessuno, neppure un giudice del
vecchio Santo Uffizio, potrebbe notare altro che un acceso e grande
amore per la mia terra, alla quale, entro le mie
possibilità, ho dato anche un po' di fama e di risonanza,
più pure, più disinteressate, più nobili e di
miglior qualità, lo affermo senza falsa modestia, di quelle
che può averle dato, con le sue attività politiche o
diplomatiche, l'Eccellentissimo signor
González»
78.
Conseguenza di
questo discorso è l'espulsione dal Senato; il 3 febbraio
1948 la Suprema Corte di Giustizia dichiara Neruda persona non
gradita e ha inizio la persecuzione poliziesca. Le reazioni del
mondo intellettuale internazionale sono immediate, ma il poeta
è costretto alla macchia. Nel Canto general egli lascia testimonianza di
questo momento difficile, che tuttavia gli permette di constatare
nuovamente, come un miracolo, l'esistenza della solidarietà
umana. Durante il periodo clandestino Neruda porta a termine con
grande impegno il Canto. Riuscito poi a raggiungere la frontiera,
dopo una lunga traversata delle Ande, si rifugia in Argentina. Nel
discorso di accettazione del Premio Nobel, nel 1971, Neruda
ricorderà anche questo momento, la lunga traversata in mezzo
ai grandi boschi, che «coprono come un
tunnel le regioni inaccessibili»
, in cerca della
libertà, e aggiungerà, riferendosi al Canto general: «In quel lungo viaggio trovai le dosi necessarie
alla formazione del poema. Lì mi furono dati gli apporti
della terra e dell'anima. E penso che la poesia sia un'azione
passeggera o solenne in cui entrano in egual misura la solitudine e
la solidarietà, il sentimento e l'azione, l'intimità
di se stessi, l'intimità dell'uomo e la segreta rivelazione
della natura»
79.
Il 25 aprile 1949 Neruda partecipa a Parigi al primo Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace, quindi visita per la prima volta la Russia, la Polonia, l'Ungheria. Nell'aprile dell'anno seguente a Città del Messico appare il Canto general, con due tavole dei pittori Diego Rivera e David A. Siqueiros80. Nello stesso anno il governo cileno revoca la condanna all'esilio del poeta, ma Neruda rimane fuori del paese, visita il Guatemala, risiede in Francia e in Italia. A Roma nel 1951 Dario Puccini e Mario Socrate sono i primi diffusori della poesia nerudiana nel nostro paese: essi traducono, infatti, Que despierte el leñador81, parte del Canto general. L'anno seguente apparirà l'antologia di Salvatore Quasimodo, Poesie82, ancora ristampata oggi; la illustra nell'edizione originale il pittore Renato Guttuso, che Neruda ricorderà ne Las uvas y el viento, libro che dà alla stampa nel 1954, ma che raccoglie le sue impressioni, le reazioni sentimentali, nei numerosi viaggi che lo portano dall'Europa alla Cina. L'Italia, come la Francia, vi ha un posto importante. Nel 1952 Neruda sembra abbia avuto intenzione di stabilirsi nel nostro paese83, ma inaspettatamente lo colse un ordine d'espulsione dell'allora ministro degli Interni, poi revocato per l'intervento degli intellettuali italiani e del presidente della repubblica. A Capri, luogo particolarmente caro al poeta e più volte cantato, egli risiede nello stesso anno, attendendo alla poesia de Las uvas y el viento. Nell'isola l'amore per Matilde Urrutia muove la poesia nerudiana; il poeta scrive i Versos del capitán, che stamperà anonimi a Napoli e che solo dieci anni dopo legittimerà.
Da Capri Neruda
torna in Cile accolto come gloria nazionale, acclamato da migliaia
di persone. González Videla è alla fine del suo
mandato. Il poeta torna in patria per un dovere di combattente,
come avverte la «Carta en el
camino», dei Versos del Capitán: «adorata, vado alle mie battaglie»
. In
patria Neruda sembra trovare il vero ritmo della sua vita: viaggia
per il paese, legge poesie, presiede alla costruzione delle sue
case, in particolare de «La Chascona», una delle sue
preferite, sospesa sulla città di Santiago; sono dimore
incantate pervase dallo spirito che anima la poesia nerudiana:
«si direbbe che le case di Neruda
prolunghino e trabocchino la sua opera poetica»
, ha
scritto Margarita Aguirre84.
Neruda vi va accumulando libri, oggetti rari di singolare valore,
ceramiche precolombiane, vicino a cose stravaganti, alle raccolte
famose di conchiglie marine, alle polene, riunite a Isla Negra da
ogni parte del mondo, che canta di continuo traendone una lezione
metafisica: il tempo, la fragilità delle cose e dell'uomo,
enigmi che si presentano insolubili. Tra le polene preferite stanno
«La fidanzata», «La Cymbelina», «La
bella», «La Michela», la «Maria
Celeste», «fatta di legno e
così profondamente dolce!»
che ancora piange
nell'inverno: «Durante il lungo inverno
di Isla Negra alcune misteriose lacrime cadono dai suoi occhi di
cristallo e restano sulle sue guance, senza cadere.
