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Realtà e irrealtà in Pedro Páramo


1.- Dopo la pubblicazione dei racconti riuniti ne El llano en llamas, avvenuta nel 1953, Juan Rulfo dà alle stampe nel 1955 un romanzo, Pedro Páramo, col quale apre concretamente nuove prospettive alla narrativa messicana e ispano-americana. Il superamento del vecchio «criollismo» -subito individuato nel libro di Mario Benedetti, uno dei suoi primi commentatori36- è già un fatto concreto. Al tellurismo della narrativa americana fino allora in auge, si sostituisce la chiara preminenza dell'uomo inteso quale centro del mondo. Alla realtà umana sottolineata dal realismo, si sovrappone una dimensione mitica che ha il potere di vivificare i personaggi, di approfondirne il significato spirituale. Con Rulfo e con il suo romanzo ha termine, chiuso «con llave de oro», secondo l'espressione di Carlos Fuentes37, il romanzo documentaristico della rivoluzione messicana, già dominato da Mariano Azuela e da Martin Luis Guzmán, sue massime espressioni.

La presenza dei miti classici è stata sottolineata in Pedro Páramo da buona parte della critica. Il Fuentes ha visto nel libro una complessa serie di reviviscenze di questo tipo e in Juan Preciado alla ricerca del padre un nuovo Telemaco in cerca di Ulisse, mentre nella madre e amante che lo guida ha raffigurato una nuova Giocasta-Euridice «que conduce al hijo y amante, Edipo-Orfeo, por los caminos del infierno [...]»38.

La ricerca del padre è stata definita da Julio Ortega una «metáfora o hipérbole» che coniuga varie possibilità di realtà, la conquista o la perdita della realtà39; una metafora alla rovescia, poiché il padre ricercato è morto, il mondo non esiste, il protagonista si muove tra voci e visioni, e muore nel terrore di quella stessa realtà che lo circonda40.

Ma l'atmosfera mitica di Pedro Páramo non scaturisce tanto dalla riattualizzazione, e dal possibile rovesciamento, dei miti classici, quanto dall'atmosfera di realtà-irrealtà che permea ogni cosa, ogni personaggio, dall'aver fatto di Comala un mondo librato tra il concreto e il «fantasmal», tra la presenza di un volume e l'assenza di ogni peso nella pura dimensione dell'ombra, in un Ade che è la sola e vera realtà del paese.

I legami con la letteratura «d'oltretomba» si possono ricercare a piacere in Pedro Páramo, ma non si riuscirà a fissare con ciò che precedenti esterni e casuali con i quali l'aggancio è possibile solo per un dato meramente materiale, quello di fare delle ombre dei morti i protagonisti del libro. Hugo Rodríguez-Alcalá ha tentato anche taluni accostamenti -per la verità in parte per divergenza- con Dante e la Divina Commedia41, ma senza risultati convincenti. Più verosimilmente si può pensare a un'influenza di Quevedo e dei Sueños, benché manchi in Pedro Páramo il tono lugubre dello scrittore spagnolo e soprattutto l'intenzione crudamente «escarmentadora». L'originalità del libro di Rulfo si afferma quanto più si vogliono rintracciare le fonti, i punti di avvio esterni, quando si tentano paragoni, si scandagliano influenze, inesistenti in senso concreto. Prima di Pedro Páramo la letteratura di lingua spagnola, di qua e di là dell'Oceano, non presenta precedente nel senso di una così compiuta fusione tra reale e irreale, nella resa di una sostanza umana decisamente avariata, che è apporto profondo e sentito alla denuncia di un mondo ben definito nei suoi confini geografici, quello messicano, e pur ampiamente superato per il significato che il problema assume.

Il tema della ricerca del padre, allusione più ampia a quella delle proprie origini, domina l'esistenza dell'uomo condizionandone lo svolgimento spirituale. In un momento o nell'altro della propria vita, ognuno si sente orfano nel mondo e tenta di ricostruire i legami con la propria matrice. Il significato mitico della figura del padre vale a fugare il senso di orfanezza nella quale l'uomo si sente naufragare. La madre è un dato acquisito che accompagna costantemente. La ricerca si rivolge sempre con angoscia al ristabilimento del seme dal quale si è avuta origine. Juan Preciado va alla ricerca del padre per trovare nel suo incontro non tanto l'essere responsabile delle sofferenze sue e della madre, ma colui dal quale, col ritrovamento, verrà la sua pienezza nel mondo degli uomini, la cancellazione della macchia, il ristabilimento di un equilibrio che ancora gli manca. Il suo viaggio prende le mosse non dal rancore, non è guidato da quel «cóbraselo caro» che la madre gli lascia quale testamento di vendetta nelle ultime parole42, ma dalla speranza di ritrovare col padre se stesso, la ragione della propria esistenza, un momento definitivo di ristabilita pienezza che annulli il lungo oblio di cui la donna si lamenta; momento di pienezza che, forse senza chiara coscienza, la madre stessa prospetta al figlio quando afferma: «Estoy segura de que le dará gusto conocerte»43.

L'incontro tra il figlio e il padre non avviene, in realtà. Juan Preciado apprende di Pedro Páramo attraverso la testimonianza di personaggi che ne presenziarono la vicenda, le evocazioni dei defunti abitanti di Comala, che ebbero a che fare, in vita, con il terribile padrone de La Media Luna.

Il motivo del viaggio è subito denunciato dal Preciado in apertura di libro: «Vine a Comala porque me dijeron que acá vivía mi padre, un tal Pedro Páramo»44. Ed egli continua tale viaggio, nonostante apprenda da un casuale accompagnatore, il mulattiere Abundio -altro figlio di Pedro Páramo- che il padre è un «rencor vivo»45, che morì «hace años» e che nel villaggio profilantesi all'orizzonte non vive nessuno46.

La risposta a questa ricerca ostinata, scomparso il motivo determinante di essa, sta nel bisogno di ricostruire con la figura del padre la propria origine. Anche senza la presenza concreta del genitore il retroterra di Juan Preciado può essere ricostruito, eliminando la sua condizione di orfanezza. Vi è poi la voce-guida della madre, la promessa fatta a lei, l'immedesimazione del figlio nella genitrice. Le cose si mostrano, infatti, a Juan Preciado, nella realtà conturbante del luogo infernale che è Comala, ma continuamente contrastate dal ricordo suggestivo della descrizione materna, idealizzazione di un mondo felice: «Traigo los ojos con que ella miró estas cosas, porque me dio sus ojos para ver [...]»47. E se Comala vive in un clima di calore insopportabile, tra vapori infuocati e toni grigi48, vera anticamera o prefigurazione dell'inferno, lavisione idilliaca della madre resiste nel protagonista. Risultato è il rafforzamento, nel contrasto, del significato negativo del mutamento avvenuto, la perdita di un paradiso che la malvagità dell'uomo, il peccato, hanno trasformato in inferno.

Per la guida di Juan Preciado, Comala è un mondo condannato: «Aquello está sobre las brasas de la tierra, en la mera boca del infierno»49. Perduto nella mancanza d'aria, immerso in un insolito calore -«Habíamos dejado el aire caliente allá arriba y nos íbamos hundiendo en el puro calor sin aire»50- il villaggio sembra in attesa di una catastrofe, sempre imminente: «Todo parecía estar como en espera de algo»51.

