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Abajo

Magia e realtà nella narrativa di Demetrio Aguilera Malta

Giuseppe Bellini






Il «nuovo romanzo»

Negli ultimi anni la critica ha sottolineato più volte un cambiamento radicale nella narrativa ispano-americana, verso il superamento del localismo e della «mitologia» tellurica consacrata da una produzione di indiscussa importanza, che per taluni sembra aver fatto ormai il suo tempo, ma sulla quale, in definitiva, si fonda l'esistenza di un romanzo di lingua spagnola in America.

La narrativa più recente, quella che fa capo a Rulfo, a Fuentes, a Vargas Llosa, a Cortázar, a Roa Bastos, a Sábato, a Onetti, a Lezama Lima, a García Márquez, per non citare che i nomi maggiormente affermati, pur radicata in un ambiente ben determinato, ne cerca il superamento, al fine di stabilire un contatto vivo con il resto del mondo, in un anelito di comunicazione che si manifesta nella denuncia degli squilibri e dei traumi determinati nell'uomo americano dalla vita moderna, nell'individuazione, al disopra di ogni nota di pessimismo, pur così presente, dei valori permanenti. La nuova narrativa inaugura anche un modo nuovo di stile, ricorre a tecniche in cui si individuano facilmente i risultati delle esperienze proprie del cinema, le presenze del romanzo nordamericano, ma anche la lezione tuttora intramontata di Kafka e di Joyce. In questa ricerca di novità e di stile il romanzo ispano-americano presenta una qualità di grande rilievo, posta in luce con molta esattezza da Andrés Amorós: quella di aver evitato i pericoli di freddezza e di disumanizzazione insiti spesso nelle ricerche innovatrici1. Il che spiega l'interesse del pubblico.

Il cambiamento di rotta accennato era già stato indicato da Fernando Alegría nel 1959; egli lo aveva individuato anche nella «novela agraria», nella quale notava il superamento del vecchio regionalismo, in quanto ricercava nelle zone dello spirito le radici del «desconcierto» dell'uomo ispano-americano e vi trovava la risposta all'«aparente fracaso de nuestra vida pseudo-civilizada», giungendo persino a suggerire un ritorno a taluni valori fondamentali che appartengono all'essenza del passato autoctono e rurale2.

In epoca successiva altri critici hanno ribadito l'esistenza di un nuovo orientamento nella narrativa ispano-americana: Alejo Carpentier, Ernesto Sábato, Emir Rodríguez Monegal, Juan Loveluck, Carlos Fuentes, tra i molti3. Il Loveluck, in particolare, ha sottolineato il fatto che nella narrativa dell'America di lingua spagnola si determina una situazione critica a partire dal 1940, col pericolo di un «repeticionismo» e di una paralisi, in quanto il romanzo sembra stratificarsi nel prolungamento dei modelli esemplari del decennio 1920-19304. Ma per il critico cileno parlare di crisi significa parlare di ripresa: «Por crisis de la novela hispanoamericana entendemos [...] un momento de signo positivo, un amplio estado de toma de conciencia, de revisión y de proposición de nuevos caminos, que dejaron de ser los transitados»5.

L'impressione che si ricava dalle affermazioni dei vari critici, tuttavia, è che essi propongano un'archiviazione generale degli scrittori che rappresentano le tendenze e i valori del vecchio romanzo, i grandi nomi del passato, da Rivera ad Azuela, a Gallegos, alle maggiori espressioni del romanzo indianista, allo stesso Miguel Ángel Asturias, peraltro Premio Nobel per la letteratura nel 1967 e valida espressione, come Alejo Carpentier, in una ben definita originalità, della corrente del realismo magico, alla quale si ascrive anche la narrativa di Gabriel García Márquez. Se tale fosse realmente l'intenzione della critica il procedimento apparirebbe troppo sbrigativo e palesemente ingiustificato; avrebbe il significato di un'arbitraria, e forse interessata, pietra tombale posta sull'opera dei classici, vivi o defunti. La loro aderenza alla realtà ispano-americana riscatta i problemi umani dai limiti localistici e li proietta su un piano assai vasto, né più né meno degli scrittori più moderni. Si tratta sempre di momenti insostituibili, anche se muta la sensibilità e muta il modo d'esprimersi.

Non a torto Miguel Ángel Asturias avvertiva6 che per i nuovi autori, la cui validità riconosceva appieno, non bisognava, né era del resto necessario, dimenticare gli autori della sua generazione, di quella dei padri e dei nonni, che ancora avevano cose da dire, non solo nei libri, ma anche nell'esempio della loro vita. Egli intendeva la letteratura come un grande fiume che si va estendendo sempre più e riteneva meraviglioso che tale fiume, lungi dall'inaridire, si dirigesse verso il mare con nuovi e insoliti impulsi; i nuovi scrittori sono destinati a raccogliere l'eredità di quelli che li hanno preceduti: «Estos jóvenes autores y por cierto también aquellos que posiblemente aún no se conozcan, tomarán nuestro legado y lo continuarán»7.




Demetrio Aguilera Malta e la scoperta dell'Ecuador

Affermata la permanenza nel tempo dei valori del passato e la validità degli autori al disopra del mutare delle correnti e della moda letteraria, non sembrerà ingiustificato dedicare la nostra attenzione a uno scrittore come l'equatoriano Demetrio Aguilera Malta, espressione di un realismo magico che, cronologicamente, sembra precorrere addirittura quello di Miguel Ángel Asturias, pur di segno così originale e inconfondibile.

Artista assai complesso -poeta, romanziere, drammaturgo, regista teatrale e cinematografico, docente universitario, giornalista, uomo politico che ricoprì cariche importanti anche fuori del suo paese-, Aguilera Malta è essenzialmente uno spirito inquieto, sperimentatore incontentabile, sempre pronto a mutare direzione ai suoi interessi, che tuttavia permangono prevalenti nell'ambito artistico e politico, anche se non mancano brevi escursioni in quello economico8. Per questo egli occupa un posto di primo piano nella vita politicoculturale dell'Ecuador, malgrado la molteplicità degli interessi gli abbia impedito di sviluppare con più tesa linearità talune disposizioni creative che gli avrebbero dato maggior risonanza tra i narratori ispano-americani. Benché la narrativa sia l'aspetto più rilevante dell'opera di Aguilera Malta, anche in essa egli manifesta una radicale irrequietezza, un'incontentabilità che lo ha indotto ad abbandonare il filone magico e protestatario della prima epoca, per volgersi a un'impresa ambiziosa i cui precedenti stanno, in campo ispanico, in Galdós e in Baroja: quella, cioè, di narrare la storia dell'America, in una serie di romanzi che formano il ciclo degli «Episodios Americanos». In questi libri, che seguono a un lungo periodo in cui lo scrittore sembrava aver abbandonato definitivamente la narrativa per dedicarsi alla regia e al teatro, l'arte di Aguilera Malta si rinnova; il richiamo della ricchezza spirituale del continente si concreta in una sorta di storia romanzata, attraverso la quale lo scrittore intende riscattare le figure eminenti sulle quali si costruì la storia americana, da Orellana a Pizarra, da Balboa a Manuelita Sáenz, l'amante di Bolívar, a tutta una serie di personaggi storici ancora in via di elaborazione.

Il giudizio della critica su questo aspetto della narrativa di Aguilera Malta è stato in genere positivo9, anche se mi sembra ancora prematuro pretendere di formularne uno definitivo, proprio per il carattere ciclico degli «Episodios» e i pochi volumi apparsi finora. Un giudizio più fondato è invece possibile sull'opera del periodo precedente: essa si presenta, infatti, come nucleo ben definito e rappresenta un momento determinante nella narrativa dello scrittore equatoriano. Intendo alludere al periodo che va dal 1930 al 1960, vale a dire dalla pubblicazione dei racconti de Los que se van (1930) a Una cruz en la Sierra Maestra (1960), passando per i romanzi Don Goyo (1933), Canal Zone (1935), La isla virgen (1942). A questi libri si aggiunge, a distanza di anni, un inaspettato ritorno al clima magico, col romanzo Siete lunas y siete serpientes (1970), che pure prenderemo in considerazione.

