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Il teatro protestatario di suor Juana


Dopo la fama eccezionale che durante il secolo XVII ne diffuse il nome, in America e in Europa, un lungo silenzio avvolse suor Juana Inés de la Cruz e la sua opera per tutto il «Secolo dei Lumi». La rivalutazione del barocco agli inizi del Novecento fece riscoprire la singolare artista messicana, provocando un interesse che si è andato accentuando durante tutto il secolo, a partire dagli studi di Marcelino Menéndez y Pelayo383, del Vossler384, del Pfandl385 e del Chávez386, cui si aggiunsero, in epoca più tarda, quelli di Octavio Paz387, del Méndez   —276→   Plancarte, editore benemerito di tutta l'opera sorjuanina388, di Alatorre389, della Bénassy-Berling390, della Sabat Rivers391, di Margó Glantz392 e di vari altri studiosi393. Neppure l'ispanoamericanismo italiano rimase insensibile di fronte alla vita e all'opera della grande artista394.

Una serie di motivi richiama l'attenzione della critica nei riguardi di suor Juana: la singolarità della sua vicenda umana, l'improvvisa decisione, al culmine del plauso di palazzo, di farsi monaca, la fama straordinaria raggiunta come poeta e autrice di commedie e di autos sacramentales, la lotta che dovette sostenere con il confessore per la sua attività creativa, infine il silenzio improvviso. Meraviglia, o «mostro» della natura per la sua condizione di donna eccezionale, essa fu, infatti, oggetto di plauso, ma anche di persecuzione.

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Sulla sua situazione suor Juana ha lasciato documenti straordinari: una lettera durissima al suo confessore e la Respuesta a Sor Filotea de la Cruz, datata primo marzo 1691. Dopo questo scritto Juana si chiuse nel silenzio. Scoppiata a México la peste e diffusasi nel convento, ne fu contagiata curando le consorelle. Si spense alle quattro di mattina del 17 aprile 1695, ricevuti i Sacramenti, senza che, a detta del suo biografo, il padre Diego Calleja, il rigore della malattia avesse potuto causarle «la turbación más leve en el entendimiento»395.

Si concludeva così quella che Alfonso Reyes definì la sua «pascaliana noche de Getsemani»396. Juana de Asbaje contava quarantaquattro anni, cinque mesi, cinque giorni e cinque ore, se stiamo al puntiglioso computo del Calleja397, e aveva trascorso in convento ventisei anni, essendovi entrata a diciannove. Durante la sua vita aveva visto una primavera fiorente di successi, una maturità ricca di riconoscimenti, ma anche di accanite persecuzioni. Chi in qualche modo si avvicina alla sua opera e alla sua figura non può facilmente dimenticare le sue denunce: «Hombres necios que acusáis a la mujer...»398; «En perseguirme, Mundo, ¿qué interesas? / ¿En qué te ofendo, cuando sólo intento, / poner bellezas en mi entendimiento / y no mi entendimiento en las bellezas?...»399;   —278→   «¿Quién no creerá, viendo tan generales aplausos, que he navegado viento en popa y mar en leche, sobre las palmas de las aclamaciones comunes?...»400; «No puede estar sin púas que la puncen quien está en alto...»401; «¿Qué precisión hay en que esta salvación mía sea por medio de V. R.?...»402 Una donna che seppe difendere se stessa, ma che alla fine fu costretta al silenzio.

L'opera di suor Juana è stata abbondantemente studiata negli ultimi decenni del secolo XX, la poesia soprattutto e la Respuesta a Sor Filotea, ma neppure sono mancati studi dedicati al teatro. L'interesse andò crescendo in particolare dopo che il Paz con il suo libro, Sor Juana o las trampas de la fe, contribuì a rendere ancor più attuale il personaggio, accentuando la nota drammatica della sua vita e il segno autobiografico della produzione artistica403.

Infatti, non solo la Carta scoperta dal padre Tapia e la Respuesta a Sor Filotea sono documenti autobiografici, ma lo è   —279→   in gran parte la poesia, anche quella d'occasione, dove suor Juana manifesta per circostanze minime, o anche rilevanti, i propri sentimenti, l'affetto in particolare per la famiglia dei viceré, conti di Paredes, suoi protettori e amici, soprattutto la contessa, cui la monaca rimase legata da riconoscenza e affetto e alla quale dovette la pubblicazione in Spagna della Inundación Castálida e del resto della sua opera404. Del pari autobiografico è il Primero Sueño, gioiello della poesia barocca, dove Juana Inés dà voce alla sua ansia di conoscenza, affermando al contempo l'inevitabile fallimento delle capacità dell'intelletto umano di attingere il mistero del mondo. Né meno autobiografico è il teatro, documento trasparentemente partecipativo della suora a temi e sentimenti, dalla sua condizione di donna di fronte alla società.

L'opera drammatica sorjuanina si compone -sempre che si vogliano considerare solo esercitazioni liriche i villancicos405 di tre autos sacramentales, El Divino Narciso, El Mártir del Sacramento, San Hermenegildo, El Cetro de José, di alcune loas, di una commedia, Los empeños de una casa, nella quale sono compresi due sainetes, di un'opera drammatica, Amor es más Laberinto, scritta in collaborazione con il Licenciado Juan de Guevara, della quale suor Juana scrisse il primo e il terzo atto. Più che dubbia è invece l'attribuzione alla suora de La segunda Celestina, opera in realtà di Agustin de Salazar y Torres, nota anche con il titolo di El encanto en la hermosura y el hechizo sin hechizo, rimasta incompiuta per la morte improvvisa dell'autore, secondo informa Juan de Vera Tassis y Villaroel, il quale a sua volta, per ordine sovrano, ne completò   —280→   una copia406. In realtà suor Juana riprese la commedia di Salazar y Torres e la portò anche lei a compimento. Nel Sainete segundo, de Los empeños de una casa, lei stessa allude all'opera come commedia «mestiza», finita «a retazos» e formata «de un trapiche y de un ingenio»407.

Ricercare gli elementi «personali» di suor Juana nella sua opera drammatica è impresa gratificante: vi si trovano le sue convinzioni, e allusioni non velate alla situazione personale. Più limitata, come naturale, questa presenza è negli autos sacramentales, dove si coglie soprattutto un sincero trasporto, in accordo con la condizione religiosa dell'autrice, che versa con abbondanza, soprattutto nel Divino Narciso, attraverso gli elementi della cultura classica e biblica, nonché della conoscenza entusiasta della poesia spagnola, soprattutto di Garcilaso, di san Juan de la Cruz e degli autos di Calderón408.