Rulfo è abile nella presentazione di queste atmosfere sospese, gravide di possibilità negative. La stessa ubicazione della valle, alla quale conduce una strada che, ambiguamente, «sube o baja según se va o se viene»52, rappresenta un mondo cavo, come isolato dal resto della terra, librato in un'atmosfera irreale. Sul fondo sta la città dei morti, Comala.

Il clima infernale del luogo è accentuato con perizia dallo scrittore attraverso il contrasto, continuamente richiamato, con l'idealizzazione materna, che domina i sensi e lo spirito di Juan Preciado:

«[...] Traigo los ojos con que ella miró estas cosas, porque me dio sus ojos para ver: "Hay allí, pasando el puerto de Los Colimotes, la vista muy hermosa de una llanura verde, algo amarilla por el maíz maduro. Desde ese lugar se ve Comala, blanqueando la tierra, iluminándola durante la noche". Y su voz era secreta, casi apagada, como si hablara consigo misma... Mi madre»53.



Che Juan Preciado creda davvero alla realtà della visione materna appare dubbio. E tuttavia egli sembra attaccarsi ad essa come a un'àncora di salvezza; la visione assume per lui il significato di una compagnia fortificante lungo l'inquietante viaggio. Tale visione, ora con l'aggiunta di nuovi dettagli, ora più sintetica nelle allusioni, si trascina per tutto il romanzo, dando a esso uno dei motivi che più contribuiscono alla sua unità. Su due piani diversi, ma convergenti, va creandosi a un livello un clima lirico, frutto d'innocenza e di ricordo, a un altro livello un clima crudamente negativo che trae le sue origini dalla violenza e dalla colpa.

Solo alla fine del romanzo il lettore apprende il motivo della trasformazione di Comala: alla morte di Susana, l'unica donna amata da Pedro Páramo, l'insistente suono delle campane induce taluni a credere a una festa e a dare inizio ai divertimenti; l'uomo terribile decide allora la morte del paese:

«[...] Don Pedro no hablaba. No salía de su cuarto. Juró vengarse de Comala:

-Me cruzaré de brazos y Comala se morirá de hambre.

Y así lo hizo»54.



La lunga sospensione della spiegazione di questo come di tanti altri fatti, mantiene tesa l'attenzione del lettore, preso da una trama apparentemente confusa, continuamente frammentata, interrotta e ripresa.

La situazione di Comala ricorda -altri vi hanno fatto cenno- il racconto Luvina de El llano en llamas. Il colore grigio e senza speranza del racconto si ripete in Pedro Páramo. A differenza di Comala, Luvina è un villaggio posto sull'alto di un «lomerío pelón, sin un árbol, sin una cosa verde para descansar los ojos, todo envuelto en el calín ceniciento»55. Nel romanzo Rulfo rovescia la prospettiva, ma sia Luvina che Comala sono il regno della tristezza, l'immagine del «desconsuelo»56. Il protagonista narrante di Luvina giunge al paese, come Juan Preciado a Comala, accompagnato da un mulattiere; entrambi restano improvvisamente soli in un luogo deserto, privo di rumori, disabitato. Un medesimo clima, dunque, o, come ha scritto il Benedetti, una storia «fronteriza entre la vida y la muerte, en que los fantasmas se codean desaprensivamente con el lector hasta convencerlo de su provisoria actualidad»57.

Ma Pedro Páramo sviluppa in estensione e in profondità le caratteristiche strutturali e di stile, i motivi appena accennati nel racconto. La vera dimensione di Juan Preciado incomincia a definirsi allorché, senza aver pensato di mantenere veramente la promessa fatta alla madre, incomincia a riempirsi di sogni, a coltivare le illusioni e ad aprirsi alla speranza:

«[...] Hasta que ahora pronto comencé a llenarme de sueños, a darle vuelo a las ilusiones. Y de este modo se me fue formando un mundo alrededor de la esperanza que era aquel señor llamado Pedro Páramo, el marido de mi madre. Por eso vine a Comala»58.



Nell'avventura verso l'illusione e la speranza Juan Preciado è votato al fallimento. Il mondo dal quale egli viene contrasta duramente con quello che trova a Comala; poiché il primo è un mondo di sentimenti, il secondo lo è di risentimenti, di rancori. La ricerca del padre prosegue, ma rimane incompiuta, concretamente, perché lo stesso Juan Preciado viene inghiottito dal mondo fantasma di Comala e, verso la metà del libro, varca il confine tra realtà e irrealtà. Alla defunta Dorotea egli dichiara: «Es cierto, Dorotea. Me mataron los murmullos»59. E di nuovo ritorna, come quando era vivo, il ricordo delle parole materne, a evocare un paesaggio idealizzato in cui si ripetono uguali i momenti del giorno e della notte, «pero con la diferencia del aire»60, dove la vita si trasforma in mormorio:

«[...] Allí, donde el aire cambia el color de las cosas; donde se ventila la vida como si fuera un puro murmullo; como si fuera un puro murmullo de la vida...»61.



La ricerca delle proprie origini rimane frustrata. Juan Preciado potrà soddisfarla solamente dopo morto, quando gli si aprirà completo lo spettacolo dell'uomo complicato e violento che fu suo padre.

2.- I confini tra il mondo reale e quello delle ombre vengono eliminati gradualmente in Pedro Páramo. Fin dalle prime pagine lo scrittore crea nel libro un vago clima di sconcerto, che prolunga per tutto il romanzo; in esso si fondono e si confondono fatti e personaggi del mondo sensibile, con quelli di un mondo di morti che continuano ad agitarsi sulla terra, a ricordare la loro vicenda umana, a interessarsi a ciò che avviene sulla superficie della crosta terrestre. Nell'aldilà essi conservano apparenze umane e di volume, ma non rispettano frontiere. In Comala, mondo tra il concreto e l'irreale, convivono i vivi e le forme dei defunti.

In tutta la prima parte del romanzo -vale a dire in tutta la prima metà di esso, fino alla morte di Juan Preciado, poiché il libro non è diviso in parti e capitoli definiti, ma è un unico succedersi di momenti, staccati da uno spazio bianco -il lettore non percepisce che vagamente i limiti tra realtà e irrealtà. L'apparizione e la scomparsa successiva di Abundio, guida di Juan Preciado, appare misteriosa. Nel villaggio privo di rumori il protagonista percepisce un'assenza di vita che lo inquieta; non ha ancora la coscienza esatta che il villaggio sia disabitato, ma lo colpisce nell'ora dei giochi dei bambini -come sempre aveva visto a Sayula, dov'era vissuto- la mancanza di vita. L'insistenza con cui lo scrittore sottolinea i suoni vuoti, gli echi solitari, il rumore dei passi, rende con aderenza al lettore l'atmosfera inquietante di un mondo in cui, proprio per l'assenza di vita, può accadere ogni cosa62, realizzarsi concretamente l'atmosfera gravida di possibilità imprecise annunciata nelle prime pagine:

«Ahora estaba aquí, en este pueblo sin ruidos. Oía caer mis pisadas sobre las piedras redondas con que estaban empedradas las calles. Mis pisadas huecas, repitiendo su sonido en el eco de las paredes teñidas por el sol del atardecer»63.