Los que se van10 è il primo documento della narrativa di Demetrio Aguilera Malta: si tratta di una serie di racconti, intercalati ad altri di due scrittori equatoriani del momento, Joaquín Gallegos Lara e Enrique Gil Gilbert. L'atteggiamento dei tre autori, nel libro dedicato al «cholo» e al «montuvio», è di aperta rottura, di reazione alle formule cristallizzate e stantie della narrativa equatoriana, alla bigotteria del pudore nazionale. Ciò spiega lo scalpore che fin dal suo primo apparire l'opera suscitó tra la gente «timorata». Il Rojas ricorda che Los que se van fu male accolto, in generale, dall'ambiente nazionale: l'opera fu accusata di eccessiva crudezza, sia per il linguaggio, definito brutale, sia per l'«esagerazione» con cui venivano presentati i vari caratteri e le passioni: «La visión que presentaban del campo costeño, con una naturaleza bravía que domeñaba al personaje y el gamonal que le extraía el resto de sus energías, pareció convencional y abultada»11.

La prima conseguenza fu, come d'uso, un'accusa di parzialità d'ordine politico. È vero che il «Grupo de Guayaquil» -con questo nome furono poi conosciuti gli scrittori de Los que se van e altri romanzieri che si unirono ad essi, José de la Cuadra e Alfredo Pareja-Díez-Canseco- mostrò chiare simpatie per le correnti di sinistra, ma ciò che più offendeva la borghesia e l'oligarchia equatoriane era la novità dell'accento critico, la mancanza di falsi pudori nel linguaggio, l'ardire con cui si osava abbattere i tabú e rendere pubbliche le tare nazionali, ripudiando ogni ipocrisia, ogni malinteso «amor di patria». Si aggiunga a questo l'insistenza senza mezzi termini sul tema erotico e si avrà chiaro il motivo dello scompiglio suscitato in una società bigotta, conservatrice accanita per ignoranza, e come tale timorosa di ogni vocabolo che si allontanasse dal rispetto delle «buone regole», consacrate dall'ipocrisia e dall'interesse.

Con i loro racconti, gli autori de Los que se van rinnovavano improvvisamente la narrativa equatoriana, aprendola a quelle «amplísimas perspectivas» segnalate dal Barrera12, e la imponevano all'attenzione della critica più seria13.

Il ruolo di Aguilera Malta in Los que se van è di deciso rilievo. Egli si interessa al «cholo», non al «montuvio», e pare che questo fatto, inedito nella letteratura del paese, suscitasse grosse polemiche intorno a lui, tuttavia sempre meno aspre di quelle che coinvolsero gli altri due scrittori, appunto perché, a detta del Rojas14, il «cholo» era una novità nella narrativa dell'Ecuador. Al volume Aguilera Malta collabora con otto racconti piuttosto brevi -alcuni, anzi, brevissimi, di una pagina e mezza-due- nei quali inaugura una struttura che difficilmente abbandonerà allorché si dedicherà al romanzo. Ogni racconto reca l'indicazione dell'anno di stesura, ma nel volume la posizione non segue un ordine cronologico: così, intercalati a quelli di Gallegos Lara e di Gii Gilbert, appartengono al 1930 il primo, il secondo, il sesto e il settimo dei racconti di Aguilera Malta, al 1929 il terzo e l'ottavo, al 1928 il quinto.

Dal racconto del 1928, El cholo que se vengó, formato di un solo paragrafo a dialoghi alterni, Aguilera Malta passa a una maggiore complessità di struttura nei racconti degli anni 1929 e 1930. La sua tendenza è, in un primo tempo, di dividere in parti la narrazione -due ne El cholo del cuerito e venao, quattro ne El cholo que se castró- e ogni parte in paragrafi più o meno estesi nell'ambito di un racconto che si conclude sempre nel giro di pagine indicato. Nei racconti del 1930 la divisione in parti appare solo ne El cholo del Tiburón -due parti-, mentre gli altri racconti sono suddivisi in paragrafi: da sette a nove, a dodici. È evidente che lo scrittore tende già a dare alla narrazione una struttura di micro-romanzo; i racconti possono essere giudicati una sintesi vivace di argomenti suscettibili di svolgimento in un numero più ampio di pagine. Sappiamo, d'altra parte, che Aguilera Malta è il primo degli scrittori de Los que se van a pubblicare un romanzo vero e proprio: a tre anni di distanza, infatti, egli dà alle stampe Don Goyo, una delle opere ancor oggi di maggior rilievo e di più definita maturità della sua narrativa.

Dall'unità alla cui insegna sorge Los que se van si va delineando una ben individuabile originalità. Demetrio Aguilera Malta rivela caratteristiche e qualità che più tardi avranno adeguato sviluppo nella sua opera letteraria di maggior respiro. I temi della natura, la presenza del «mangle» e delle isole del Guayas -elementi di decisiva importanza in Don Goyo e ne La isla virgen-, la nota di accentuato erotismo, sono già vivi nei racconti de Los que se van. In essi la fauna umana dell'Ecuador è presente come emanazione di un mondo germinativo e urente, che si manifesta in forme incontrollate e incontrollabili nel possesso delle cose e degli esseri. Per tal modo il «manglero» che, ne El cholo que se fue pa Guayaquil, si reca alla città, di cui ha sentito tanto parlare, esprime il desiderio di conoscerla in forme di possesso sessuale, non altrimenti da quel che avviene nella realtà tra il Nemesio Melgar e la Nerea de El cholo del cuerito e venao. Una nota erotica pervade tutte le cose e la natura embra partecipare anch'essa delle azioni degli uomini, intervenire quasi nei loro accoppiamenti, o comunque fare da sfondo non insensìbile. Si veda, nel racconto sopra citato, questo passaggio:

«I fue...

La canoa tuvo agitación de correntada. Los vestidos saltaron, tal que lisas cabezonas. Los cuerpos florecieron. Arriba el sol -como una raya de oro- clavó sus dientes rubios en las carnes brincadoras...

I fue...

Sobre ella y sobre el mar. En el tálamo verde de las aguas. Ante los mangles enormes -bufeos encadenados a las islas. Arropados con brisa i con horizonte.

Fue...

[...] Los mangles se hundían en empuje de aguaje. Los roncadores callaban. Los ostiones poderosos, vestíanse en las ñangas con encajes de espuma. Hacía frío [...]»15.



Nei racconti Aguilera Malta preferisce il periodo breve, le sospensioni, mostra una notevole concisione e secchezza, illuminata da un procedere metaforico inedito, da una nota colorista persistente, nella quale prevale il verde marino. Egli interpreta, così, un mondo primitivo, ove tutto si svincola dalla razionalità e resta in potere dell'istinto. I protagonisti sono esseri elementari e agiscono istintivamente anche nel ripudio della vita, come avviene ne El cholo que se vengó, modo animale di compiere una vendetta negandosi all'attrazione della donna infedele con la propria evirazione. Si ha l'impressione che per questi personaggi non esista nulla di elevato, ma essi si riscattano dall'animalità attraverso il continuo contatto con il mondo naturale, di cui finiscono per rispecchiare l'istintività, la corposità e, in definitiva, l'innocenza. Aguilera Malta presenta realisticamente questo mondo, in brevi quadri che colora della magia cromatica propria del paesaggio tropicale, in tutte le sue note più intime e calde:

«El sol se ocultaba tras los mangles verdinegros. Sus rayos fantásticos danzaban sobre el cuerpo de la chola dándole colores raros. Las piedras parecían coger vida. El mar se dijera una llanura de flores polícromas»16.



I racconti di Demetrio Aguilera Malta offrono un interesse notevole dal punto di vista espressivo, come interpretazione di un mondo semi sconosciuto. A parte le novità ortografiche propugnate dalla sua generazione -sostituzione della congiunzione y con la i semplice, ripudio dei segni d'avvertimento per l'esclamazione e l'interrogazione-, il tentativo riuscito di penetrazione e di resa del mondo «cholo» si concreta nel dialogo; in esso vengono riprodotti fedelmente i fenomeni linguistici della parlata popolare, le trasformazioni fonetiche, le eliminazioni consonantiche, le assimilazioni, la frequenza del superlativo in «ísimo», con un sottinteso valore affettivo, l'uso del «voseo». Un esempio efficace lo abbiamo nel seguente passaggio del racconto El cholo que odió la plata:

«- Sabes vos Banchón?