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Già ho illustrato alcuni atteggiamenti pro-indigenisti di suor Juana nei suoi autos sacramentales, come il tentativo, nella loa che introduce El Cetro de José, di riscattare in senso cristiano i sacrifici umani degli aztechi e di individuare nel «Dios de las semillas», presente nella loa che introduce El Divino Narciso, la figura del Cristo. Ma il valore degli autos sorjuanini va ben al di là di questi motivi. Nel Divino Narciso il mistero eucaristico trova atmosfera ideale, per candore e purezza, per freschezza di poesia, per linee rinascimentali di paesaggio, dando luogo a una suggestiva atmosfera di acque e di presenze simboliche, rivelando nell'autrice doti straordinarie di sensibilità, la purezza di un'anima liricamente volta all'esaltazione del divino.

Al tempo stesso, ardente messicana, anche senza che si indulga a illazioni d'indole indipendentista, del resto poco realistiche nell'atmosfera coloniale dell'epoca, la suora manifesta il suo attaccamento al mondo nel quale vive e del quale si sente legittimamente parte, a una terra di cui sottolinea l'abbondanza e la bellezza. Se in un romance aveva incitato l'aquila azteca a innalzare l'«imperial vuelo»409, nella «loa» introduttiva al Divino Narciso celebra la stirpe antica dei messicani, che «de las claras luces / del Sol se origina».

Particolarmente interessante è il testo de El Mártir del Sacramento, San Hermenegildo, un auto fondato essenzialmente   —282→   sul testo della Historia de España del padre Mariana. Per la sua natura di dramma «storico-allegorico» i personaggi sono, più che nella simbologia del Divino Narciso, portatori di sentimenti, quindi di pulsioni della stessa suor Juana. Nella sua linearità, infatti, l'auto permette di cogliere la diretta partecipazione dell'autrice in un particolare stato d'animo, quello della sottomissione alla volontà di Dio. Lo esprime Ermenegildo, quando sottomettendosi al volere di Tiberio, si dichiara disposto a consegnare moglie e figlio quali pegni per l'aiuto che sta per averne nella lotta contro il padre:


¡Todo es de Dios, nada es mío!
¡Cúmplase su voluntad!410



Non sappiamo in che epoca la suora abbia scritto questo dramma sacro, ma certo era già stata duramente provata, se tutta la sua opera drammatica viene composta tra il 1680 e certamente prima del 1691, data della Respuesta a Sor Filotea.

Nel Mártir del Sacramento la vitalità dei personaggi si fonda sul drammatico scontro di sentimenti diversi, situazione consona a quella di suor Juana, ma, a ben guardare, il significato dell'auto sacramental, che in qualche modo potrebbe essere avvicinato, se si esclude l'elemento religioso e il finale violento, a La vida es sueno di Calderón, affronta implicitamente anche il tema del potere, della tirannia, nella figura del padre del santo, che, nemico del cattolicesimo, non esita a far uccidere il proprio figlio.

Ben diversa la figura del Faraone ne El cetro de José, attento alla giustizia, al benessere del regno, ma anche aperto alla misericordia,   —283→   non meno di Giuseppe verso i fratelli. Un auto di grande finezza, alla base una storia semplice e risaputa, alla quale suor Juana restituisce freschezza.

Anche El Divino Narciso, mostrando gli «estragos» della violenza su un innocente, il Cristo, è, alla fine, una protesta contro la violenza del potere. Non avrà pensato a se stessa, la suora, centro di tanti tormenti? Ma l'auto sacramental in questione, il più ispirato di tutti, tanto che il Méndez Plancarte lo giudica superiore alla commedia mitologica di Calderón, Eco y Narciso411, è quello che meglio immette nella sensibilità della suora, tesa spasmodicamente, parrebbe di comprendere, a riscattare la religiosità della sua condizione, insidiata, secondo i nemici, dalle attività creative profane.

Maggiori elementi al nostro tema offre, naturalmente, il teatro profano. Benché meno rilevante de Los empeños de una casa, la commedia mitologica Amor es más Laberinto, del 1689, permette di cogliere quella serietà di principi che è propria di suor Juana. Il tema della fortuna tiranna si fa largo nella situazione di Teseo prigioniero di Minosse, re di Creta, e destinato ad essere immolato al Minotauro. Il concetto severo che Teseo ha della giustizia può essere facilmente trasferito alla suora, così come la situazione infelice del principe richiama note autobiografiche dell'autrice.

In Teseo, in sostanza, riscontriamo la stessa dignità, la medesima fierezza che la scrittrice messicana mostra nella Respuesta a Sor Filotea. La figura dell'eroe, vinto dalla sfortuna e dalla cattiveria degli uomini, si attaglia perfettamente a lei, che pochi anni dopo si autocondannerà al silenzio e all'oblio:

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nadie conoce al que
ve en baja fortuna puesto.412



È a questo punto che l'eroe manifesta l'alto concetto che egli ha dell'uomo, figlio delle proprie opere, non delle origini nobiliari. Come non trovare un dato autobiografico di suor Juana in questa affermazione? Lei, certamente orgogliosa, nonostante tutto, di essere quella che era riuscita ad essere, pur con la macchia di una nascita illegittima413, un'artista celebrata pur essendo stata, in sostanza, un'autodidatta, ma certamente straordinaria -per questo un altro ingegno, pure fattosi da sé, il caustico Juan del Valle y Caviedes, dal lontano Perù le dichiarava la sua ammirazione414-, instancabile lavoratrice notturna, se era riuscita a scrivere tanto. La notte, il raccoglimento, il silenzio propizio alla creazione letteraria, alla riflessione:


Nocturna, mas no funesta,
de noche mi pluma escribe.415



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E un lamento: «... no es posible / suplir las purpúreas horas / las luces de los candiles;/...»416. Ma la sua poesia produceva altrettanta luce.

Con ardimento Teseo afferma il suo concetto davanti al potente re Minosse e certamente suor Juana pensava al pubblico cortigiano dal quale aveva dovuto fuggire, rifugiandosi in convento. Essere nato «príncipe excelso», dichiara l'eroe, lo deve al sangue, non ai propri meriti, ma egli non stima altro che ciò che deve a questi ultimi:


Que entre ser príncipe y ser
soldado, aunque a todos menos
les parezca lo segundo,
a lo segundo me atengo;
que de un valiente soldado
puede hacerse un rey supremo,
y de un rey (por serlo) no
hacerse un buen soldado.
Lo cual consiste, Señor,
si a buena luz lo atendemos,
en que no puede adquirirse
el valor como los reinos.417



Una figura straordinaria questa di Teseo, cui si contrappone un re vendicativo, non sazio di sangue e alla fine umanamente   —286→   timoroso nella sconfitta. Come già Segismundo ne La vida es sueño, ora è Teseo que risparmia la vita al re vinto, peraltro suo giudice crudele. Ma l'eroe è permeato di una filosofia frutto delle proprie convinzioni morali e dell'esperienza: sono così mutevoli le cose umane che l'uomo non sa mai, come il personaggio di Calderón, se ciò che vive è realtà oppure sogno. Con istintiva saggezza femminile Fedra gli aveva pure ricordato, all'inizio della sua prigionia, per animarlo, che la Fortuna è in continuo mutamento e che finché c'è vita vi è speranza:



No os quite la confianza,
Príncipe, esta desventura,
que mientras la vida dura,
tiene lugar la esperanza.