Il primo incontro di Juan Preciado a Comala è con una signora «envuelta en su rebozo que desapareció como si no existiera»64. La donna scompare, ma ricompare poi augurando la buona notte e alla domanda del giovane dove si trovi la casa di Eduviges Dyada la indica solo con un gesto. Benché Juan Preciado, considerando che la donna reca le caratteristiche dei vivi, si riconforti intorno all'esistenza del paese, il clima d'irrealtà perdura e si accentua; egli stesso sta assumendo dimensioni irreali.

Il silenzio è una delle presenze più importanti del mondo di Comala, come lo è di un mondo privo di vita. La «normalità» di Juan Preciado si annulla gradualmente; indeciso, disorientato tra realtà e irrealtà, egli sente la testa piena di rumori e di voci, più chiaramente percepibili in un luogo d'aria rarefatta: «De voces, sí. Y aquí, donde el aire era escaso, se oían mejor. Se quedaban dentro de uno, pesadas [...]»65.

Le facoltà di Juan Preciado non sono già più facoltà correnti. C'è qualcosa di cui improvvisamente egli si ricorda e che gli offre una spiegazione vaga del fenomeno, quanto gli disse la madre, ancora in vita:

«[...] Me acordé de lo que había dicho mi madre: "Allá me oirás mejor. Estaré más cerca de ti. Encontrarás más cercana la voz de mis recuerdos que la de mi muerte, si es que alguna vez la muerte ha tenido alguna voz". Mi madre... La viva»66.



La situazione irreale del protagonista si accentua attraverso la percezione del messaggio dei morti, nei quali domina il ricordo della vita. Lo sconcerto del mondo in cui Juan Preciado viene a trovarsi a Comala è reso attraverso la denunciata instabilità di esso, nella confusione delle forme e dei volumi. Di fronte al ricordo dominante del mondo quale trasmessogli dalla madre, sta una realtà vaga, «borrosa». Il rimprovero che il figlio vorrebbe fare alla donna, di avergli dato un indirizzo sbagliato -di averlo, cioè, mandato al «donde es esto y donde es aquello. A un pueblo solitario. Buscando a alguien que no existe»67-, definisce vieppiù l'atmosfera sospesa nell'irrealtà.

Constatata l'inesistenza della realtà che s'era atteso, Juan Preciado sembrerebbe aver esaurito nel fallimento il suo viaggio; egli prosegue tuttavia nel suo cammino, perché attratto dal mondo misterioso che vagamente percepisce e nel quale si trova subito implicato.

Il clima di irrealtà e di mistero è ulteriormente definito dallo scrittore con apporti successivi. Quando il protagonista giunge alla casa di Eduviges Dyada e sta per bussare alla porta, questa si apre «como si el aire la hubiera abierto»68. Dal canto suo dona Eduviges che sembrava attenderlo, afferma di aver avuto avviso dalla madre di Juan del suo arrivo69, anche se, stranamente, non è a conoscenza della morte di essa; dico stranamente in quanto in seguito apprendiamo che allorché la donna parla a Juan Preciado è già morta. Questa apparente stranezza ha in realtà la funzione di prolungare l'equivoco, ossia l'impressione, non solo nel protagonista, ma anche nel lettore, che dona Eduviges sia ancora in vita; essa parla e si muove, infatti, come farebbe un essere vivente. I confini tra reale e irreale sfumano, così, sempre più, anche per la rivelazione del «sexto sentido» che dona Eduviges dice di possedere e che le permette di ricevere, in vita, messaggi dal mondo morto70. Quando la troviamo a conversare con Juan Preciado, la donna percepisce improvvisamente il galoppo del cavallo che portò a morte Miguel Páramo. Nel presente fantastico si insinua un passato che diviene attuale. Dona Eduviges racconta all'interlocutore come avvenne la morte del figlio di don Pedro, al momento di saltare col cavallo una cinta innalzata dal padre, mentre si recava a trovare la donna del cuore; d'improvviso nella notte ella udì la presenza dell'uomo alla finestra ed ebbe con lui una conversazione in cui cercò di convincerlo della sua morte.

La tensione del clima irreale è raggiunta nel romanzo sottolineando l'assenza di una coscienza della propria condizione da parte del defunto, come se tutto per lui fosse piombato improvvisamente nella più assoluta confusione:

«Se me perdio el pueblo. Había mucha neblina o humo o no sé qué; pero sé que Contla no existe. Fui más allá, según mis cálculos, y no encontré nada. [...]».

«-Sólo brinqué el lienzo de piedra que últimamente mandó poner mi padre. [...] Sé que lo brinqué y después seguí condendo; pero, como le digo, no había más que humo y humo y humo»71.



Il confine tra vita e morte è facilmente eliminato. Miguel Páramo continua dopo morto la sua corsa; solo che ora tutto gli si fa indecifrabile. Dona Eduviges continua a percepire, nel tempo, il galoppo del cavallo come una materializzazione del rimorso dell'animale. Ciò, evidentemente, accadeva quando la donna era in vita. Ma il ricordo della vita e delle sensazioni che la qualificarono permane anche nella morte.

Il dialogo tra Juan Preciado e dona Eduviges si prolunga per varie pagine, interrotto da quadri e riferimenti diversi: la fanciullezza innocente di Pedro Páramo, il suo primo contatto, di segno incancellabile, con la morte -quella del padre assassinato durante un banchetto nuziale-, l'ossessivo amore per Susana, frustrato dalla partenza di lei e dalle successive nozze con Fiorencio e riconquistata solo allorché vedova e demente -particolari questi che si apprenderanno nella seconda parte del romanzo-; infine il senso tormentoso di colpa del Padre Rentería.

Lo spegnersi della lampada in casa di Eduviges Dyada coincide con la sparizione della donna. L'attesa, il sonno interrotto più volte, inquietato da grida enigmatiche -«¡Ay vida, no me mereces!»72-, accentuano per contrasto la profondità del silenzio:

«No, no era posible calcular la hondura del silencio que produjo aquel grito. Como si la tierra se hubiera vaciado de su aire. Ningún sonido; ni el del resuello, ni el del latir del corazón; como si se detuviera el mismo ruido de la conciencia. [...]»73.



Un nuovo grido che si ode per un lungo momento -«¡Déjenme aunque sea el derecho de pataleo que tienen los ahorcados!»74- rende ancor più inquietante l'atmosfera in cui il protagonista sta perdendo completamente la coscienza dei confini tra realtà e irrealtà. Apprenderemo in seguito che le grida appartengono a Toribio Aldrete, fatto impiccare da Pedro Páramo nella stessa stanza in cui è ora ospite Juan Preciado. Il fatto avvenne «hace mucho tiempo», gli spiega Damiana Cisneros, comparsa improvvisamente dopo la sparizione di dona Eduviges, «Luego condenaron la puerta, hasta que él se secara; para que su cuerpo no encontrara reposo [...]»75. Perciò le grida intese da Juan.