- Qué don Guayamabe?

- Los blancos son unos desgraciaos.

- De verdá...

- Hei trabajao como un macho siempre. Mei jodío como naide en estas islas. I nunca hei tenío medio.

- Tenés razón.

- Vos te acordás?... Yo tenía mis canoas i mis hachas... I hasta una balandra... Vivía feliz con mi mujer i mi hija Chaba...

- Claro. Tei conocío desde tiempísimo...

- Pues bien. Los blancos me quitaron todo. I -no contentos con esto- se han tirao a mi mujer...

- Sí, de verdá. Tenés razón... Los blancos son unos desgraciaos...

Hablaban sobre un mango gateado, que elevaba cientos de raíces en el lodo prieto de la orilla. Miraban el horizonte. Los dos eran cholos. Ambos fuertes i pequeños. Idéntico barro había modelado sus cuerpos hermosos i fornidos...»17



La nudità del dialogo sottolinea un momento drammatico della vita «chola»; al di là dell'interesse linguistico prende rilievo, come in tutti i racconti di Aguilera Malta, la protesta contro un mondo d'ingiustizia in cui la vita dell'uomo appare duramente segnata. È questa realtà che invaderà, con colori ancor più cupi, i libri che seguiranno.




Tra magia e realtà

Il primo romanzo di Demetrio Aguilera Malta, Don Goyo, appare alle stampe nel 193318. Il libro è articolato in tre parti, di estensione pressoché uguale, suddivisa ogni parte, come i racconti, in capitoli brevi, a loro volta costituiti da diversi paragrafi di estensione ridotta: otto capitoli la prima parte, dieci la seconda, nove la terza. L'opera presenta qualche imperizia nella strutturazione, soprattutto per quanto concerne la prima parte, che si apre priva di titolo, mentre le successive recano: la seconda, «Los mangles se van»; la terza «Don Goyo». Alla luce del contenuto la prima parte citata avrebbe potuto intitolarsi essa stessa a «Don Goyo», dato che vi compare la figura mitica del gran vecchio, o anche a «Cusumbo», nome di uno dei personaggi principali della narrazione, incarnazione significativa dell'elementarità del mondo «cholo». Sono dettagli minimi, ma che rivelano l'insofferenza dello scrittore di fronte a schemi rigidamente ordinati.

A parte ciò, Don Goyo attesta in Aguilera Malta, com'è logico, maggiore esperienza artistica rispetto ai racconti; essa si manifesta anche nella misura con cui egli affronta il problema linguistico. Infatti, nel libro appare molto attenuata l'adesione al linguaggio popolare nelle sue caratteristiche fonetiche più marcate, col risultato di rendere più sciolto e accettabile il discorso. Le insistenze localiste, presenti nei racconti de Los que se van, scompaiono; senza dubbio, nell'affrontare una composizione di lunga estensione, lo scrittore si è accorto dei limiti che il localismo implicava dal punto di vista della resa artistica e della scorrevolezza e credibilità del testo. Ne è prova anche il ritorno alla punteggiatura tradizionale, secondo le regole accademiche, la ricomparsa dei segni d'avvertimento per l'interrogazione e l'esclamazione19. Un mezzo al quale Aguilera Malta indulge sempre, spesso con eccesso, è la sospensione; ma di maggior efficacia dal punto di vista artistico è il ricorso all'allusione e all'elusione. In Don Goyo va anche sottolineato l'accentuarsi della preferenza per la forma in «ísimo» del superlativo, applicata prevalentemente all'avverbio, e per quella del diminutivo in «ito» e «itito», per l'avverbio, il pronome e il sostantivo. Sono particolarità linguistiche che immettono in dimensioni assai intime dei personaggi e permettono di penetrare con maggiore aderenza l'ambiente in cui essi vivono. Amado Alonso le definì espressioni interiori del linguaggio20; tra esse rientrano il «voseo» e le implicazioni affettive insite nei nomi dati ai cani, animali di riconosciuta importanza in una società primitiva e contadina, della quale sono parte integrante. In questa società rurale il dialogo si spoglia di ogni pretesa estetizzante, per consegnare la semplicità di un mondo primitivo, sospeso tra la realtà e la magia.

Demetrio Aguilera Malta rende la condizione privilegiata del mondo equatoriano della costa e delle isole ricorrendo a una serie di metafore dì valore cromatico intenso, animando singolarmente il paesaggio. La profondità della notte è resa dall'immagine di un «enorme boa de ébano»21; lo splendore bruciante del sole prende concretezza nell'evocazione di un gigantesco «crustáceo de oro»22. Ogni distinzione tra le cose e le creature viene eliminata e la notte stessa, che scende sulla terra, sembra volerla possedere carnalmente: «Afuera la noche prendía sus dientes negros sobre el vientre fecundo de la tierra»23. Il movimento marino è reso attraverso l'immagine di un'amaca: «La sangre de los mangles corrió sobre la hamaca de las olas»24. Cromatismi inediti, con spiccata preferenza per i valori tonali che vanno dal verde all'azzurro, all'oro, accentuano la nota magica del libro. Talvolta è sufficiente una pennellata per creare quadri validi di luce e di trasparenza: «Una brisa ligera encrespaba levemente las aguas verde-claras»25 «[...] las sabanas interminables, ardiendo bajo un calor que veteaba de rubio los verdes tropicales [...]»26.

Il paesaggio, la fauna, gli oggetti, presentano sempre per Aguilera Malta una vita interiore che li rende uguali alle creature umane. Tra gli uomini e la natura, soprattutto, si svolge un dialogo assai intimo. In Don Goyo la realtà si trasfigura, e a ciò concorre la musica, elemento fondamentale della vita «chola». Vi è in Don Goyo un passaggio in cui anche i «mangles» assumono apparenze umane, in un atteggiamento di denuncia che interpreta la difficile condizione degli abitanti delle isole:

«El mangle más viejo de las islas -que don Goyo vio crecer a su lado- se inclinó. Sus hojas verdinegras parecían tocar al cholo anciano con gesto de caricia. Su corteza se abrió como una flor gigantesca. Sus nudos agrietados se dijeran entrañas desgarradas. Y -en medio del asombro de los siglos, hecho inquietud de dolor y de vida- el mangle más viejo de las islas -con voz extraña y triste- habló:

- Non vamos, Goyo. Nos vamos. Ha venido el Blanco maldito. Ha venido a arrancarnos de la tierra en que nacimos, a corrompernos con su oro esclavizante, a hacernos enemigos, cuando nuestras razas marcharon siempre paralelas y siempre amándose y amadas. Hoy nuestros cuerpos, mutilados, sangran constantemente. Se nos quita nuestra corteza, que es el único abrigo. A veces -la mayoría- ni se nos aprovecha. Se nos deja sobre el lodo del barranco, abandonados.

El eco llevó la frase por los más lejanos recovecos de las islas:

- ¡Abandonados!...

- ¡Abandonados!...

- ¡Abandonados!...

Los mangles parecieron agruparse, acercándose al que hablaba. La corriente se detuvo. Don Goyo hubiera querido gritar. Se asfixiaba. Sudaba copiosamente. Temblaba. Sus carnes se mecían como hamacas»27.



II discorso del «mangle» a don Goyo -un tanto ingenuo e rettorico, se vogliamo- prosegue per altri paragrafi; ma la parte citata esemplifica validamente il clima del romanzo, la comunione esistente tra natura e uomo, entrambi tesi alla denuncia di una condizione dolorosa, nella quale il bianco ha parte determinante.

L'animismo ha remoti precedenti nella letteratura ispano-americana, e il Popol-Vuh lo attesta. Trattando dell'Ecuador, Aguilera Malta sostituisce alle categorie della società «civile» quelle primitive e spontanee della società contadina. Il mondo, la vita, sono un unico «humus» germinativo; la terra è un «vientre fecundo», madre di uomini e di cose. Per questo natura e creature partecipano con assoluta innocenza anche del medesimo clima erotico. Per ciò che concerne i sensi il concetto di peccato resta estraneo al mondo naturale e primitivo di Aguilera Malta; tale concetto interviene solo con l'arrivo della civiltà. Come già nei racconti de Los que se van, l'erotismo è inteso in Don Goyo come manifestazione spontanea, naturale e positiva, e nel libro diviene elemento di particolare suggestione, accentuandone la dimensione magica.