Nunca la Fortuna queda
se está, y si abatido os veis,
antes que vos acabéis
podrá volverse la rueda.418



Interessante nell'altra commedia, Los empeños de una casa, il rapporto donna-uomo stabilito da suor Juana. Si è visto lo scarso concetto in cui, salvo eccezioni, come l'amico viceré o il vescovo amico-nemico di Puebla de los Ángeles419, o l'erudito don Carlos de Sigüenza y Góngora, e pochi altri, la suora aveva degli uomini. Motivi che giustifichino il suo atteggiamento negativo, la sua sfiducia, ne aveva certa-   —287→   mente molti. Lì stavano i suoi persecutori, come il padre Núñez de Miranda, o lo stesso Aguiar y Seijas, e forse anche qualcuno dei probabili corteggiatori dell'epoca giovanile. La vita a corte non dovette essere ricca di molte esperienze positive. Ma del pari, esperienze negative doveva aver fatto nell'ambito femminile e tanto da conoscere in profondità le carenze del suo sesso.

Le amiche che celebra sembrano piuttosto divinità, mentre nelle sue commedie vi sono donne di qualità negative trasparenti. Lo si vede nella gelosia di Arianna in Amor es más Laberinto, e nella crudeltà di doña Ana verso l'infelice Leonor, ne Los empeños de una casa. L'astuzia, la perfidia, la gelosia, l'intrigo, la cattiveria non si nascondono a suor Juana anche nell'animo femminile.

Quanto agli uomini, eccettuati eroi come Teseo, si ha la chiara impressione che la suora li consideri soprattutto vani e «necios». «Hombres necios», infatti, accusano la donna senza ragione, senza rendersi conto che loro stessi sono l'occasione della colpa di cui le fanno carico420. Ne Los empeños de una casa, si hanno esempi abbondanti dell'ottusità, o più umanamente della stupidità maschile, nei confronti della quale l'artista ricorre all'umorismo come arma distruttiva. Specchio della società cortigiana davanti alla quale veniva rappresentata -lo fu il 4 ottobre 1683 a México, in casa del «Contador» don Fernando Deza, in occasione di un festeggiamento offerto al viceré conte di Paredes, per il pubblico ingresso del nuovo arcivescovo don Francisco de Aguiar y Seijas, tra l'altro acerrimo nemico di questo tipo di rappresentazioni-, la commedia rientra appieno nel clima barocco, tra le opere di «capa y espada», i cui modelli sono, anche   —288→   per suor Juana, Lope, Tirso e Calderón, ma al tempo stesso è caricatura e critica della società che la sta vedendo, attraverso l'elemento popolare, i servi, ed ha come finalità di svuotare un mito.

Nel settore «inferiore» dei protagonisti la parola è decisiva della comicità, in contrasto singolare con il linguaggio dei «signori», che diviene falso e irreale. Essenziale come la parola è il gesto. I due mondi, quello basso e quello alto, si divaricano sensibilmente e la commedia si trasforma, nell'ultimo atto, in un vivace entremés, dove gli orpelli perdono colore e il sapore popolare domina, convertendo l'intrigo amoroso in riuscita caricatura.

Proprio in questo consiste una delle maggiori attrattive della commedia sorjuanina, poiché l'intreccio è corrente: don Carlos e doña Leonor si amano e sarebbero felici, se non fossero concupiti rispettivamente da don Pedro e da doña Ana, sua sorella. A sua volta doña Ana è amata da don Juan, ma siccome ciò che già si possiede manca di rilevanza e poiché l'amore «es villano / en el trato y la bajeza» e «se ofende de la fineza»421, la donna disprezza l'amore di don Juan e persegue quello di don Carlos, più per dispetto che sia di un'altra che per vero amore. Suor Juana denuncia, così, il capriccio femminile; doña Ana ne è cosciente e confessa piangendo: «conozco que estoy errando / y no me puedo enmendar»422. In don Pedro, che tenta di rapire Leonor, è posta in rilievo, invece, la brutalità maschile.

In breve: don Pedro rapisce Leonor mentre sta con don Carlos, che, per difenderla, ferisce un cugino della donna   —289→   -il quale l'ha riconosciuta, ma non il rapitore- e deve porsi in salvo. Camuffato, don Pedro consegna alla sorella l'ambita preda; nella stessa casa capita don Carlos, braccato dalla giustizia, per chiedere rifugio, proprio presso doña Ana. Nella medesima casa si trova anche don Juan, che la serva Celia ha introdotto per danaro; sospettoso di doña Ana, che ormai si mostra «distratta» con lui, don Juan vuol vederci chiaro.

Ogni personaggio sta nello stesso luogo all'insaputa degli altri. Ma doña Ana, che conosce quasi tutto il segreto -meno la presenza dello spasimante-, tesse con abilità le fila di una trama complicata. Ne derivano infiniti equivoci, fraintendimenti causati dalla vista a distanza e dall'udito. Il risultato finale è che don Juan crede doña Ana amante di don Carlos, questi crede Leonor amante di don Pedro, Leonor crede don Carlos amante di doña Ana; don Pedro da parte sua prosegue testardo il suo disegno di conquistare Leonor ed è oggetto di burla da parte del gracioso Castaño, servo di don Carlos.

Sullo sfondo di così complicata vicenda si aggira don Rodrigo, anziano padre di Leonor, il quale, di fronte al rapimento della figlia esige riparazione, anche se non conosce il colpevole, e alla fine, chiariti gli equivoci, si acquieta facilmente, quando finalmente don Carlos sposa Leonor. Una figura tragicomica, questa di don Rodrigo, nella quale suor Juana svuota di significato il «pundonor». E Leonor una figura delicata, nella quale tornano motivi fondamentali della biografia sorjuanina, come la bellezza, le preoccupazioni, lo studio, il successo, l'adorazione e l'incapacità di amare:


Entre estos aplausos yo,
con la atención zozobrando
[...]
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no acertaba a amar a alguno,
viéndome amada de tantos.423



Nonostante la complicazione della trama, certamente suggestiva dal punto di vista drammatico, è dato cogliere ne Los empeños de una casa le intenzioni dell'autrice. La commedia può essere intesa agevolmente come impegno di distruzione del simbolo tirannico maschile. Mentre le donne, per quanto perfide alcune, conservano una loro ben definita e vivace personalità, gli uomini mancano di dimensione, sono scialbi e testardi non di rado. Doña Ana, ad esempio, è un'abile burattinaia, intrigante, svelta anche nel finale, quando al chiarirsi della serie di equivoci comprende che deve riacchiappare prestamente il suo don Juan.