La comparsa di Damiana, che ebbe cura di Juan Preciado, alla sua nascita, sembrerebbe finalmente ristabilire le dimensioni della realtà e offrire al protagonista un'ancora di salvezza onde arrestarne la caduta definitiva nel mondo d'incubo che lo attira. Damiana spiega la presenza delle voci nel villaggio come ricordo di epoche remote; le risa che si odono sono infatti «muy viejas, como cansadas de reír» e le voci «desgastadas por el uso»; la donna esprime la convinzione che verrà giorno in cui questi suoni si spegneranno del tutto76. Damiana Cisneros afferma di non inquietarsi ormai più per tutto questo, ma nella descrizione delle voci e delle entità misteriose, prive di un retroterra provato, non fa che accentuare il clima di irrealtà nel quale è preso il protagonista. Siamo di fronte a un processo di srealizzazione del reale che Rulfo persegue con sottile abilità su due piani, uditivo e visivo. Damiana afferma infatti:

«[...] Oigo el aullido de los perros y dejo que aúllen. Los dejo, porque sé que aquí no vive ningún perro. Y en días de aire se ve al viento arrastrando hojas de árboles, cuando aquí, como tú ves, no hay árboles. Los hubo en algún tiempo, porque si no, ¿de dónde saldrían?

Y lo peor de todo es cuando oyes platicar a la gente, como si las voces salieran de alguna hendidura y, sin embargo, tan claras que las reconoces. [...]»77.



Occorre sottolineare l'abilità del gioco di Juan Rulfo: egli va dando a mano a mano forma a realtà che finiscono per imporsi al protagonista, come al lettore, per poi distruggerle di colpo, accentuando il disorientamento e l'incubo. Ciò accade anche nel caso di Damiana Cisneros: quando più essa appare viva e reale, la sua consistenza materiale si dissolve d'improvviso e la donna scompare senza dare una risposta alla domanda di Juan intorno alla sua condizione di essere vivente. Il mondo vuoto e spettrale di Comala è cornice adatta alla realtà allucinante che si costruisce su pure irrealtà e le afferma. Juan Preciado ripiomba nella solitudine, si muove disorientato e inquieto in un paesaggio surreale:

«Y me encontré de pronto solo en aquellas calles vacías. Las ventanas de las casas abiertas al cielo, dejando asomar las varas correosas de la yerba. Bardas descarapeladas que enseñaban sus adobes revenidos»78.



Al grido con cui il giovane chiama Damiana, non risponde che l'eco. I nuovi personaggi che egli scorge nella strada del paese sono comparse fuggevoli, che non s'accorgono della presenza di Juan Preciado e con le quali non esiste possibilità di entrare in contatto. Le grida vuote, il silenzio dominante, l'incomunicabilità dei personaggi completano il disorientamento del protagonista. Rulfo fa di lui un essere ormai assente, di fronte ai nuovi scherzi di una realtà fantomatica e instabile, quindi già incorporato nell'irrealtà. Il contrasto tra un mondo irreale, fatto di rumori, di voci, di echi di canzoni lontane d'amore, di apparenze di forme concrete, di ombre e di echi di corpi, e la non meno irreale, ma apparentemente concreta, immagine dell'attività del villaggio trasmessa a Juan Preciado dalla madre, definisce sempre più in contorni vaghi e sfumati il regno della morte. Rulfo fa fluttuare questo regno, popolato di spettri con sembianze umane e atteggiamenti umanissimi, tra un aldilà indefinito e la terra, dove i personaggi sembrano continuare nel tempo, in un identico e instancabilmente ripetuto succedersi, la vita del loro passato di esseri concreti. Mentre avanza l'alba, Juan Preciado prende coscienza che tutto ciò che ha udito fino a quel momento non appartiene alla terra. Si tratta di tutta una serie di richiami che hanno come fine di incorporarlo al mondo delle ombre. Un'ultima visione conturbante gli si offre: la coppia incestuosa di fratello e sorella che da anni sembrano vivere soli nel villaggio di Comala -creature reali o anch'essi ombre?-, uniti da un amore eroso dal peso della colpa, la cui unica scusante sembra essere la necessità di ripopolare il paese, ma che sempre più soccombe al senso del peccato. La coppia allusa rappresenta il simbolo di un mondo condannato, predestinato dalle origini, appunto per le sue colpe, alla fine. Ossessionata dalla colpa la donna confessa disperata a Juan Preciado di essere dentro tutta «un mar de lodo»79; più avanti gli rivela che nessuno dei morti di Comala si è spento in grazia di Dio e che il loro vagabondare sulla terra si spiega con l'esclusione di ogni speranza di salvezza:

«[...] Y ésa es la cosa por la que esto está lleno de ánimas; un puro vagabundear de gente que murió sin perdón y que no lo conseguirá de ningún modo, mucho menos valiéndose de nosotros. [...]»80.



Il senso della colpa tormenta anche il compagno della donna. Egli sembra piuttosto la vittima di un amore colpevole che il protagonista attivo di esso. Nel romanzo l'uomo appare assillato dalla ricerca di un misterioso «becerro», in realtà simbolo di liberazione dal peso della colpa e pretesto per la fuga. In ore febbricitanti Juan Preciado, che intende sempre meno ciò che gli si svolge intorno, ha l'impressione che il tempo retroceda, fino al momento del suo incontro col mulattiere Abundio. Rulfo popola di simboli agghiaccianti il libro e ricorre al sovvertimento dell'ordine cronologico insito nel concetto di tempo, per rendere lo sconvolgimento del protagonista. Per Juan Preciado la realtà, instabile e conturbante, è del tutto incomprensibile e l'inquietudine, o anche il terrore, che essa determina in lui fa sì che il fantasma della madre assuma il significato di un unico rifugio. Per la prima volta, nel libro, la madre di Juan Preciado rivive non come ricordo, ma come voce dell'Ade, per confessare la propria impotenza ad aiutare il figlio. Lo scrittore mescola ancora una volta i piani su cui si svolgono le vicende; l'aldilà e la terra, il passato reale con un presente senza contorni corporei, elementi che accentuano la confusione del protagonista. Ad essi si aggiunge l'inattesa impossibilità della madre di attingere la sua figura: «Su voz parecía abarcarlo todo. Se perdía más allá de la tierra. No te veo»81.

A mano a mano che il disorientamento di Juan Preciado cresce, si direbbe che si affinino le sue facoltà di percepire ciò che sta oltre le cose. Invitato nel letto dalla donna incestuosa, nel delirio della febbre egli la sente sciogliersi in un mare di fango che lo coinvolge:

«[...] El cuerpo de aquella mujer hecho de tierra, envuelto en costras de tierra, se desbarataba como si estuviera derritiéndose en un charco de lodo. Yo me sentía nadar entre el sudor que chorreaba de ella y me faltó el aire que se necesita para respirar. [...]»82.



La decomposizione della materia umana prelude alla morte del protagonista. Saltato fuori dal letto per liberarsi dal fango peccaminoso, Juan Preciado cerca scampo nel villaggio, ma vi trova solo la morte. Da questo momento all'incapacità di capire, che contraddistingue la vita del giovane, succede una lucida comprensione. Se le voci, «los murmullos», lo hanno ucciso, come dichiara a Dorotea, la vera causa della sua morte è stata, in realtà, l'illusione. Il peso di una realtà deforme, angosciosa, dominata dal peccato, uccide l'anima, le toglie la possibilità di vedere, fino a che interrompe la vita. Questo sembra voler dire Juan Rulfo. Nell'impossibilità di intercedere per le anime in pena, Juan Preciado, contaminato dall'atmosfera peccaminosa di Comala, sente che la sua anima muore di gelo: «Por eso es que ustedes me encontraron muerto»83.