Nella descrizione della festa in casa dei «compadres», a Babahoyo, tutte le cose appaiono pervase di struggente sensualità. La chitarra che accompagna la danza sembra dominata, come le donne, dall'ansia di concedersi. Le giunture della casa, fatta di grosse canne, scricchiolano significativamente, esaltando il clima sensuale:

«En la casa de los compadres había fiesta. Se bailaba en el piso de caña brava picada. Un borrachón cantaba un amor -fino. La guitarra parecía quejarse, rasgada por las manos aguardentosas. Las parejas mezcladas en apretujamiento de violencia, olían a trago, a deseo, a marejada. El aguardiente, sazonador de las farras montuvias, se les empinaba en los ojos y les daba latigazos en la carne.

Se dijera que la casa, en pleno ritmo imitativo, empezaba a bailar. Se escuchaba el trinar de todas sus maderas ancianas. Sus hojas de bijao parecían inclinarse suavemente al compás de la música típica [...]»28.



L'interpretazione corposa che Aguilera Malta dà delle cose sottolinea la purezza incontaminata del mondo equatoriano. Anche l'atto sessuale è presentato senza insistenze morbose, con la naturalezza che ha l'accoppiamento tra animali. Poiché la natura è anche in questo campo maestra, la lezione che l'uomo ne desume è immune dalla macchia del peccato. Neppure l'insistenza posta nella descrizione delle attrattive femminili si allontana da questa primitiva innocenza. Nella figura della Nica, che «anda lenta, pesada, con ondulaciones provocantes sobre la fiesta de sus nalgas»29, non vi è nulla che turbi con senso di peccato, perchè in essa manca l'artificio. Per lo scrittore, la bellezza corposa della donna è una delle maggiori manifestazioni della sua terra; la natura, spontaneamente germinativa, tende a fiorire e a perpetuarsi con la stessa innocenza nelle cose e nelle creature. Il narratore ritrova nell'innocenza della carne la perduta armonia del mondo, anche se è perfettamente cosciente che per l'uomo che nulla possiede il sesso è spesso fonte d'alienazione dalla realtà miserabile in cui vegeta.

La moralità del mondo rurale descritto da Aguilera Malta si afferma nel ripudio della prostituzione. Cusumbo, spintosi a Guayaquil per vendere il prodotto della pesca notturna, appare intimamente inquietato dalla città, che sente estranea e che istintivamente odia; egli cerca allora uno stordimento nell'alcool, quindi nella casa di malaffare; ma da questa esperienza ricava unicamente un senso di disgusto, in cui si mescola una nota istintiva di compassione per quelle che egli interpreta vittime della malvagità della vita. La meschinità di un atto non conforme alle leggi naturali su cui si regge il suo mondo, si presenta chiara al personaggio, in una singolare impressione di sdoppiamento. Lo scrittore sottolinea sapientemente sensazioni, odori e colori, che rendono efficacemente il ripudio, da parte del protagonista, degli aspetti negativi della vita. La stessa descrizione preliminare della casa chiusa annuncia inevitabile la crisi del personaggio:

«Se había detenido ante una casa pequeñita, sucia y crujiente, con harapos de carne en todas sus paredes, de un extraño color gris, que daba lástima. Tocaron. Y a poco surgió una voz triste de mujer:

- ¡Entren!»30



La realtà penetra duramente le pagine di Don Goyo, talvolta con quella crudezza sottolineata dal Sánchez, che finisce per dominare l'atmosfera magica del libro31. Ma il tono lirico che la narrazione proietta sul mondo equatoriano, rurale e marino, dà ai personaggi categorie mitiche. A proposito del romanzo, non senza motivo Fernando Alegría ha parlato di una «llamarada poética» che illuminò il paesaggio dell'Ecuador e diede agli uomini della costa quella «peculiar grandeza, algo excéntrica, intoxicada, violenta», che li distingue nel panorama del romanzo americano moderno, alludendo anche al «poder lírico» d'interpretare una realtà spesso brutale, di trasformarla in evocazione intima, in cui uomini e colori si uniscono e si dissolvono, «como un constante anochecer del trópico»32.

La trasformazione dei personaggi in categorie mitiche contribuisce alla fissazione, nel romanzo, del clima magico. Realtà e leggenda finiscono per confondere i loro piani, e non di rado interviene la «brujería». «Ño» Francia, ad esempio, ha la funzione di accentuare con elementi «brujos» il clima di magia. Aguilera Malta lo presenta in contatto intimo con il mondo del mistero; indovino, «curandero» -si ricordi il conte Giaffaro in Canaima, di Rómulo Gallegos- egli opera in un alone di misteriosa potenza che ne impone l'autorità tra la gente semplice della campagna:

«Ño Francia era medio brujo y medio adivino. De noche lo veían montado sobre los árboles o andando sobre el río, sin hundirse, o atisbando en la orilla de los caminos para causar desgracias a cuantos pudiese. Por su casa nadie se aventuraba. Y cuando algún novillo o potro se iba por esos lados, ninguno de los peones se atrevía a buscarlo, y el animal se perdía definitivamente»33.



La fantasia popolare si accende intorno a queste presenze misteriose; con facilità essa attribuisce categorie mitiche ai personaggi e Aguilera Malta rende in modo efficace il clima irreale in cui vive la sua gente. Ma il personaggio che incarna, più di «ño» Francia, come un mito, le qualità positive e i sogni del mondo rurale è Don Goyo. Nel romanzo la sua figura si contrappone a quella di Cusumbo, che rappresenta una realtà violenta: quanto in quest'ultimo è istintivo, indefinito nell'azione, irrazionale in parte, in don Goyo è frutto di saggezza e di riflessione, espressione di vigorosa virilità controllata dalla ragione, che gli permette un dominio completo sugli uomini e sulle cose. In quella che Benjamin Carrión ha definito «la gran desolación del mar, la tumultuosa compañía de la selva»34, don Goyo è il vero dominatore, il motore del romanzo, uno di quei personaggi indimenticabili della narrativa ispano-americana, la cui statura cresce a mano a mano che si afferma la sua «originalità» nel mondo che lo circonda. Di fronte a lui, in posizione antitetica, sta Cusumbo; per quanto originale e vivo come personaggio egli è, in definitiva, una delle tante figure del romanzo testimoniale, in cui si uniscono istintività, azione e protesta. Sulla serie dei problemi concreti e degli avvenimenti, lo scrittore costruisce un clima di realtàirrealtà che si salda efficacemente nei suoi estremi. Don Goyo conclude con la medesima figura dominante del gran vecchio, che gravita col suo mistero su tutto il romanzo, fin dalla prima pagina. Nella terza parte del libro don Goyo sembra assumere caratteri più concreti, ma in sostanza egli rimane sempre un personaggio la cui realtà sfuma nell'irreale, nel leggendario. La sua morte è presentata da Aguilera Malta apparentemente come quella di un essere comune, ma la sua scomparsa in mare e il successivo ritrovamento tra le radici dei «mangles», conferiscono alla sua figura un carattere inquietante in cui si compendia il fallimento, la fine del mondo di cui è espressione. Tra la gente che lo ha conosciuto, la sua presenza continua dopo la morte; non stupisce, perciò, che la Gertru, sua figlia, sul punto di cedere a Cusumbo, torni a vederselo improvvisamente davanti come fosse vivo:

«Allá, en el centro del río, estaba don Goyo. Parecía abofetear la negrura de la noche. Se deslizaba sobre el agua como sobre la tierra firme. Tenía un aspecto de fortaleza que nunca se le viera. Iba rodeado de tiburones y catanudos, que parecían seguirlo sumisamente, hilvanando alfombras de espuma a su paso. Estaba completamente desnudo. Reía con una extraña risa triunfal.

Los quedó mirando breves instantes. Levantó la mano derecha. Les hizo un signo fugaz de despedida y empezó a nadar. Iba pausadamente, con una majestad que imponía. Tras él -en cardumen- los cuerpos oscuros de los monstruos marinos»35.