Chi fa la figura dello sciocco è l'uomo, un povero innamorato che non ha capito nulla ed è stato solo preso in giro. Don Juan, che porta a spasso la sua gelosia, con scarsa vista, per le stanze-labirinto della casa dell'ingrata amata, diviene figura grottesca e la soluzione finale, nella sua rapidità, non fa che accentuare prospettive di ulteriori dure offese al suo onore. La suora intende prendersi gioco del mito del conquistatore e ricorre a un'abile tecnica demolitrice che si avvale, più che di fatti concreti, di illazioni negative, affondando il personaggio nel ridicolo.

Altrettanto negativo appare don Pedro. Suor Juana lo mostra testardo amante, ciecamente focoso, non delicato pretendente d'amore, quindi predestinato a dure sconfitte. Infatti, egli è l'unico personaggio maschile della commedia che rimane veramente burlato e solo; deve accontentarsi che la sorella si sposi, accettare la burla, che quasi gli ha tolto la parola:

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«Tan corrido, ¡vive el Cielo!
de lo que me ha sucedido
estoy, que ni a hablar acierto».424



E chiaramente la figura del «bobo»; suor Juana infierisce su questa specie di bestione testardo, dispiegando le sue doti di umorista, in un crescendo che esalta le radici popolari del comico.

Macchina propulsiva di questa comicità è il gracioso Castaño, il quale per poter consegnare al padre di Leonor un biglietto chiarificatore di don Carlos non ha altra via che travestirsi da donna, indossando gli abiti di Leonor e trasformandosi in «tapada», trasformazione che viene accompagnata, capo per capo indossato, con un linguaggio d'intonazione dubbia, femminileggiante, che doveva far ridere parecchio gli spettatori. Compiuta l'operazione, Castaño si preoccupa di avvertire il pubblico che si tratta di un «paso de comedia», ma che non v'è alcun scadimento in lui, rendendolo in questo modo complice attivo. Allora può proseguire legittimamente nello scherzo:


Ya estoy armado, y ¿quién duda
que en el punto que me vean
me sigan cuatro mil lindos
de aquestos que galantean
a salga lo que saliere,
y que a bulto se amartelan,
no de la belleza que es,
sino de la que ellos piensan?
Vaya, pues, de damería:
menudo el paso, derecha
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la estatura, airoso el brío:
inclinada la cabeza,
un si es no es, al un lado;
la mano en el manto envuelta;
con el un ojo recluso
y con el otro de fuera;
y vamos ya, que encerrada
se malogra mi belleza.
Temor llevo de que alguno
me enamore.425



La conseguenza, imbattendosi in don Pedro, è di essere corteggiato da costui con insistenza e qualche pericolo. Superata l'iniziale paura il servo ne approfitta e porta lo scherzo a conseguenze estreme, affondando nel ridicolo il personaggio, per attenuare il cui ardore ricorre a un linguaggio poco consono a una dama, ma con scarso risultato.

Nella commedia il sesso maschile finisce per abdicare alle consolidate prerogative, per divenire qualche cosa di ibrido, oggetto solo di burla, come i «lindos» che Quevedo fa corteggiatori di vecchie e dai quali gli stessi diavoli affermavano, pur essendo così brutti, di non sentirsi ancora sicuri426.

Solo Castaño, mezzo per la distruzione del mito «machista», sfugge alla demolizione sorjuanina. Attaccato ai bisogni fisiologici, egli pensa soprattutto alla sopravvivenza, e in secondo luogo all'amore. Ma a corteggiare Celia, sua pari, si direbbe si dedichi con scarso entusiasmo, proprio nei «ratos perdidos».   —293→   Lo domina, infatti, un naturale egoismo, che si manifesta nel confronto spontaneo che fa tra la ricchezza di doña Ana e la scarsità di mezzi di Leonor, della quale sfortunatamente si è innamorato il suo padrone, e glielo rimprovera:


Señor, ¡qué casa tan rica
y qué dama tan bizarra!
¿No hubieras (¡pese a mis tripas,
que claro es que ha de pesarles,
pues se han quedado vacías!)
enamorado tú a aquésta
y no a aquella pobrecita
de Leonor, cuyo caudal
son cuatro bachillerías?427



Considerazioni che il gracìoso estende alla propria condizione nei riguardi della sua innamorata:


Señor, el mayor pesar
con que el amor nos baldona
es querer una fregona
y no tener qué le dar;
pues si llego a enamorar
corrido y confuso quedo,
pues conseguirlo no puedo
por falta de caudal.428



Motivi che nella commedia rispondono sempre a un'intenzione critica nei confronti di un mondo elitario, dove il danaro è la misura di ogni cosa.

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Castaño svolge la funzione del comico popolare e per suo mezzo, atraverso l'umorismo, il grottesco, la maschera, si infrangono le barriere sociali. I personaggi maschili affondano nel ridicolo e si direbbe che alla fine si salvi solamente una società femminile che conserva intatta, malgrado gli intrighi d'amore, e forse per merito di essi, un'alta categoria di finezza, non tanto dovuta al rango quanto all'intelligenza. Se non fosse per queste donne, impavide governatrici degli eventi, ben triste cosa sarebbe il mondo degli uomini, ai quali suor Juana rimprovera anche la leggerezza:


¿qué voluntad hay tan fina
en los hombres que si ven
que otra ocasión los convida
la dejen por la que quieren?429



Le donne agitano il mondo, lo sconvolgono, e in sostanza danno ad esso un senso, gli infondono vita. Suor Juana attraverso la sua esperienza e le sue convinzioni contribuisce con la sua opera drammatica, e non solo con essa, ma anche con la sua vicenda personale, allo scardinamento di una società già sulla via della decadenza.



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ArribaAbajo- 4 -

Profano e sacro nel teatro del vicereame peruviano


Ognuno che tratti del teatro nel vicereame del Perù è tenuto a rifarsi al determinante contributo che Guillermo Lohmann Villena ha dato su di esso in El arte dramático en Lima durante el Virreinato (1945). Lo studioso peruviano ha raccolto una messe imponente di dati e di riferimenti intorno all'attività drammatica in uno dei territori più rilevanti dell'impero coloniale spagnolo, ricostruendo dalle fonti d'archivio vicende di organizzazioni, di compagnie teatrali, di impresari e di attori, cui purtroppo non fa riscontro la conservazione di testi.