Rulfo incorpora il personaggio nel regno dei morti costruendo, di pagina in pagina, col suo sconcerto, quello del lettore. Il processo si compie allorché, a metà del romanzo, apprendiamo improvvisamente che tutto ciò che nella prima parte di esso era narrato dal protagonista come esperienza di viaggio alla ricerca del padre, non appartiene a un presente «attivo», bensì a un passato che per tale si chiarisce solo quando nell'aldilà Juan risponde alla domanda di Dorotea:

«Ya te lo dije en un principio. Vine a buscar a Pedro Páramo, que según parece fue mi padre. Me trajo la ilusión»84.



La saldatura di questa prima parte con le parole iniziali del romanzo è perfetta e legittima l'eliminazione dei confini tra reale e irreale, tra il mondo concreto dei vivi e quello immateriale dei morti.

3.- La seconda parte di Pedro Páramo «enfoca» dall'aldilà le vicende del mondo di Comala; un aldilà sotto terra, ma che si confonde con la terra, ossia col mondo dei vivi, o meglio, col mondo dove i morti vissero. Quando apprendiamo che Juan Preciado -solo a pagina 81 Dorotea ne fa il nome-, narratore in prima persona delle vicende della prima parte, è morto, la distanza temporale tra un Comala di vivi e il deserto attuale diviene improvvisamente concreta.

Appena giunto nell'Ade, Juan Preciado trova in Dorotea la sua guida; è un personaggio che ha avuto dubbia moralità in vita, poiché, portata dall'indigenza, essa divenne procacciatrice di donne per Miguel Páramo. Juan sembra affinare, una volta morto, le proprie facoltà psichiche; egli percepisce voci che Dorotea non attinge, o che attinge solo come rumori. Questa diversità potrebbe significare, da parte di Rulfo, la manifestazione di una condizione d'innocenza, di purezza, del protagonista, di fronte alla condizione colpevole della donna.

L'assenza di dati temporali concreti ai quali afferrarsi accentua il clima nebuloso del romanzo. Solo più tardi, attraverso la storia di Pedro Páramo -ora narrata, in gran parte, direttamente dallo scrittore, la cui voce si insinua senza stonature tra quelle dei defunti-, apprendiamo dati che permettono una individuazione concreta dell'epoca storica in cui i fatti si svolsero: quella dei «cristeros», della rivoluzione messicana, il momento di Villa, di Carranza, di Obregón, fino alla rivolta del Padre Renterias.

Dall'apparente caos del romanzo traspare un disegno strutturale assai rigoroso e stupisce l'incomprensione, se non l'ostilità, di alcuni critici, quali Ali Chumacero e il Rojas Garcidueñas. Il primo trova nello schema del romanzo una «falla principal» in quella che è invece la sua nota di maggior rilievo, il carattere fantastico, e parla di confusione, di carenza di studio serio della struttura, di composizione disordinata che toglie unità al libro, rimproverando l'assenza di un passaggio centrale «en que concurran los demás», così che alla fine la lettura lascerebbe «una serie de escenas hiladas solamente por el valor aislado de cada una»85. È vero che il critico concede a Rulfo l'attenuante di essere Pedro Páramo il primo romanzo di uno scrittore giovane e riconosce che nel libro non mancano «momentos impresionantes», mentre la prosa possiede qualità «únicas»86, ma la sostanza del giudizio rimane negativa.

Più duramente José Rojas Garcidueñas si oppone, e in forma apertamente polemica, all'ampio coro di «alabanzas irrazonadas», qualificando «sordida» questa letteratura. Egli censura in Pedro Páramo la struttura deliberatamente «desquiciada y confusa», l'arbitraria mescolanza, «sin pian ni esquema que organice el todo», delle tre linee che compongono il racconto: la narrazione, in prima persona, di Juan Preciado; l'intervento di personaggi secondari che ora dialogano, ora narrano brevi episodi del racconto di base; la narrazione da parte dell'autore della vita di Pedro Páramo87.

Anche il Rojas Garcidueñas, tuttavia, non manca di riconoscere nel libro qualità «relevantes y muy características», tra esse principalmente il «vigor» di personaggi elementari, dalle sordide passioni, «obscuros, sin la menor alegría ni generosidad, llenos de codicia y de remordimientos»88, ma per aggiungere subito altre critiche, ingiustificate quanto le prime, come la mancanza di colore, la povertà del linguaggio, affermando che un simile modo di comporre «en cuadros estáticos» è più adatto al racconto, nel quale Rulfo diede, secondo il critico, buoni frutti, mentre ha prodotto un romanzo «deficiente»89.

Alle critiche dei due scrittori messicani ha risposto con argomentazioni convincenti Hugo Rodríguez-Alacalá, ponendo in rilievo proprio nell'apparente «confusione» e nella frammentarietà del libro la novità di Rulfo e, in tal senso, la sua funzione di rottura nei confronti della narrativa messicana e ispano-americana90. La confusione è, infatti, ben calcolata in Pedro Páramo; essa mira, di proposito, a creare un'atmosfera in cui il lettore si muova dapprima disorientato, per poi pervenire a un chiarimento completo. Il clima sospeso tra realtà e irrealtà è ottenuto attraverso la commistione di dati e personaggi imperfettamente definiti; ma il caos è solo apparente e non a torto, a tale proposito, Carlos Bianco Aquinaga ha rilevato che nella sua tecnica Rulfo ha moderato «juiciosamente» l'influenza di Joyce e con tanta abilità che il caos «se nos ordena sin aparente maestría, y lo comprendemos sin que deje de ser por ello el caos de voces y rumores que vienen desde la muerte»91.

Sia Alí Chumacero che il Rojas Garcidueñas rimangono troppo legati agli schemi del romanzo tradizionale per avvertire il valore della novità che Pedro Páramo rappresenta nella narrativa ispano-americana.

La frammentazione degli episodi, nella loro apparentemente caotica confusione, ha indotto a parlare di «tesserine» di un mosaico, a ricostruire il quale il lettore è chiamato, senza che ne manchi alcuna perché sia completo92. Più che di un mosaico, tuttavia, mi sembra il caso di parlare di un labirinto dalla struttura perfetta, nel quale il lettore, sperduto dapprima, disorientato in parte, ritrova a poco a poco tutte le direttrici che gli permettono di ricostruirne la pianta esatta, quindi di muoversi in esso a suo agio, non più prigioniero, di raggiungere la spiegazione piena di ogni fatto, di intendere il significato di ogni personaggio.