Nell'atmosfera magica del romanzo la realtà impone la sua pesante presenza. Don Goyo è, infatti, un libro di denuncia, non d'evasione. Il Rojas ha parlato di un felice avvicinamento ai problemi del «cholo» e alla sua psicologia, sottolineando in Aguilera Malta un «afán admirativo para ese pobre desgraciado de América que ha conservado, inalienable, su sentido de la vida y su desprecio por la ambición desapoderada de la civilización blanca»36. Nel mondo di primitiva bellezza evocato dal romanziere si fa largo una condizione umana martoriata e indifesa che diviene materia di denuncia. Ma i protagonisti appaiono piuttosto passivi; l'unica reazione sembra essere la fuga e la rinuncia; solo Cusumbo è uomo d'azione e nella sua vita violenta cogliamo tutta la portata della sofferenza del «cholo» delle isole37.

Il romanzo ispano-americano ci ha abituato ad accenti di protesta, ma occorre tener presente la data in cui appare Don Goyo, il 1933, vale a dire un anno prima della pubblicazione di Huasipungo di Icaza, che segna il momento più duro della protesta indianista nell'Ecuador. A differenza di Icaza, tuttavia, Aguilera Malta formula la sua protesta per vie meno crude e sconcertanti, certo con vigore non inferiore. La tecnica con cui lo scrittore immette nella sostanza dolorosa del mondo equatoriano si avvale delle forme in uso nel cinema: dal presente, infatti, per via evocativa egli affonda nel passato, attraverso una serie di «flash-back», proseguendo quindi regolarmente il racconto. In tal modo il romanzo accentua nel lettore l'interesse, introducendolo in zone insospettate della vita dei protagonisti. Valga l'esempio di Cusumbo: allorché egli appare nel libro è un personaggio disancorato nella «ficción», ma attraverso questo processo di ricostruzione all'indietro del passato, va assumendo consistenza e significato, acquista un idoneo retroterra. L'improvviso richiamo della memoria al clima dell'infanzia ne sottolinea la condizione d'innocenza, contaminata solo superficialmente dal sopruso e dalla violenza. Ricorrendo allo sdoppiamento psichico, Aguilera Malta dà dimensione al personaggio, e per suo mezzo alla denuncia della realtà equatoriana. L'ambiente idilliaco della campagna in cui Cusumbo ha i natali, l'atmosfera quasi di leggendaria primitività in cui vive, rappresentano un mondo originale anteriore al peccato; con esso contrasta maggiormente la distruzione operata dalla malvagità e dalla violenza, dell'uomo e della natura.

Nelle prime pagine di Don Goyo i miti americani della natura e dei grandi rivolgimenti tellurici trovano una nuova rappresentazione efficace, dopo il precedente de La Vorágine di Eustasio Rivera, ma senza delirio romantico. L'anno seguente, 1934, Rómulo Gallegos pubblica Canaima, romanzo in cui la protagonista principale torna a essere la selva. Sono libri di riconosciuta originalità, cui nel 1949 si aggiunge Viento fuerte, di Miguel Ángel Asturias, più vicino a Don Goyo per taluni aspetti, come la scena terrificante del tifone che distrugge la «Bananera». In ognuno di questi romanzi si percepisce agghiacciante la limitatezza dell'uomo, indifeso di fronte alle forze naturali, come lo è di fronte all'arbitrio del potente.

La denuncia di Demetrio Aguilera Malta prende forma soprattutto lungo il viaggio evocativo di Cusumbo. Il ricordo de «La Agalluda», richiamato da don Encarna, costituisce il primo episodio: la donna sfugge, infatti, alla violenza dei «gringos», s'imbarca con la sua creatura su una canoa e va incontro alla morte. Sull'innocenza di Cusumbo lascia un segno incancellabile la morte della madre; portato alla disperazione dai maltrattamenti del padrone, il padre sfoga la propria debolezza sulla donna e la uccide: «El patrón me saca a mi la sangre, yo debo siquiera tratarlos a patadas a todos ustedes!»38.

L'esperienza familiare scopre al giovane il mondo come una realtà crudele:

«Por primera vez miró alrededor. Miró los sembríos interminables; los arrozales cargados de espigas; el janeiro voluptuoso, en el que surgían los millares de manchas de piel viva del ganado; los terrenos extensísimos, tan grandes como el cielo; los peones agachados, humildes, regando con sudor y con sangre esa tierra, pródiga en frutos, nunca suyos; el patrón, panzudo y orgulloso, siempre a caballo, siempre con el insulto en los labios y el látigo en la mano»39.



Ciro Alegría ha intitolato il suo romanzo di maggior impegno El mundo es ancho y ajeno; alla medesima conclusione perviene Cusumbo: un mondo grande e abbondante di frutti, unicamente per gli altri.

Nel passaggio citato Demetrio Aguilera Malta rappresenta con immediatezza, per via di contrasto, l'ambiente d'ingiustizia in cui vive il «cholo», anche se taluni «cliché», come quello del padrone crudele, borioso e panciuto, appaiono a noi, oggi, correnti e logori dall'uso. Nelle pagine successive egli denuncia anche l'indole fatalista e rassegnata della sua gente, soprattutto di fronte all'inumana consuetudine che rende ereditario il debito di padre in figlio. Il padre di Cusumbo, vecchio e ormai improduttivo, trasferisce fatalmente la propria catena al figlio, per un riscatto che non avrà mai fine. Sul ritmo ossessionante di una risposta invariabile a ogni comando, «Está bien, Patron...», si trasmette anche una lunga sottomissione. Se qualche impulso di ribellione sopravviene è sostenuto dall'alcool; ma si tratta quasi sempre di un momento passeggero: l'alcool è più spesso il mezzo per annullare la coscienza di una vita miserabile.

Quando Cusumbo si innamora della Nica sembra che gli si aprano davanti nuove prospettive; l'amore trasforma, in apparenza, le cose e rende accettabile anche la crudeltà, il lavoro massacrante, l'ingiustizia, mentre fa sembrare inevitabile il destino che divide gli uomini in due categorie, di sfruttati e di sfruttatori. Più tardi la scoperta del tradimento della moglie col padrone risveglia nell'uomo la coscienza della sua situazione e con essa la violenza giustiziera. La strage che ne segue pone Cusumbo al di fuori di una legge valida solo contro il più debole.

Con l'accumulazione di tanti episodi Aguilera Malta incide profondamente nella sensibilità del lettore. Cusumbo diviene un personaggio vivo nella ribellione, anche se la sua condizione non cambia, in sostanza, allorché si rifugia nel Guayas. Per il mondo dei «cholos» i bianchi sono, giustificatamente, degli oppressori. Di don Carlos, un bianco che compare nella seconda parte del romanzo, si afferma: «Decíase que era malo, muy malo, como casi todos los blancos»40. Lo scrittore interpreta in modo aderente la misera condizione del mondo rurale equatoriano, ricorrendo frequentemente anche a particolari di suggestivo lirismo. Nel «velorio» della «difuntita» Cusumbo canta una canzone in cui si esprime l'amarezza collettiva:

«Era una vieja canción mal aprendida, mezcla de los deshechos ritmos de las islas, con un cansado tono de la ciudad. Parecía traducir la vida dolorosa de las razas que mueren. Se adhería al lomo de los cholos, como un latigazo. Por eso la escuchaban taciturnos»41.



Anche don Goyo, simbolo della virilità «chola», manifesta un'opinione negativa del bianco; quando don Carlos compare nelle isole, egli presente chiaramente la fine del suo mondo, primitivo e intimamente felice, perchè vissuto fino a quel momento in intimo contatto con la natura. Con l'arrivo dei bianchi ha luogo l'esautorazione del vecchio, il distacco dal resto della comunità, la fine di un'armonia. L'assalto alla natura, la distruzione dei «mangles», ridotti legna da vendere in città, mentre introduce un elemento della civiltà, sovverte l'ordine regnante. Da questo momento domina solo la «voz-látigo», la «voz maldita» del padrone, così impressa nella coscienza di Cusumbo. Ma anche don Goyo, lungi dal reagire attivamente, fugge di fronte alla nuova realtà e cerca la morte. Il suo gesto acquista, tuttavia, un significato simbolico, poiché interpreta la situazione indifesa della sua gente, dominata dal fatalismo, quello stesso con cui «ña» Andrea, moglie di don Goyo, accetta la morte del marito: «¡Todo tenía que ser!»42.