Infatti, il teatro che si sviluppò nel vicereame, tra Lima, Arequipa e tutto l'Alto Perù, non è giunto che in minima parte a noi, vuoi per incuria, vuoi per la scarsa importanza che si dava, all'epoca, alla conservazione dei copioni430, ma anche,   —296→   è lecito supporre, in seguito alle distruzioni provocate dagli eventi, tra esse, oltre ai ricorrenti terremoti, il saccheggio e l'incendio della Biblioteca Nazionale di Lima in seguito all'invasione cilena nella «Guerra del Pacífico», o del «Salitre», del 1881-83, vinta dal Cile contro Perù e Bolivia alleati431.

Attraverso l'apporto del Lohmann Villena è possibile farsi un'idea di quello che fu l'interesse per il teatro, in particolare nella capitale del vicereame, delle prime fondazioni di luoghi per le rappresentazioni teatrali, profane o sacre, degli autos sacramentales allestiti in luoghi pubblici, sacri e civili. Per i testi di argomento religioso, la grande occasione era rappresentata dalla festività del Corpus Domini.

Dal secolo XVI al XVII fu un alternarsi, per il teatro, nel Perù, di momenti favorevoli e di stasi, dovute anche a interventi politici e religiosi, alle complicazioni di ordine morale che non di rado si determinavano. Scrive lo studioso citato che

Dentro de las diversas orientaciones del espectáculo dramático español, en el Perú tres tendencias gozaron de singular predilección: la de piezas del genero alegórico, que llevaría a las abstracciones de los autos sacramentales, la que aprovechó los abigarrados temas hagiográficos y bíblicos, y la que utilizaría elementos de la historia local.432



Di un primo «balbuceo» teatrale parla il Lohmann Villena a proposito di Alonso Hurtado, autore e attore di un «hoy ignorado» Auto de la Gula, una sorta di Lope de Rueda peruviano433;   —297→   ma nel Perù godette presto, e a lungo, di grande successo il teatro peninsulare, non solo nei testi di Lope de Vega434, di Mira de Amescua, di Tirso, di Calderón, di Montalbán, ma di quanti altri autori drammatici si erano affermati, o si andavano affermando in Spagna435. La passione teatrale doveva essere particolarmente intensa se già vi è notizia, come afferma l'Arrom, che a Cuzco, conquistata da Pizarro nel 1534, si ebbero rappresentazioni almeno a partire dal 1548, a Lima, fondata nel 1535, dal 1546, a Potosí, lo sfruttamento della cui montagna straordinariamente ricca d'argento inizia nel 1546, a partire dal 1555436. Alle origini si trattò di un teatro missionario, coltivato particolarmente dai padri della Compagnia di Gesù, che facevano recitare le loro composizioni -lodi alla Vergine o motivi della Bibbia agli indios, «porque supieron -informa l'Inca Garcilaso- que las representaban en tiempos de sus reyes Incas y porque vieron que tenían habilidad e ingenio para lo que quisiesen enseñarles»437.

Anche in Perù, quindi, come in Messico, vi era una disponibilità di attori, qui non professionisti, ma «en ciernes», diciamo, delle cui doti i religiosi seppero trarre profitto. Prosegue, infatti, il cronista, dopo aver informato circa una commedia «en loor de Nuestra Señora la Virgen María», scritta   —298→   in lingua aimará, «diferente de la lengua general del Perú», sul tema tratto dal terzo libro della Genesi, Pondré enemistad entre ti y entre la mujer... y ella misma quebrantará tu cabeza, rappresentata nel villaggio di Sullí da «indios muchachos y mozos»:

en Potosí se recitó un diálogo de la fe; al cual se hallaron presentes más de doce mil indios. En el Cozco se representó otro diálogo del Niño Jesús, donde se halló toda la grandeza de aquella ciudad. Otro se representó en la ciudad de los Reyes, delante de la chancillería y de toda la nobleza de la ciudad, y de innumerables indios; cuyo argumento fue del Santísimo Sacramento, compuesto a pedazos en dos lenguas, en la española y en la general del Perú. Los muchachos indios representaron los diálogos en todas las cuatro partes, con tanta gracia y donaire en el hablar, con tantos meneos y acciones honestas, que provocaban a contento y regocijo; y con tanta suavidad en los cantares, que muchos españoles derramaron lágrimas de placer y alegría, viendo la gracia y habilidad y buen ingenio de los indiezuelos; y trocaron en contra la opinión que hasta entonces tenían de que los indios eran torpes, rudos e inhábiles.438



Impegno costante di Garcilaso fu di affermare la capacità intellettuale del mondo al quale, per parte di madre, apparteneva, ma dei testi da lui citati nulla ci è pervenuto.

Stabilizzatasi la conquista, avviata la nuova vita civile, il teatro, insieme alle manifestazioni religiose, finì per rappresentare l'unico grande divertimento della colonia e inoltre per servire a solennizzare ricorrenze sacre importanti, come il Corpus Domini, la beatificazione di membri di ordini religiosi, gesuiti e domenicani, ben presenti nel vicereame peruviano,   —299→   l'Immacolata, la Vergine di Guadalupe439, l'ingresso ufficiale di viceré e di vescovi, le nascite di principi reali, come d'altronde avveniva nella Nueva España e in altre parti dell'immenso impero coloniale ispanico.

La festa religiosa era essa stessa una straordinaria messa in scena teatrale che coinvolgeva tutto il popolo. Il francescano spagnolo Diego de Ocaña -pittore, poeta e se non abile drammaturgo valido versificatore-, che compì un viaggio lunghissimo per il mondo americano e fu tra il 1599 e il 1605 in Perù, ha lasciato una descrizione efficace della festa religiosa con cui, nell'anno 1602, a Sucre, si celebrò la sistemazione nella cattedrale dell'immagine della Vergine di Guadalupe, che egli stesso aveva dipinto, arricchendola con «adornos y pedrería». Per l'occasione aveva anche composto una Comedia de Nuestra Señora de Guadalupe y sus milagros, in versi, che fu rappresentata come parte rilevante dei festeggiamenti, ed è una successione di interventi della Vergine a protezione e riscatto dei suoi devoti, ma che nulla ha a che vedere con il mondo americano.

Lasciando a un lato la descrizione degli accennati «adornos y pedrería» e dell'immagine dipinta, subito miracolosa440, vale la pena di citare almeno parte della descrizione della festa   —300→   popolare. L'Ocaña descrive l'«aderezo» della piazza e delle strade, le

ricas tapicerías; los muchos cuadros y retratos; los altares curiosos, que en extremo se esmeraron cada uno en su puerta; el que más podía, en competencia devota unos con otros; los muchos arcos de verdura, que por la plaza había calles de árboles, todo el suelo cubierto de flores; el ruido de los instrumentos de las danzas de los indios, que son muchos y muy diversos uno de los otros; los ministriles de la iglesia, el aderezo de las ventanas, los balcones volados, las damas, los trajes, los vestidos de ellas, que son los más costosos del mundo; los abanillos, copetes y bizarría grande de los galanes, como de las damas; de [...] cada cosa, y de cada una de ellas se puede hacer un libro. No digo más de que todo brotaba placer y alegría por todas partes.441



Pittore e letterato, il francescano era in condizione di captare la meraviglia dello spettacolo e di trasferirla sulla pagina.