Dal momento della morte di Juan Preciado e del suo inserimento nel mondo delle ombre, il lettore si vede obbligato a un costante esercizio della memoria, a riagganci continui con quanto già letto e confusamente inteso. Un fitto reticolo si intesse, chiarendo progressivamente la propria trama. Così, ad esempio, del misterioso smaniare del giovane Pedro per Susana si ha la spiegazione nella seconda parte del romanzo; allo stesso modo Pedro Páramo e Susana si costruiscono nella loro figura proprio in questa seconda parte, come avviene per il Padre Rentería, Dorotea, Fulgor Sedano e altri personaggi secondari. Il modo perfetto con cui le parti precedenti si agganciano alle successive, o queste a quelle, a distanza di pagine fitte di episodi e di personaggi diversi, mostra nello scrittore particolare lucidità e abilità. Talvolta l'aggancio avviene attraverso la ripresa di intere frasi: il «Mas te vale, hijo» di Eduviges Dyada a Juan Preciado, della pagina 41 -dell'edizione cui sono ricorso-, è il riaggancio, attraverso la pura ripetizione della frase, alla scena della pagina 31, nella quale la donna rispondeva al giovane, il quale negava di aver mai udito il lamento di un morto; con questo espediente il dialogo interrotto riprende. In altra occasione la ripetizione ha solo apparentemente la funzione di riaggancio, in realtà immette con maggior sorpresa in un'altra scena; è il caso della frase «Habìa estrellas fugaces», con cui inizia il paragrafo di pagina 39, ripetizione dell'identica frase con cui termina la pagina precedente. A pagina 76 un medesimo panorama di pioggia salda due piani diversi, il mondo morto con quello reale. A pagina 104 uno stesso tempo verbale collega due momenti diversi della vita di Susana e dell'amore di Pedro Páramo: «sabías»; mentre a pagina 112 due tempi diversi del verbo «seguir» saldano un uguale panorama di pioggia e la continuità del racconto nell'episodio del vaneggiamento di Susana in punto di morte.

Il dialogo tra Juan Preciado e Dorotea riaffiora continuamente, nella seconda parte del romanzo, come sfondo e commento agli avvenimenti e ai protagonisti. A parte l'evidente e vistoso riaggancio, già alluso, della pagina 74, con l'avvio del romanzo intorno all'oggetto del viaggio del protagonista, numerosi sono i procedimenti del tipo che potremmo segnalare. Del Padre Rentería, tormentato dal rimorso per la sua acquiescenza a Pedro Páramo, ci si precisa la figura tra le pagine 88 e 92; ma al tempo stesso si precisa anche quella di Dorotea, in un passato remoto in cui il prete le negò la salvezza celeste per i suoi peccati di «conchavadora» di donne. Dell'amore giovanile di Pedro Páramo per una non precisata -nella prima parte del libro- Susana, apprendiamo poi ogni cosa, in una continua commistione temporale di passato e di presente; un presente che è già passato esso stesso al momento della morte di Juan Preciado, meglio, all'inizio del suo viaggio. La figura di Pedro Páramo, che domina tutto il romanzo, presentata nella prima parte, in episodi che si confondono con altri di protagonisti diversi, come giovinezza aperta alla purezza, più tardi diviene espressione di ferocia e di disprezzo della legge, finché si chiarisce nella seconda parte del romanzo divenendo preminente su tutti gli altri personaggi. Nelle pagine 97-98, attraverso le parole di un defunto, vittima della vendetta irragionevole di Pedro Páramo, apprendiamo così che all'origine la sua malvagità si dovette all'uccisione del padre e all'amore frustrato per Susana. Quando finalmente egli ottiene la donna, malata e demente, nulla può essere rimediato; il possesso, anzi, diviene una forma nuova di pena, di castigo per l'uomo crudele.

Da parte sua Susana va continuamente indietro nel tempo col ricordo, evocando la vita col padre, il suo amore felice per Florencio, poi la morte di lui e il dolore, reso più vivo nel contrasto con la pienezza vitale di quando l'amore sbocciò senza inibizioni. Ma a pagina 122, quando da tempo ormai Susana parla da sotterra, essa è ancora un personaggio misterioso, non solo per Juan Preciado e Dorotea, ma anche per il lettore. Rulfo mantiene con perizia questo clima sospeso che avvince chi legge e accresce la dimensione del personaggio. Il passaggio dal passato al presente è continuo, come lo è quello dal mondo reale al mondo morto. È questa tecnica particolare a conservare al romanzo il clima mitico che lo caratterizza. L'unità di Pedro Páramo, al disopra delle due parti in cui il lettore finisce per considerarlo diviso93, al disopra della frammentarietà degli episodi, è mantenuta grazie a questo clima, ottenuto attraverso un fitto intersecarsi di piani reali e irreali nei meandri del labirinto. Ma è un clima che si fonda anche su altri motivi, tra essi la tensione con cui i morti ricordano la terra, l'angolazione conseguente dalla quale vengono affrontate le cose. Si aggiunga, nella seconda parte, la ribadita comunicazione tra vivi e defunti: il padre di Susana, fatto assassinare da Pedro Páramo, appare a Justina per dirle che d'ora innanzi la sua vigilanza sulla figlia è inutile, perché lui stesso veglierà su di lei94; a sua volta Susana percepisce la presenza del padre ucciso e prende coscienza della sua morte prima che le sia comunicata materialmente95. Per meglio mantenere vaghi i confini tra la vita e la morte, i defunti si esprimono con terminologie e misure umane: così Dorotea parla di voci «vecchie» e di voci «giovani» di morti, presenta i defunti come esseri ai quali sono riconosciute sensazioni da vivi, come la reazione all'umidità, che allorché li raggiunge sotterra li fa rimuovere, «comienzan a removerse. Y despiertan»96. Il mondo reale è così vicino che basta un accenno a «là fuori» per richiamarlo. Juan Preciado da morto percepisce le variazioni atmosferiche che avvengono sulla terra: «Alla afuera debe estar variando el tiempo [...]»97; e Dorotea ode il suono della pioggia:

«[...] ¿Oyes? Allá afuera está lloviendo. ¿No sientes el golpear de la lluvia?»98.



La risposta di Juan conferma la diretta comunicazione col mondo: «Siente como si alguien caminara sobre nosotros»99.

La pioggia è uno degli elementi che danno unità al romanzo e non solamente, come l'aria e il vento, in funzione di annuncio di momenti felici o infelici100, bensì come filo d'unione, su un unico sfondo, di tutte le scene del libro. Se la presenza della visione materna di Comala quale fu un tempo non abbandona Juan Preciado neppure morto, la pioggia ha la funzione di trasformare il tempo in un presente costante. I ristagni lirici che mostrano un mondo felice appaiono sempre ricordo di un passato distrutto; mentre la pioggia, nei suoi aspetti cangianti, restaura una attualità positiva che vince il tempo e apre la strada alla speranza. Il labirinto perfetto si costruisce anche su questi elementi.