Il romanzo si chiude su questo clima di frustrazione: la rassegnazione dolorosa di una razza che, a detta del Rojas43, preferisce vivere in altra età storica, conservando la propria personalità «cerril y áspera». Ma Demetrio Aguilera Malta, preso dalla realtà del suo paese, formula contro il sopruso una condanna che nella sua durezza fa risaltare maggiormente, per contrasto, la magia del «paradiso perduto».

Le esperienze personali di una lunga residenza giovanile a San Ignacio, un'isola dell'arcipelago del Guayas44, offrono allo scrittore materia per una visione magica del mondo della costa e, al tempo stesso, per una presa di posizione assai dura di fronte all'ingiustizia. Magia e realtà si contendono il campo nel romanzo, senza mai venire a conflitto, anzi sottolineandosi a vicenda. Con molta esattezza Cornetta Manzoni ha parlato, a proposito di Don Goyo, di una pittura meravigliosa del paesaggio e dei «manglares», della vita e della passione di «cholos» e di «montuvios», dello sfruttamento e della crudeltà del bianco, «que no respeta ni la vida ni la dignidad del hombre de quien se siente amo y señor»45.

Nel momento in cui la letteratura equatoriana acquistava coscienza della realtà nazionale, Don Goyo ne diveniva interprete valido, si qualificava libro di esemplare significato testimoniale, mentre inaugurava, al tempo stesso, nella narrativa ispano-americana un atteggiamento nuovo di fronte alla realtà, destinato, anni dopo, ad avere grande fortuna, quello del realismo magico.




Una tragedia americana

Nel 1935 Demetrio Aguilera Malta publica, a Santiago de Chile, C. Z. (Canal Zone), los yanquis en Panamá; è il titolo del libro, poi divenuto semplicemente Canal Zone46.

I paperi intorno alla struttura, al significato e al valore dell'opera sono stati discordi. Il compilatore della voce relativa allo scrittore equatoriano nel Diccionario de la literatura latinoamaericana, volume dedicato all'Ecuador, A. C. -certamente Alejandro Carrión, che con Isaac J. Barrera ne è il curatore-, classifica con disinvoltura il libro un'opera di «reportaje», sulla linea di ¡Madrid!, reportaje novelado de una retaguardia heroica, intorno alla vita della zona del Canale di Panamá, e in un giudizio alquanto sbrigativo aggiunge che entrambe le opere, «como cumple a su género, se hallan hoy olvidadas»47. L'affermazione è singolare, dato che poche righe prima lo stesso critico aveva scritto che Canal Zone aveva visto numerose edizioni, sia in Ecuador che all'estero.

Se per «reportaje» si intende una fondamentale aderenza alla realtà storica, il Carrión avrebbe ragione di usare tale termine per il libro di cui trattiamo. Sottolineando il tono naturalista, Luis Alberto Sánchez scrive che in Canal Zone persino i nomi dei personaggi corrispondono a esseri reali di Panamá e che le scene tra «barbadenses», giamaicani, «chombos» e negri nativi sono di una crudezza implacabile48.

Non bisogna dimenticare che quando Aguilera Malta si recò a Panamá era solo ventenne e si dedicava al giornalismo. In una conversazione egli ci ha sottolineato questo particolare, affermando che a quell'epoca la città gli si presentava come l'ombelico del mondo, «un foco de atracción», fove trutti confluivano, un centro importante dell'America49. È naturale, perciò, che come giornalista e come scrittore cercasse di penetrare la realtà del mondo panamense e che alcuni anni dopo, al momento di scrivere Canal Zone, le impressioni de un tempo risorgessero vive. Aguilera Malta era stato colpito soprattutto dalla situazione del negro, dal commercio di carne umana che si faceva a Panamá -una vera e propria «tratta delle bianche», l'ha definita, una «questione tremenda»-, dalla presenza corruttrice del danaro, sperperato a piene mani nei piaceri più volgari dai nordamericani del canale e dai marinai della flotta statunitense, presenti prepotentemente sullo sfondo nazionale. Tutto ciò attestava per Panamá una condizione mortificante di soggezione agli «yanquis»: il panamense era solo apparentemente padrone del proprio destino; del resto la storia della nascita della repubblica denunciava chiaramente i propositi degli Stati Uniti. Il distacco dalla Colombia era avvenuto infatti, nel novembre 1903, a istigazione degli agenti della Società del Canale, rilevata dagli U. S. A., e fin dagli inizi si era manifestata la precarietà della condizione d'indipendenza del paese50. Era l'epoca della politica del «big stick», inaugurata dal primo Theodore Roosevelt verso le nazioni sudamericane. Tale politica non poteva che implicare una soggezione totale del popolo panamense ai dominatori della zona del canale.

Canal Zone è, perciò, un libro estremamente amaro, più che polemico, dal quale scaturisce quella profonda comprensione umana e quella conoscenza singolare dell'ambiente e dei personaggi cui allude la Manzoni51. Alla denuncia che Aguilera Malta formula in Don Goyo fa da sfondo la presenza costante della natura nella sua suggestione magica, per rendere più respirabile l'atmosfera; in Canal Zone, al contrario, l'azione si svolge esclusivamente nella confusa metropoli, in un caotico agglomerato urbano, tra un turbinio frenetico di gente. Talvolta, è vero, lo scrittore si lascia attrarre da elementi di suggestione storica cui si mescola la leggenda: i ruderi della Panamá coloniale, le figure evocate di Morgan e di Juan Pérez de Guzmán. Nella descrizione di taluni angoli della città vecchia rivivono momenti suggestivi del passato leggendario e aureo della colonia, in contrasto efficace con il panorama decadente della città nuova, quale si presentava allorché lo scrittore vi colloca l'azione del libro. Una sorta di malinconia d'ordine politico affiora dalla pagina, nel rimpianto di un tempo che la distanza presenta con un alone di qualità positive; tempo della vigorosa estrinsecazione delle doti virili, che il narratore vede ora, per contrasto, decadute in una gioventù abulica, quale si esemplifica nei tipi di El Fat, July, El Fulo e altri scioperati, figli di una borghesia arricchitasi rapidamente, personaggi capaci solo di annegare la noia in lunghe sedute al caffè, tra «borracheras» interminabili e ibride avventure con donne di malaffare.

Aguilera Malta stigmatizza il clima di abulia determinato dal disordine morale seguito all'epoca d'oro dell'apertura del canale, al colossale ingrandirsi della città e agli improvvisi e facili guadagni. Al primo accenno di crisi economica è il tracollo, col risultato immediato dell'acuirsi della condizione derelitta della povera gente, gettata sul lastrico da padroni di casa senza scrupoli, licenziata dal posto di lavoro. Lo scrittore mostra di aver conosciuto a fondo il momento difficile: nella gente che soffre egli vede farsi largo la convinzione di essere solo ingranaggi insignificanti di un gran meccanismo, che costruisce ricchezza unicamente per una classe privilegiata, sostenuta dalla forza e dagli interessi «yanquis», che esprimono nel paese anche il potere politico.

Demetrio Aguilera Malta conduce un duro esame della situazione di Panamá, attraverso l'azione di una serie di personaggi ben caratterizzati, che hanno talvolta chiara la condizione del paese. È il caso de El Fat, tipo curioso di abulico, che denuncia crudamente il fallimento nazionale:

«Creo que lo que nos ha perdido es la política. La política, o mejor dicho, la politiquería ha sido nuestro pan cotidiano. No he oído otra cosa desde que nací. Pienso que si no tuviéramos los yanquis tan cerca, habríamos cambiado de presidente como de calcetines. Con el respaldo de ellos, se ha producido el caso contrario. Hombres incrustados en el poder. Hombres que han ido pervirtiendo el alma nacional; que no han dejado que nadie emprenda otra actividad que no sea la burocracia, para así tenerlos siempre dominados y agrupar todos los intereses a su derredor. Por otra parte, eso nunca ha exigido en Panamá mayor preparación ni estudio. Son frecuentes las improvisaciones. Y así, poco a poco, se ha ido acanallando al pueblo. Haciéndolo ocioso, dilapidador, despreocupado. Y ahora que está sufriendo las consecuencias de todo ello se le abandona. No se le presta ni siquiera oídos y menos se le ayuda»52.