Ancora più suggestiva è la descrizione delle feste per la Vergine guadalupana nella città di Potosí, iniziate l'8 settembre 1601, con messa pontificale, e durate otto giorni. Si ebbero «fiestas de plaza por la noche, muy buenas, de toros y juegos de cañas, y un domperoleño con que a la gente de a caballo, disfrazada, se entretenía», «buenas suertes de lanzadas y de rejones», con premio finale, «justa literaria», ornamenti delle case e del «cabildo», «juego de la sortija», una «tienda, toda de damasco» in mezzo alla piazza442, il vescovo «en un balcón donde tenía puesto su sitial», e con lui tutti i prelati, chierici e frati, «sentados por buen orden en unos escaños»; inoltre, «desde el tablado de los jueces se seguía   —301→   otro grande, donde estuvieron todas las damas y mujeres principales de Potosí».443

Subito dopo, quietatasi la gente, «se tocó un clarín a la boca de una calle», ed entrò il «mantenedor» accompagnato dal padrino; li precedevano due cavalli «encobertados», con «caídas de damasco blanco y azul», tenuti per le briglie, e dietro «doce lacayos con la misma librea de damasco blianco y azul», poi il «mantenedor» con il padrino, «en caballos blancos, que de propósito se buscaron, con manchas azules que los pintores les dieron para que viniesen con la librea»444: i colori della Vergine.

Fissato a un lato della tenda lo scudo, dove era dipinta in campo azzurro l'immagine della Vergine di Guadalupe, tornarono a suonare i clarini, cui dall'imboccatura di una strada rispose una «copia de chirimías que venían en un carro triunfal, el cual tiraban cuatro caballos, a los cuales venía azotando un salvaje»445. Un carro splendido, «todo de verdura y arboleda, con muchos arcos y hiedra», e in mezzo dodici uomini, e ragazzi vestiti da donna, e selvaggi, tutti con strumenti musicali -«violones, guitarras, cítaras, arpas y rabilejo y otros instrumentos»-; essi cantarono ai quattro angoli della piazza «cuatro tonadas admirables, con mucha destreza y gallardía de voces, que las tenían buenas»446.

Poi entrarono quattro dame vestite di diversi colori, secondo il loro significato simbolico -Misericordia, Giustizia, Pace e Verità-, ricoperte di gioielli e d'oro, montate su quattro palafreni, «con gualdrapas de terciopelo y sillones de plata», tenuti alla briglia da «sátiros, medios cuerpos de caballo   —302→   y de salvajes las cabezas y pecho»447. Ognuna di queste dame reggeva un'insegna di ciò che rappresentava, ed erano unite da «unos listones blancos» recanti il verso del salmo: Misericordia et veritas obviaverunt sibi, justitia et pax osculatele sunt448. Entrò quindi il «caballero del amor divino» col suo padrino, il quale recava come divisa, dipinto sul petto «un pelícano abriéndose el pecho y sustentando a sus hijuelos con su propia sangre, que es símbolo del amor», e per «letra» diceva:


Primero el divino amor
que en el mismo Dios se anida,
fue causa de nuestra vida.449



Questa «letra» si contrapponeva a quella del «mantenedor», che era stata:


En mi dama, aunque morena,
tal hermosura se encierra,
que suspende a cielo y tierra.450



La tenzone si svolse e vinse il «mantenedor». Il cielo si mantenne benigno tutto il pomeriggio, senza sole, intervento certo, dichiara il frate, della Vergine stessa.

Il lusso dei vestiti, la ricchezza dei gioielli e delle guarnizioni d'oro diedero lustro particolare alla festa. Il cavaliere dell'amor divino era entrato in lizza vestito da romano:

  —303→  

los brazos desnudos y las piernas, los pies con unas ojotas de perlas muy ricas, las corazas con todos aquellos faldones, eran de ver la plata tejida con labor de seda morada; las causas eran las cuchilladas y caídas de oro batido, de suerte que cuando este caballero corría, despedían las cuchilladas de causa que, pasando la carrera, quedaba la gente cogiendo el oro que estaba batido en hoja; y esto hizo para mayor grandeza. Salió coronado de laurel y con un bastón en la mano; y el padrino sacó un baquero de terciopelo azul con franjón de oro y plata, que lucía mucho.451



Terminata la tenzone ebbe luogo una gran processione, di preti riccamente vestiti, su mule, ma neppure era mancato il diavolo, entrato nel mezzo della festa «en un caballo tan ligero que parecía que le traía en el cuerpo»452, e Maometto in mezzo ai demoni, e un «caballero que se intitulaba el salvaje de Tarapaya, todo vestido con moho de árboles», accompagnato da decine di altri selvaggi, «los cuales todos venían con mazas en las manos y vestidos de aquel moho, que era mucho de ver, que verdaderamente parecían fieras del campo»453; e ancora il famoso serpente, e infine «una dama con traje español, en un palafrén de cumbé de mil colores de lanas finísimas, y sillón de plata», che rappresentava la Fede, «con un cáliz en la una mano y en la otra una cruz»454.

Vale la pena di rileggere tutta la lunga, e sempre interessante, descrizione dell'Ocaha, per avere un'idea adeguata   —304→   della spettacolarità della festa religiosa, nella quale era ben presente l'elemento profano.

Quanto al teatro propriamente detto, nel Perù le prime rappresentazioni dell'età più matura si svolsero non in spazi particolari. Sebastiàn de Arcos, «individuo de larga tradición histriónica en Sevilla»455, rappresentava nel 1574 La Audiencia del alma, su un carro che si spostava per la città, ma già nel 1598 era in funzione a Lima un Corral per la rappresentazione di commedie, su un terreno dell'Ordine dei Predicatori, affittato dall'impresario e attore Francisco de Morales, il quale «dominó» la scena limegna dal 1582 alla sua morte, avvenuta nel 1600456.

L'attività teatrale era, come d'uso, una fonte di entrate per gli ospedali e a Lima lo fu per quello di San Andrés, il che spiega come i luoghi di rappresentazione fossero posti presso il cimitero o in terreni di proprietà religiosa, a lato delle istituzioni ospedaliere. In seguito altri Corrales furono allestiti e impresari, compagnie e attori si succedettero. A Lima si giunse persino ad avere due compagnie teatrali in attività contemporanea, causa non di rado di conflitti, ma più regolarmente esse si avvicendavano tra la capitale e la provincia.