4.- Comala è presentata da Juan Rulfo come un mondo sul quale è passato il soffio della maledizione biblica. La sua trasfigurazione da luogo ridente, dominato dal verde della vegetazione e dal colore delle messi -immagine trasmessa dalla madre di Juan Preciado al figlio: «...Llanuras verdes. Ver subir y bajar el horizonte con el viento que mueve las espigas, el rizar de la tarde con la lluvia de triples rizos. El color de la tierra, el olor de la alfalfa y del pan. Un pueblo que huele a miel recién derramada...»101-, a luogo deserto, dove tutto è sabbia, mancanza di vegetazione e di frutti, di colori teneri, atmosfera infuocata e irrespirabile, calma opprimente, è il risultato di un lungo periodo di peccato che ha distrutto il paese. La condizione ambigua del suo «emplacement», «en la mera boca del infierno»102, secondo l'espressione del mulattiere Abundio, fa di Comala un microcosmo perduto. Nei defunti, allo stesso modo che in Juan Preciado attraverso il ricordo materno, perdura inalterata nel tempo la visione di ciò che il villaggio fu in epoca passata. Dalla bara in cui è sepolta, Susana ricorda quando maturavano i limoni, evoca il vento, le nubi, il cielo azzurro, la luce, gli uccelli. Il passaggio, di sottile lirismo, accentua il contrasto tra la realtà attuale di Comala e il paradiso d'un tempo, contribuendo con numerosi altri momenti lirici ad accrescere l'atmosfera magica del romanzo. Tra la realtà negativa della morte e quella di un'esperienza dolorosa si insinua la nota magica del mondo felice scomparso, o che almeno felice dovette sembrare ai defunti, tra essi a Susana:

«Siento el lugar en que estoy y pienso...

Pienso cuando maduraban los limones. En el viento de febrero que rompía los tallos de los helechos, antes que el abandono los secara; los limones maduros que llenaban con su olor el viejo patio.

El viento bajaba de las montañas en las mañanas de febrero. Y las nubes se quedaban allá arriba en espera de que el tiempo bueno las hiciera bajar al valle; mientras tanto dejaban vacío el cielo azul, dejaban que la luz cayera en el juego del viento, haciendo círculos sobre la tierra, removiendo el polvo y batiendo las ramas de los naranjos.

Y los gorriones reían; picoteaban las hojas que el aire hacía caer, y reían; dejaban sus plumas entre las espinas de las ramas y perseguían a las mariposas y reían. Era esa época»103.



L'epoca allusa è anteriore alla decisione di Pedro Páramo di incrociare le braccia e di provocare così la morte del villaggio; un'epoca che si ricollega alla fanciullezza innocente di don Pedro, prima che il padre venisse assassinato ed egli desse inizio alla serie delle vendette, crudeli quanto ingiustificate. A distanza di anni, divenuto padrone di Comala, l'uomo spietato dovrà scacciare egli stesso dal suo pensiero il ricordo della tragedia familiare, perché gli ripropone la serie innumerevole delle sue vittime104. È comunque da questo momento che la vita del paese incomincia a cambiare. Il Padre Rentería afferma che tutto ebbe inizio da un atto di superbia, da quando, cioè, don Pedro incominciò a prosperare e «de cosa baja que era, se alzó a mayor»105. Egli divenne allora l'incarnazione del male e sotto la sua azione Comala si trasformò nell'immagine dell'inferno, o meglio nell'inferno stesso. Anche Juan Preciado, una volta morto, si rende conto improvvisamente di non aver avvertito su Comala, all'epoca del suo viaggio, la presenza del cielo, che forse era il medesimo che la madre conobbe106. L'improvvisa riflessione e il dubbio intorno alla natura di quel cielo, alla reale identificazione con la visione mitica della madre, ha il significato di una negazione totale. Infatti, quando Juan inizia la discesa a Comala i suoi sensi percepiscono solo il calore; il riverbero del sole su una pianura ostile, simile a una laguna trasparente, vapori che lasciano intravvedere un orizzonte grigio, una linea di montagne, e più oltre solo la «remota lejanía»107. L'attenzione del protagonista è tesa essenzialmente alla terra, come se il cielo non esistesse, o fosse scomparso. Su Comala, regno del peccato, il cielo ha cessato, infatti, di esistere. Lo scrittore esprime in questo modo la condanna di un mondo che non si limita a Comala, ma si estende a tutto il paese, dove la condizione umana appare inquietante.

Nell'aldilà anche Dorotea sottolinea la dura realtà della terra; essa afferma di essersi dimenticata del cielo, tanto alto che solo la terra è una realtà concreta108. Al significato simbolico del cielo come salvezza, la donna oppone quello della terra come condanna.

Nel primo incontro con Juan Preciado nell'Ade, Dorotea fornisce la chiave, s'è detto, dello strano agitarsi delle ombre dei defunti sulla superficie del mondo; tutti morirono in stato di peccato; perciò non trovano pace. La distruzione di Comala non si deve, quindi, solo alla malvagità e alla violenza di Pedro Páramo, ma al peccato, di per sé distruttore. Il Padre Rentería è responsabile quanto don Pedro, e forse più di lui, di ciò che accadde a Comala. Attraverso la figura del prete Rulfo richiama le responsabilità della chiesa di fronte al sopruso e alla violenza. Nell'acquiescenza -per la verità mal rassegnata- a don Pedro, il Padre Rentería comprende solo quando è ormai troppo tardi i segni premonitori che la terra gli aveva offerto; ciò avviene quando il «señor cura», dal quale si è recato per confessarsi, gli ricorda le responsabilità del prete in un mondo che riconosce obiettivamente difficile, dove tutto si ottiene grazie alla Provvidenza, ma «con acidez». Solo in questo momento il Padre Rentería si rende conto del perché la vite che tentò di piantare non attecchì a Comala, luogo in cui crescono solamente «arrayanes y naranjos», anch'essi «agrios», così che egli finì per dimenticare il sapore delle cose dolci109. Che Comala sia un luogo maledetto lo afferma anche il padre di Susana:

«Hay pueblos que saben a desdicha. Se les conoce con sorber un poco de su aire viejo y entumido, pobre y flaco como todo lo viejo. Éste es uno de esos pueblos, Susana»110.



Ciò che distrugge Comala è la violenza, la mancanza di carità. Pedro Páramo, Miguel Páramo, Fulgor Sedano, sono i principali protagonisti del male che viene dalla violenza. Di fronte ad essi stanno personaggi che soffrono tale violenza, le vittime, Toribio Aldrete, Susana, Dorotea, Bartolomé San Juan, Fiorendo; o che giungono alla violenza spinti dalla mancanza di carità, come Abundio, figlio illegittimo di don Pedro, che ucciderà il padre perché gli ha negato aiuto economico per la sepoltura della moglie.

La spirale della violenza -esemplificata da Rulfo anche nella molteplicità delle fazioni rivoluzionarie che, prive di ideali, distruggono il paese- non può arrestarsi se non con la morte di don Pedro che ne fu l'origine. In Pedro Páramo lo scrittore ci offre, nella seconda parte del romanzo, prossimo il momento della fine, una figura intensamente drammatica. Egli appare cosciente dell'inevitabilità della sua morte violenta: alla scomparsa del figlio Miguel, infatti, don Pedro avverte che è ormai sottoposto a un segno avverso. All'epoca in cui aveva orgogliosamente affermato che la legge era la sua volontà, subentra quella del «desquite», e si rassegna, fatalisticamente: «Estoy comenzando a pagar. Más vale empezar temprano, para terminar pronto»111.

Juan Rulfo dà a Pedro Páramo una dimensione che ne fissa la figura tra i personaggi di incancellabile memoria nella narrativa ispano-americana; egli non è solamente l'uomo della forza e della vendetta, l'autore di ogni sopruso; sulla sua figura si proiettano con significato positivo, ampliandone la dimensione spirituale, l'innocenza della gioventù e il tragico destino del suo amore per Susana che lo condanna, anche quando la donna è divenuta sua, ad averla lontana, nella demenza e nel persistente ricordo del rivale, da lui fatto uccidere inutilmente.