L'umidità concentrata, dicono gli scettici. Un miracolo,
dico io, con rispetto. Non le asciugo le lacrime, che non sono
molte, ma brillano sul volto come topazi. Non gliele asciugo per
abituarmi al suo pianto, così nascosto e pudico, come se non
si dovesse avvertire. Poi passano i mesi freddi, arriva il sole, e
il dolce volto di María Celeste sorride soave come la
primavera. Ma, perché piange?»
85.
Nel 1953 Neruda dona la sua preziosa biblioteca all'Università del Cile, insieme alla raccolta di conchiglie marine, e viene inaugurata la «Fondazione Pablo Neruda per lo studio della poesia». Il poeta intende che quanto egli fa sia «un dovere di coscienza», una ricompensa minima per quanto il suo popolo gli ha dato86. Ostacoli numerosi sorgono immediatamente, dovuti ai nemici del poeta e all'opposizione del partito conservatore; ma la personalità di Neruda è troppo affermata perché gli avversari possano averne ragione. Nello stesso anno 1953 egli riceve il Premio Stalin per la Pace. Nel luglio 1954 l'Università del Cile festeggia i suoi cinquantanni, alla presenza di numerosi intellettuali venuti da ogni parte del mondo. In seguito il poeta compie numerosi viaggi fuori del paese; si reca più volte in Europa, in Russia, in Francia, in Italia. Nel 1955 appare il libro di prose Viajes. Nel 1961 l'Università di Yale nomina Neruda membro corrispondente, ma il governo degli Stati Uniti gli rifiuta il visto per assistere alla cerimonia. L'anno seguente la Facoltà di Filosofia e Lettere dell'Università del Cile nomina il poeta suo membro accademico. Intanto continuano ad apparire nuove raccolte di poesia, dalle Odas elementales (1954), alle Nuevas odas elementales (1956), al Tercer libro de las odas (1957), a Estravagario (1958), a Navegaciones y regresos (1959). Nel 1960 appaiono i Cien sonetos de amor, canzoniere dedicato a Matilde, e altri due libri di poesia, Las piedras de Chile e la Canción de gesta, esaltante, quest'ultima, la rivoluzione cubana. L'anno seguente Neruda pubblica i Cantos ceremoniales, mentre nel 1962 sulla rivista brasiliana «O Cruzeiro International» inizia la pubblicazione di una parte delle sue memorie.
Isla Negra, nonostante i molti viaggi di Neruda, e forse proprio per questo, diviene sempre più il luogo del raccoglimento, ed egli vi inizia il Memorial, i cui primi cinque libri appariranno nel 1964, in occasione dei suoi sessant'anni, festeggiati in Cile con una lunga serie di manifestazioni ufficiali. L'anno prima Neruda aveva provato un'ennesima delusione per quanto riguardava il Premio Nobel, negatogli all'ultimo momento per interventi settari e dato al poeta greco Giorgio Seferis.
Sempre nel 1964
appare un nuovo libro, Una casa en la arena; nel 1965 l'Università
di Oxford concede al poeta la laurea «ad
honorem» in Lettere e Filosofia. Di nuovo
Neruda viaggia per l'Europa: è in Ungheria con Miguel
Ángel Asturias, col quale compone il libro Comiendo en Hungría; in
Jugoslavia per la riunione del Pen Club; in Finlandia per il
Congresso della Pace; in Russia per il Premio Lenin, che
verrà assegnato a Rafael Alberti. Nel giugno 1966 il poeta
è negli Stati Uniti, ospite d'onore alla riunione del Pen
Club e si scontra polemicamente con Silone. Nel medesimo anno
pubblica una nuova raccolta poetica, Arte de pájaros e il dramma
Fulgor y muerte de
Joaquín Murieta. Nel 1967 Neruda è di nuovo in
Russia, poi in Italia, dove ormai la sua poesia è ampiamente
presente e dove riceve il Premio Internazionale Viareggio-Versilia.
Tornato a Isla Negra continua la prodigiosa attività
creativa: pubblica La
barcarola (1967), sesto libro del Memorial, e successivamente Las manos del día
(1968), Aún (1969), l'inquietante Fin de mundo (1969),
Las piedras del
cielo (1970), La espada encendida (1970). Un avvenimento di
portata singolare sta maturando intanto per la storia cilena e per
quella personale del poeta: l'avvento al potere per libere elezioni
di un governo socialista. Neruda, candidato per il Partito
Comunista alla presidenza, si ritira perché i voti possano
convergere su Salvador Allende. Il trionfo del candidato, la
formazione di un governo popolare, sembrano coronare le aspettative
di tutta una vita, l'opera di diffusione della speranza
costantemente esercitata dal poeta, la solidarietà continua
con l'uomo oppresso ed emarginato. In una lettera del settembre
1970 Neruda celebra la «gran
victoria», la prospettiva che il Governo
Popolare «darà un gran impulso
alla cultura e tutte le strade saranno
aperte»
87.