Nel secolo XVI godettero di fama a Lima autores, direttori e attori, come Pedro Enriquez, ma l'attore più celebrato fu Juan Bautista Durán, che rappresentò, «en la lonja del cementerio de la Catedral», l'Auto de cuando Xpo. apareció a los discípulos que iban al castillo demaus (sic) e due entremeses457.

  —305→  

Al teatro nel Perù posero seri problemi anche devastanti terremoti: quello del 9 luglio 1586 distrusse in buona parte Lima, e tuttavia la vita riprese con ostinazione anche nell'ambito teatrale, se subito dopo si prepararono festeggiamenti per il Santissimo Sacramento e nel 1590 feste suntuose per l'ingresso ufficiale del viceré, marchese di Canete. Nel 1597 si apriva il menzionato «patio de la representación de comedias»458.

Vi erano poi le rappresentazioni allestite dai gesuiti -giunti in Perù nel 1568- nei loro collegi, con fini didattico-edificanti, non esenti da singolarità sorprendenti. Nel 1599 nel Collegio di San Pablo fu rappresentata, in onore delfaustero viceré Luis de Velasco, la Historia alegórica del Anticristo y el juicio final, per la quale, scrive il Lohmann Villena, rifacendosi alla Historia del Nuevo Mundo di Bernabé Cobo,

Para representar más a lo propio la resurrección de los muertos, los jesuitas hicieron extraer de las sepulturas gentílicas diseminadas por los alrededores de la ciudad muchas osamentas, y aun cadáveres de indígenas, enteros y secos, lo cual fue causa del consiguiente espanto en quienes se hallaron presentes a dicho paso escénico.459



Nel secolo XVII tali rappresentazioni nei conventi e nelle chiese giunsero ad eccessi di sfarzo e di festa che determinarono l'intervento regio. Filippo IV proibì, infatti, il 9 settembre 1660, rendendone responsabili i vescovi e gli arcivescovi delle Indias, che nei conventi

de aquí adelante de ninguna manera, por ningún caso, ni para ningún efecto que sea por lo que a ellos tocare, den licencia   —306→   ni consientan que en ninguno de los Conventos de Religiosos y Religiosas de sus distritos, y jurisdicciones, se hagan ni se representen Comedias, assí en las Iglesias, como fuera de ellas, que por la presente lo prohíbo [...].460



Le autorità superiori religiose erano già intervenute in qualche caso; l'arcivescovo Pedro de Villagómez nel 1645 aveva proibito le rappresentazioni per il Corpus Domini nell'atrio della cattedrale e nel 1648 ribadì tale proibizione, poiché gli stessi «capitulares» l'avevano aggirata con la scelta di commedie, entremeses e «bailes buenos». L'arcivescovo confermava la proibizione, «en vista de las crecientes indecencias que se cometian en el atrio de la Catedral con ocasión de esas funciones»461.

Se queste «indecencias» erano commesse nell'atrio di una chiesa, figuriamoci cosa avveniva nei Corrales, dove se si tentava di evitare la promiscuità tra uomini e donne, persino con vie d'uscita separate, nulla era possibile contro l'intraprendenza maschile, e forse anche femminile. Le scene, poi, spesso non incitavano alla virtù. Rifacendosi alla Vida, virtudesy milagros... del P. Francisco Solano, scritta dai frati Diego de Cordoba e Alonso de Mendieta462, la nostra preziosa fonte d'informazione, il Lohmann Villena, scrive che, a lato delle rappresentazioni «tan suntuosas y morales» in occasione di canonizzazioni, altre meno pie avevano luogo:

grande debe de haber sido la disolución que imperaba en los corrales, en donde las comedias eran representadas con mucha desvergüenza y poco recato. Así como en la Metrópoli salían las comediantas a escena desnudas o mal vestidas, o a lo más cubiertas   —307→   con un velo transparente y era ya usual que aparecieran con la basquiña más arriba de la rodilla, consta que en las funciones [messe in scena a Lima], en no pocas ocasiones la misma representación "sacaba desnuda a la diosa Venus"».463



Si comprende come il frate Francisco Solano, poi santo, facesse ripetute incursioni nei Corrales, appena iniziata la commedia, predicando apocalitticamente contro il teatro, richiamando «con grandes voces y copiosas lágrimas» i presenti a considerare la tragedia di Cristo sulla croce, determinando in loro, sembra, amaro pentimento e lacrime, ottenendo quindi la sospensione della rappresentazione464.

Ad ogni modo, per gran parte del secolo XVII il teatro fiorì in Perù, alimentato quasi esclusivamente da quello spagnolo. Vi furono viceré che promossero l'arte scenico, come il marchese di Montesclaros e soprattutto il principe di Esquilache, don Francisco de Borja y Aragón, parente di San Francisco de Borja, beniamino perciò dei gesuiti, i quali nel 1617 lo ossequiarono con un Coloquio che, diviso in due parti, fu rappresentato in due giornate consecutive465. Poeta egli stesso, uomo di raffinata cultura, si era portato dall'Italia parecchi italiani e con essi le ultime novità in campo musicale e letterario.

Gli anni successivi vedono il formarsi e lo sciogliersi di varie compagnie. Un lungo impero esercita María del Castrilo, «una de las piedras angulares del edificio cómico en Lima»466   —308→   , fino alla sua morte, avvenuta il 30 gennaio 1652. Un nuovo terremoto, il 13 novembre 1656, torna a mettere in crisi la città di Lima, ma l'anno seguente Ruiz de Lara forma una compagnia, mentre la Hermandad del Hospital de San Andrés decide di costruire un nuovo teatro. Nel 1662, il 12 novembre, viene inaugurato il nuovo Coliseo; ma un altro terremoto, nel 1664, fa sospendere le rappresentazioni, che però riprendono l'anno seguente e culminano nel 1669 con i festeggiamenti per la beatificazione di Santa Rosa.

Altro animatore, a suo modo, del teatro fu il viceré conte di Lemos, don Pedro Antonio Fernández de Castro, persona di grande sensibilità e cultura, conoscitore e diffusore delle ultime correnti estetiche e, come uomo «de severa piedad»467, moderatore delle rapresentazioni drammatiche. Egli proibì, come prima misura, gli scandalosi spettacoli a Lurin, in occasione della festa di San Michele, che ogni anno duravano da aprile a settembre e in cui «se cometían muy graves excesos y además se efectuaban asaz licenciosos bailes de pardas y negras»468. Inoltre, nel 1670 proibiva la rappresentazione di commedie nelle feste dell'Ottava del Corpus, sostituendole con due autos sacramentales di Calderón, La humildad coronada e El gran teatro del Mundo.