L'inutilità delle sue azioni, ossia della violenza, è il tormento degli ultimi anni di Pedro Páramo; personaggio tra i più vivi del romanzo, lo scrittore, senza mai riabilitarlo, lo costruisce in un'ampia dimensione umana, nel dolore, nell'accettazione amara e senza speranza del compiersi del proprio destino. Nelle ultime pagine del romanzo don Pedro, solo e indifferente a ciò che gli sta intorno, ci si presenta in attesa unicamente della morte. La sua opera di distruzione è compiuta -«La tierra en ruinas estaba frente a él vacía»112-, ma tormentato dai suoi fantasmi attende la fine come una liberazione. Le facoltà divinatorie, caratteristiche degli abitanti del mondo comalense e delle quali egli partecipa, gli fanno prevedere l'arrivo di Abundio e l'atto violento che compirà su di lui. La coscienza del male compiuto e dell'inevitabilità dell'espiazione gli impediscono di reagire, di difendersi, di opporsi al destino. Immobile, in attesa del colpo finale, tale rimane anche ferito a morte. Solo al richiamo di Damiana, nel tentativo di alzarsi dalla sedia, don Pedro torna per un momento all'azione, ma unicamente per cadere al suolo e sbriciolarsi come un mucchio di pietre.

«Se apoyó en los brazos de Damiana Cisneros e hizo el intento de caminar. Después de unos cuantos pasos cayó, suplicando por dentro; pero sin decir una sola palabra. Dio un golpe seco contra la tierra y se fue desmoronando como si fuera un montón de piedras»113.



La fine di Pedro Páramo è quella del simbolo del male. Nella sua vita egli dimostrò sempre l'insensibilità della pietra, e a pietra si riduce nella morte.

Con don Pedro il Padre Rentería condivide, s'è detto, la responsabilità della distruzione del paese. Comala è distrutta non solo dalla violenza, ma dalla mancanza di carità e di comprensione. Il prete non è solo responsabile di aver ceduto a Pedro Par amo, o di non aver avuto la forza di opporglisi, ma di non aver compreso il dramma di chi era caduto in peccato e di non averlo soccorso con la carità, col perdono, con una parola di speranza. Nel suo dramma Dorotea denuncia a Juan Preciado quello di molte anime. Nel profondo disorientamento che il peccato determina, il Padre Rentería perde la nozione della misericordia divina, fino a precludere il cielo a chi è caduto in colpa per debolezza. Personaggio intensamente drammatico, nella sua condizione di creatura privata della speranza di salvezza, Dorotea confessa all'interlocutore, Juan Preciado, di aver perso in vita ogni interesse per il cielo, dal momento in cui il Padre Rentería le assicurò che mài sarebbe arrivata a conoscerlo a causa dei suoi peccati: «Que ni siquiera de lejos lo vería...»114.

Nel racconto di Dorotea lo scrittore sottolinea il disperato senso di inutilità del vivere, in una pagina esemplare in cui il clima irreale non fa che accentuare il significato drammatico di una condizione umana grigia, cui è precluso il riscatto, o almeno la speranza di esso. Al Padre Rentería la donna rimprovera soprattutto di averle tolto, con la speranza, l'unica cosa che dava ancora senso alla vita, nonostante il suo peso di dolore; la terra è divenuta così il suo cielo:

«[...] Ya de por sí la vida se lleva con trabajos. Lo único que la hace a una mover los pies es la esperanza de que al morir la lleven a una de un lugar a otro; pero cuando a una le cierran una puerta y la que queda abierta es nomás la del infierno, más vale no haber nacido... El cielo para mí, Juan Preciado, está aquí donde estoy ahora»115.



Si comprende così come il problema dell'anima non interessi il personaggio. L'Ade in cui i protagonisti di Pedro Páramo son finiti per cadere non è ancora l'inferno definitivo. Sembrerebbe piuttosto che Rulfo abbia pensato a un luogo d'attesa nel quale stanno solo i corpi smaterializzati dei defunti, mentre l'anima vaga sulla terra in cerca di un impossibile riscatto dalla condanna. Quando Juan Preciado chiede a Dorotea notizie della sua anima, la donna afferma che essa si staccò dal suo cuore con un filo di sangue, forse per vagare sulla terra di nuovo «buscando vivos que recen por ella»116. La stanchezza del vivere si manifesta nel rifiuto opposto da Dorotea all'anima di continuare a vivere per riscattarla dalle colpe del corpo:

«[...] Cuando me senté a morir, ella me rogó que me levantara y que siguiera arrastrando la vida, como si esperara todavía algún milagro que me limpiara de culpas. Ni siquiera hice el intento: "Aquí se acaba el camino -le dije. Ya no me quedan fuerzas para más". Y abrí la boca para que se fuera. Y se fue. Sentí cuando cayó en mis manos el hilito de sangre con que estaba amarrada a mi corazón»117.



Di fronte al destino che la violenza e la mancanza di carità riservano a Comala, si capisce come il cielo appaia distante; ciò permette a Rulfo di porre in rilievo drammaticamente l'ingiustizia che presiede alla vita. Il mondo assunto a materia del romanzo è un universo chiuso e disperato, popolato di personaggi che hanno conosciuto sentimenti diversi, più puri, anche se hanno finito per cadere nel fango; è il ricordo di questi sentimenti a proiettare una luce più umana anche sui momenti meno positivi della loro esistenza, accentuando, per contrasto, la realtà dolorosa della caduta.

In Pedro Páramo lo scrittore manifesta un impegno morale che non può essere taciuto. Il mondo rurale messicano, con le sue passioni, i suoi odi, le raccapriccianti ingiustizie, vive in modo inedito nelle pagine del romanzo, grazie al clima di realtà-irrealtà che trasforma i protagonisti in personaggi mitici, eppure così concretamente vivi. Ciò avviene non solo per le vicende narrate, ma per la continuità di un discorso -dialogo o monologo interiore118- che non scade mai di tono e rispecchia il modo di esprimersi, nobilitato sul piano artistico, mai falsato, di tutta una società contadina.

Anche affrontando l'argomento politico, quello della Rivoluzione, tema obbligato per un messicano, Rulfo, è originale e inedito: egli non si addentra, infatti, nella discussione delle cause della Rivoluzione e dei suoi fallimenti, ma limitandosi a proiettare sullo sfondo del romanzo il mondo contraddittorio e inquieto da cui essa trae origine, e che in essa si esprime, ne realizza una critica efficace. In Pedro Páramo la Rivoluzione appare totalmente svuotata del suo significato; Rulfo condanna l'arrivismo, lo sfruttamento egoistico del movimento rivoluzionario, senza mai intervenire direttamente, solo attraverso rapide notazioni di fatti, che costituiscono lo sfondo dell'ultima parte del romanzo. In questo senso lo scrittore inaugura un capitolo nuovo nella narrativa messicana della Rivoluzione, riscattandola dal crudo realismo e dal documentarismo dell'epoca immediatamente precedente, mentre per tutta la struttura del libro, in cui realtà e irrealtà si confondono continuamente, o meglio si fondono, apre nuove prospettive a tutta la narrativa ispano-americana119.



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