Verso la fine dell'anno il progetto della sua nomina ad
ambasciatore a Parigi sembra concretarsi; il poeta ne parla con
palese rincrescimento, ma accetta perché lo ritiene un
dovere: «il nuovo Governo del Cile ha
pensato di inviarmi come ambasciatore in Francia. Ho incominciato
col rifiutare questa idea che mi sembrava assurda, ma ho finito per
accettare. [...] Dovrò lasciare la mia casa e i miei libri,
ciò che mi è inimmaginabilmente difficile
sopportare»
88.
A Parigi Neruda
rappresenta prestigiosamente il suo paese, ma con sacrificio
personale. In più di un'occasione egli lamenta di dover
sottostare a una vita di rappresentanza che lo annoia, lo stanca e
gli ruba il tempo per la poesia. Alla fine del 1971 il Premio Nobel
gli viene finalmente concesso. È una riparazione tardiva, ma
Neruda accetta senza polemiche, con umiltà non disgiunta da
orgoglio allorché interpreta simbolicamente la premiazione
come quella di tanti umili ai quali è stato vicino.
Introducendo il discorso d'accettazione, a Stoccolma, egli dice:
«Torno a strade della mia infanzia,
all'inverno del sud dell'America, ai giardini di lillà
dell'Araucania, alla prima Maria che ebbi tra le mie braccia, al
fango delle strade che non conoscevano il pavimento, agli indios
luttuosi che ci lasciò la Conquista, a un paese, a un
continente oscuro che cercava la chiarità. E se questo
splendore si prolunga da questa sala e arriva attraverso la terra e
il mare a illuminare il mio passato, sta illuminando anche il
futuro dei nostri popoli americani che difendono il loro diritto
alla dignità, alla libertà e alla vita. Io sono un
rappresentante di quel tempo, e delle attuali lotte che popolano la
mia poesia. Chiedo perdono per aver esteso la mia distinzione a
tutti i miei, ai dimenticati della terra che in questa occasione
felice della mia vita mi sembrano più veri della mia
espressione, più alti delle mie cordigliere, più ampi
dell'oceano. Io appartengo con orgoglio alla moltitudine umana, non
a pochi individui, ma a molti, e sono qui circondato dalla loro
presenza invisibile»
89.
Frattanto la situazione politica cilena si va facendo più critica. Alle prospettive felici si sostituiscono gravi preoccupazioni. Il paese è alla mercè delle fazioni, dei gruppi armati; le opposizioni mirano apertamente a interrompere con la forza la «via cilena al socialismo», ad abbattere Allende. La storia si ripete continuamente in America Latina. Il tentativo di ristabilire l'ordine chiamando a far parte del governo alti esponenti militari non fa che mettere l'esercito in condizione di preparare con maggior sicurezza l'intervento. Alla fine del 1972, mentre si aggrava il male che lo condurrà alla tomba, Neruda lascia l'ambasciata di Parigi e fa ritorno in patria, a Isla Negra, dove riprende a scrivere. Nello stesso anno aveva pubblicato una nuova raccolta poetica, Geografía infructuosa. In Cile egli continua a dare il suo contributo al sostenimento di un governo in cui si esprimono tante speranze popolari e in questo programma, all'inizio del 1973, pubblica un nuovo libro di poesia politica, Incitación al nixonicidio y alabanza de la Revolución chilena. Intanto Neruda attende alle sue memorie, mentre continua a scrivere poesia fino all'ultimo istante della sua vita. Uno degli ultimi interventi è un atto d'accusa bruciante contro i militari che hanno abbattuto Allende. Ma Neruda è ormai vicino a quel fatale 23 settembre 1973. Nel Canto general aveva chiesto ai compagni di essere sepolto a Isla Negra, vicino alla fossa che avrebbe dovuto accogliere la donna amata:
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Come se Neruda ne avesse previsto il destino, Matilde gli sopravvive nel dolore di una tragedia personale nella quale confluisce anche quella della patria. Rafael Alberti consegnerà per sempre alla poesia lo spettacolo desolato che circonda il poeta defunto, avvicinando il momento storico cileno a quello della Spagna durante la guerra civile:
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Quando un grande artista muore il mondo sembra sbigottire. Ma al disopra di ogni ombra Neruda lascia un messaggio di speranza, la prospettiva di un diverso futuro del quale ha comunicato all'uomo l'ostinata certezza:
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