È naturale che una denuncia così dura della condizione panamense sollevasse scalpore nel paese e originasse acute polemiche. Ma Aguilera Malta non faceva che sottolineare una situazione reale, forse più evidente e drammatica, in quell'epoca, a Panamá che in altri paesi sudamericani, proprio per la presenza sul territorio nazionale delle truppe statunitensi e della flotta «yanqui» nelle acque territoriali.

Nel discorso di El Fat, assai amaro e sincero, di quella sincerità sorprendente che talvolta scaturisce da abbondanti libagioni, un personaggio anonimo interloquisce denunciando la piaga: «Los yanquis nos dieron patria... ¡ pero qué caro nos cuesta!»53. E di nuovo El Fat si scaglia contro il potere diabolicamente corruttore del dollaro, riversatosi su Panamá «en un abordaje inaudito»54. Tuttavia, benchè questi personaggi individuino perfettamente i mali della patria, non v'è in essi conato d'azione. Lo scrittore li rende, perciò, corresponsabili della situazione e denunciandone la passività li fa esempi dello sfacelo morale di tutta una società.

L'ambiente che circonda El Fat e i suoi amici accentua il senso di fallimento che si leva dai loro discorsi; essi passano la giornata da un bar all'altro, lasciandosi trascinare da un senso confuso di disperazione. Un unico personaggio, il mulatto Pedro Coorsi, rappresenta una reazione positiva, anche se impotente, al clima di decadenza; la realtà gli dà la coscienza dolorosa di essere «una piedra más, casi sin importancia, en lo infinito de las máquinas del Monstruo»55. Coorsi è un personaggio di infima estrazione che assurge a protagonista quasi unico nel romanzo, appunto perchè soffre intensamente la situazione nazionale. Attraverso la sua figura, le sue riflessioni, la sua azione, Aguilera Malta dà voce alla denuncia, riuscendo a liberare l'uomo dalla freddezza del simbolo. Egli ce lo mostra dapprima aperto alla speranza, quindi, in un progressivo fallimento, vittima della situazione economica e dei pregiudizi razziali. Per quanto grigia, tuttavia, la vita di Coorsi non termina, come quella dei vecchi compagni di scuola, nell'alienazione: egli reagisce di fronte ai mali del paese, e anche se la sua azione non conduce ad alcun cambiamento concreto, essa è già un segno positivo, di alto significato morale. Lo sciopero generale per il rincaro degli affitti lo vede partecipe attivo, insieme al negro Echevers; ma entrambi sono vittime del malcostume politico.

Le note critiche sono prepotenti in Canal Zone. Il realismo magico di Don Goyo ha lasciato il posto alla cruda realtà. Aguilera Malta non ha fiducia, s'intende, in un cambiamento radicale della situazione; egli ritiene che, finché permarrà la presenza straniera, il popolo non avrà altra prospettiva che la repressione e la sofferenza. Lo sciopero diviene un'arma inefficace, perché la forza popolare è sfruttata da personaggi astuti e intriganti, desiderosi solo di potere. Ciò che lo scrittore afferma di Panamá si applica, naturalmente, nelle sue intenzioni, all'Ecuador; ci rendiamo ben conto di quanta passione equatoriana sottintenda la trattazione del dramma panamense. Ma l'esame della situazione politica di Panamá sottolinea aspetti comuni a gran parte dei paesi ispano-americani, dove il sistema politico appare estraneo alla realtà della nazione: il Presidente, vissuto quasi tutta la vita negli Stati Uniti; la stampa, venduta al capitale e fiduciosa nel Presidente; i proprietari di immobili, in tranquilla attesa che le cose si appianino. Tutto è dominato e piegato con l'astuzia dall'interesse.

Ad Aguilera Malta non sfugge la suggestione istintiva che il Presidente esercita sulle masse popolari; è un fascino primitivo che si esalta ogni qual volta egli appare al balcone della sua residenza:

«De pronto, hubo un gran silencio. En el balcón había aparecido el Presidente. Lo acompañaban varias personas. Tenía el ademán grave, solemne. Al asomarse, la multitud se entusiasmó. Y dio un aplauso largo, caluroso»56.



In epoca successiva Miguel Ángel Asturias spiegherà tale suggestione, presente, sia pure in forma diversa, vale a dire come terrore, anche ne El Señor Presidente, come persistenza di un mito che nei paesi centro-americani procede dalle epoche precolombiane57. Ma soprattutto domina in Canal Zone il terrore popolare per un nuovo intervento della marina statunitense, in funzione di restauratrice dell'ordine; sottolineando questo stato d'animo lo scrittore incide profondamente in una dimensione sempre dolente del mondo americano, mai denunciata prima con tanta crudezza nella narrativa. Talvolta si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un preannuncio del libro di Asturias sulla dittatura - El Señor Presidente apparirà nel 1946, anche se la sua stesura è anteriore-, per l'efficacia con cui Aguilera Malta ne penetra la sostanza viscida e corrotta. Canal Zone ci offre un modello assai vivo di Presidente latino-americano; sotto una rettorica che ha il potere di impressionare e di stordire i semplici, traspare la natura corrotta e infida del «mandatario»:

«El silencio se hacía más denso. Las frases caían redondas, como pelotas de fútbol, sobre el cerebro de los oyentes. Saltaban ágilmente, hasta los últimos rincones de esas calles. Al final de cada párrafo, se iniciaba un largo aplauso»58.



Come Asturias ne El Señor Presidente, Demetrio Aguilera Malta si sofferma con insistenza sulla fraseologia servile di coloro che, chiedendo ad arte l'intervento della suprema autorità dello Stato, tradiscono, in realtà, la causa popolare per acquistare meriti di fronte al potente. È un linguaggio umiliante per chi lo usa, intimamente inquietante nella sua bassezza, e rivela efficacemente il potere corruttore della dittatura sulle coscienze.

Ma la dittatura, per sopravvivere e perpetuarsi, ricorre a una forza concreta repressiva. Lo scrittore denuncia quindi, nel libro, l'operato di una polizia, di estrazione inevitabilmente popolare, che, al servizio del dittatore, cioè del sopruso, tradisce le proprie origini. In Canal Zone compare, di conseguenza, un simbolo, ricorrente nel romanzo ispano-americano, il carcere. Il negro Echevers, che nella piazza vede la folla osannare al dittatore, grida al tradimento e finisce in prigione. Aguilera Malta descrive il luogo con sobrietà di tinte, rendendo, con la tristezza dell'ambiente, la dolorosa condizione di chi vi è rinchiuso. La dimensione inumana della pena è resa dall'apparente immobilità del tempo, un'ossessione esasperante di ore che «parecían estirarse, como si fueran elásticas, interminables»59.

La prima parte di Canal Zone si chiude sullo scenario cupo del carcere; la seconda, intitolata significativamente «Welcome», si apre sull'arrivo di quarantamila marinai della flotta statunitense del Pacifico, che trasformano d'improvviso la vita della città, accolti con entusiasmo dall'aristocrazia locale, dai commercianti e dalla stampa. È la prospettiva di una nuova pioggia d'oro, di divertimenti dilaganti, e le classi che tutto avrebbero avuto da perdere da una vittoria popolare si rianimano. Tanti soldati rappresentano, in sostanza, una manovra politica per rafforzare il governo di fronte allo sciopero. Demetrio Aguilera Malta denuncia il ricorrente intervento degli Stati Uniti negli affari interni del paese, ma in particolare il grado di corruzione che determina la presenza «yanqui». Nelle pagine di Canal Zone compare, forse per la prima volta nel romanzo ispanoamericano, la caricatura del marinaio statunitense, che diverrà poi cliché ripetuto: un individuo biondo e gigantesco, estremamente infantile, facile preda dell'alcool. È un modo, -al quale ricorre anche Asturias-60, per demolire, attraverso il ridicolo, la potenza degli U. S. A.:

«[...] Desembarcaban alegres y entusiastas, abanicados por la brisa fresca de la mañana, que templaban negras corbatas voladoras. Eran altos y robustos, de amplios tóraces, de rostros sanguíneos e infantiles. Al saltar, se alineaban con movimientos automáticos. Se notaba en sus cuerpos la alegría de pisar tierra. Sus labios temblaban ligeramente [...] Empezaban a rodar a Panamá. Se entusiasmaban ante la imagen tentadora de la bella Ciudad-Puente. Iniciaban una larga carcajada, a través de todo el trayecto. Se dirigían al italiano o al criollo que guiaba el coche y le hacían pesadas bromas. Uno que otro mascullaba entre dientes una canción aprendida en un puerto lejano, pero salida de savias tropicales:

- We have no bananas»61.