È il momento di auge del teatro religioso, ma scomparso il Lemos tutto ritorna come prima, benché ormai, sul finire del secolo, l'arte drammatica sia in decadenza nel vicereame, senza prima aver dato localmente drammaturghi di particolare valore, se si eccettua il cuzqueno Juan de Espinosa Medrano. Seguiranno più tardi Juan del Valle y Caviedes, Lorenzo   —309→   de las Llamosas e Pedro de Peralta Barnuevo, con il quale ultimo siamo ormai in pieno secolo XVIII.

Nell'intento di dare consistenza al teatro peruviano dei secoli XVI e XVII gli studiosi che se ne sono occupati hanno inglobato testi propriamente teatrali e altri che solo con buona volontà si possono considerare tali, nel senso della possibilità di una convincente rappresentazione. Inizia la breve serie la Comedia de Nuestra Señora de Guadalupe y sus milagros, di frate Diego de Ocafìa (1570-1608), alla quale già ho alluso, rappresentata a Potosí nel 1601, e celebrante i miracoli della Vergine «cacereña». Una commedia «a lo divino», secondo il gusto dell'epoca, con una sfilata di fatti e di personaggi sacri e profani, nessuna divisione in «Jornadas», una versificazione fluida, e di americano solo l'incitamento alla città di Potosí a considerare la fortuna di avere una Madonna cosí gloriosa. La conclusione è un elogio della «nación extremeña». Un testo, questo dell'Ocana, del quale si apprezza il fervore religioso, ma privo di meriti veramente artistici469.

Anche Diego Mexia de Fernangil (circa 1550-dopo 1617), il cui nome rimane legato al Parnaso Antártico (1608), traduzione delle Heroidas di Ovidio, si cimentò con il teatro, nella «Segunda Parte» della sua opera, tutt'ora inedita integralmente, terminata nel 1617 e dedicata al viceré principe de Esquilache. Si tratta delle egloghe de El Buen Pastor e del Dios Pan, al Santísimo Sacramento, pregna la prima di «un delicioso aire pastoril renacentista», secondo il Suárez Radillo, breve e di struttura assai semplice470; la seconda una sorta   —310→   di «égloga pastoril trovada a lo divino», come la definisce l'Arrom471, il quale, pur considerandola abbastanza povera, trova in essa «momentos de relativo interés», sia quando l'autore «aligera la pesada versificación obligado por la música de los villancicos, o cuando alude a costumbres teatrales de la época»472. Nella sostanza nulla di veramente rilevante artisticamente.

Diego Mexfa de Fernangil, celibe e di professione mercante, si era recato in America, come ha assodato Trinidad Barrerà473, il 6 marzo 1582, diretto a Tierra Firme, per passare più tardi nel Perù, a Lima e infine a Porosi, dove sembra abbia composto la citata seconda parte del suo Parnaso. La prima aveva costitutito una distrazione del cammino, lettura ed esercizio versifìcatorio durante il lungo viaggio via terra verso la capitale delle Nueva España, dopo che la nave su cui si era imbarcato aveva fatto naufragio. E interessante quanto scrive in proposito «El Autor a sus Amigos», prologo alla raccolta, dove spiega come egli avesse acquistato da uno studente, a Sonsonate, le Epistole di Ovidio, che durante il lungo viaggio si divertì a tradurre:

En el año pasado de noventa y seis, desde las riquísimas provincias del Perú a los Reinos de la Nueva España (más por curiosidad de verlos, que por el interés que por mis empleos pretendía), mi navío padeció tan grave tormenta en el golfo (llamado comúnmente) del Papagayo, que a mí y a mis compañeros nos fue representada la verdadera hora de la muerte:   —311→   pues demás de se nos rendir todos los árboles (víspera del gran Patrón de las Españas, a las doce horas de la noche, con espantoso ruido, sin que vela, ni astilla de árbol quedase en el navío, con muerte arrebatada de un hombre), el combatido bajel daba tan temerarios balances, con más de dos mil quintales de azogue que (por carga infernal) llevaba, y sin mucho vino y plata, y otras mercaderías, de que estaba suficientemente cargado que cada momento nos hallábamos hundidos en las soberbias ondas. Pero Dios (que es piadoso padre), milagrosamente, y fuera de toda esperanza humana (habiéndonos desahuciado el piloto), con las bombas en las manos, y dos bandolas, nos arrojó día de la Transfiguración en Acaxu, puerto de Sonsonate. Aquí desembarqué la persona, y plata, y no queriendo tentar a Dios en desaparejado navío, determiné ir por tierra a la gran ciudad de México, cabeza (y con razón) de la Nueva España. Fueme dificultosísimo el camino por ser de trescientas leguas; las aguas eran grandes, por ser tiempo de invierno; el camino áspero, los lodos y pantanos muchos, los ríos peligrosos, y los pueblos mal proveídos, por el cocoliste y pestilencia general que en los Indios había. Demás desto, y del fastidio y molimiento que el prolijo caminar trae consigo, me martirizó una continua melancolía, por la infelicísima nueva de Cádiz y quema de la flota Mexicana, de que fui sabidor en el principio deste mi largo viaje. Estas razones, y caminar a paso fastidioso de recua (que no es la menor en semejantes calamidades) me obligaron (por engañar mis propios trabajos) a leer algunos ratos en un libro de las Epístolas del verdaderamente Poeta Ovidio Nasón, el cual para matalotaje del espíritu (por no hallar otro libro) compré a un estudiante en Sonsonate. De leerlo vino el aficionarme a él: la afición me obligó a repasarlo; y lo uno y lo otro, y la ociosidad, me dieron ánimo a traducir en mi tosco, y totalmente rústico estilo, y lenguaje, algunas epístolas de las que más me deleitaron. Tanto duró el camino, y tanta fue mi constancia, que cuando llegué a la gran ciudad de México Tenustitlan, hallé traducidas en tres meses de veinte y una epístolas, las catorce. Y aunque entiendo muy   —312→   bien que se me podrá responder aquí, lo que el excelente Apeles, al otro pintor, que en este espacio de tiempo se podría traducir (según están de mal traducidas, y peor entendidas) otras tres tantas epístolas que éstas; pero como yo no pretendo la fama (no digo de Poeta, que éste es nombre célebre y grandioso, sino de metrificador) que el otro pretendía de pintor, no reparo en ello, ni entonces reparé. Antes considerando que mi estada en la Nueva España (respeto de la grande falta de ropa y mercaderías que en ella había) se dilataba por un año, me pareció que no era justo desistir desta empresa, y más animado de los pareceres de algunos hombres doctos. Y así mediante la perseverancia le di el fin que pretendía. [...].474



Lo scritto immette con grande efficacia nella vita della Colonia. In questo modo «occasionale» Diego Mexía de Fernangil realizzò un'opera tra le più importanti della poesia coloniale ispanoamericana. Si trattava di un vero poeta, non di un drammaturgo, ma egli si qualifica singolare attore della sua vita.



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