Il frequente ricorso a termini della lingua inglese rende con aderenza, in questa parte del romanzo, la sovrapposizione innaturale dell'elemento straniero al mondo sudamericano.

Uno degli aspetti più consueti del cliché con cui la narrativa ispano-americana testimoniale presenta, in termini di ripudio, il marinaio statunitense è l'ubriachezza. Aguilera Malta vi ricorre, con esiti notevoli sul piano della distruzione del personaggio, trasformando in fantoccio inconsistente e ridicolo il simbolo di una potenza alla quale, nella realtà, nessuno può opporsi.

Il processo di distruzione del personaggio si completa mediante il ricorso alla nota erotica, talvolta all'insinuazione del sospetto di omosessualità. Il marinaio nordamericano si trasforma, così, in essere animale; privo di vibrazioni spirituali e di dignità, è dominato solo dagli istinti peggiori. Per contrasto -ed è il risultato cui lo scrittore intende pervenire- acquista rilievo la moralità del mondo sul quale si esercita la corruzione dello straniero.

In Don Goyo l'elemento erotico era al servizio delle qualità positive del mondo equatoriano, inteso nella sua primitività non tocca dal contatto contaminatore della civiltà; in Canal Zone, al contrario, se nella prima parte tale elemento sottolinea una qualità naturale del mondo tropicale, nella seconda denuncia la corruzione portata da fuori. La sensualità istintiva del tropico è presentata nei capitoli iniziali come al disopra di ogni giudizio morale; abbondano le descrizioni erotiche, le immagini che rendono, sul ritmo di suoni accattivanti e presenze di aromi che accentuano la nota sensuale, la vitalità di un mondo complesso. In tali pagine la donna diviene attrazione vistosa, ma naturale; il narratore ricorre spesso a immagini ardite e a terminologie crude, descrivendola. Il libro si popola, infatti, di «amplias caderas ondulantes»62, di odori strani, ora «mezcla de vida y de lujuria»63, ora unicamente di segno negativo: «Un olor a sexo y a licor trepidaba, como volante común, sobre todas las carnes»64.

Non v'è dubbio che Aguilera Malta mostri un accentuato compiacimento nella presentazione delle scene erotiche, forse retaggio di un modernismo che si confonde con note di caldo realismo. Ma attraverso tali descrizioni lo scrittore intende solo condannare un mondo pervertito, provocando immediata l'adesione del lettore.

La musica, da parte sua, ha in Canal Zone la funzione di esaltare la sensualità tropicale, acuendo con la sua nota gli stessi aromi e i colori, comunicando, al tempo stesso, un senso struggente di malinconia, che l'Alegría non ha esitato, forse impropriamente, ad avvicinare all'eco degli spirituals negri65.

L'efficacia e la funzione delle descrizioni accennate, dirette ad esaltare la sensualità tropicale, può essere colta nella presentazione di un «danzón» popolare:

«Cuando Pedro Coorsi estuvo dentro, se sintió como mareado. Verdaderas olas humanas llegaban hasta cerca de él. Olas que, al compás de la música, se arqueaban, se estrujaban, rugían. Era una manera extraña de bailar. El danzón, lujurioso y arañante, les mordía las carnes. Surgía un vibrar de caderas y de senos. Parecía que, de pronto, todos se hubieran hecho sexo únicamente. Ardían y sudaban. Un vaho caliente, pesado, denso, se extendía, como una colcha propicia, sobre el toldo. Allá, en el tablado, la orquesta crecía. El clarinete y el jazz-band parecían lamerles la espina dorsal, en ayuda a la caricia. Los músicos chombos acariciaban sus instrumentos, como si cogieran muslos de mulatas quemantes. A ratos, parecía que el toldo, esa armazón de madera y de clavos, era sólo una cama gigante para millares de parejas»66.



Ma quando Aguilera Malta ricorre al tema erotico per esprimere la condanna morale dell'elemento statunitense, tutto diviene ripugnante, la musica perde la sua funzione esaltante e odori inquietanti saturano l'ambiente. Per meglio rendere la misura della decadenza morale «yanqui» lo scrittore monta scene che si potrebbero definire surreali e che determinano presto nel lettore una reazione negativa.

Più di un passaggio in Canal Zone risponde a questa finalità di distruzione del personaggio; Aguilera Malta rappresenta a tinte infernali la corruzione di cui sono fonte i marinai della flotta statunitense. In questi casi l'atmosfera si esalta in senso totalmente negativo, si fa viscida e inquietante; la sensualità diviene sesso e si manifesta in forme grottesche e mostruose, come nella descrizione della «Exhibition», della quale ci limitiamo a citare un passo:

«[...] Era un espectáculo de mujeres que realizaban las poses más raras, completamente desnudas. Cuanto la imaginación de un anormal pudiera concebir, se realizaba allí. Había en las carnes de ellas una especie de resbalar de tentáculos. Se anudaban los brazos con las piernas, con el cuello. Se retorcían -en retorcimientos casi imposibles de concebir- los músculos más difíciles. De vez en cuando, como una boca incendiada, aparecía el sexo velludo, extendido, atormentado. Se le veía angustiarse, en pliegues torturantes. Se le adivinaba llorar en esa borrachera de carne [...]»67.



Il ricorso agli elementi olfattivi accentua la negatività dell'atmosfera peccaminosa. Odori sessuali ripugnanti si mescolano a quello della birra, «olor suave, cariñoso»68, al «perfume de las hembras»69, con un potere corrosivo sottolineato dalla menzione dell'umidità e del sudore. Il brutto e il ripugnante sono al servizio di una denuncia che raggiunge efficacemente il suo scopo.

Aguilera Malta lascia al personaggio di Coorsi il compito di esprimere l'amara e impotente coscienza del panamense di trovarsi davanti al crollo definitivo del suo mondo. La reazione è disperata: divenuto, per sopravvivere alla crisi, conducente d'auto e trasportatore di marinai alle case del piacere, egli si sente colpevole e per riscattarsi conduce la vettura a sfracellarsi contro un paracarro, dando morte anche agli uomini che trasporta. Con analoga scena in «Americanos todos», di Week-end en Guatemala, Miguel Ángel Asturias renderà il risentimento impotente del guatemalteco di fronte agli «yanquis». La protesta di Coorsi può sembrare sterile, a prima vista, ma acquista un significato simbolico quale riscatto morale del mondo latinoamericano.

Nell'atmosfera di «turbia sensualidad» sottolineata dal Sánchez70, si fa largo in Canal Zone, proprio attraverso la figura di Pedro Coorsi, quel potere lirico d'interpretazione di una realtà spesso brutale, che si trasforma in evocazione intima, rilevato dall'Alegría71, ma non solamente, come sostiene il critico, al fine di esporre il tragico problema razziale e sociale di Panamá, bensí di denunciare le cause di una decadenza morale che non si circoscrive ai confini della repubblica panamense, né all'epoca cui il libro si riferisce. In tal modo Aguilera Malta assolve al compito che ritiene insostituibile per lo scrittore: quello di richiamare alla responsabilità, di additare le cause che determinano la condizione americana.

Tratti dalla realtà viva, ma rielaborati artisticamente, i protagonisti di Canal Zone acquistano immediatezza e vita. Il narratore non si attarda a presentarli con una ricostruzione particolareggiata del loro retroterra, ma lascia che la personalità di ciascuno si manifesti nell'azione e nel dialogo. In quest'ultimo aspetto Aguilera Malta offre una dimensione nuova del mondo ispano-americano, che si manifesta attraverso localismi tipici di Panamá e una sintassi che sottolinea la realtà dei personaggi. Nel libro, ciò che conta è la materia umana, l'atmosfera di tristezza che sembra scendere sul tramonto di una società. Nella storia del romanzo americano di lingua spagnola non esiste libro più amaro e incisivo sul tema. Ernesto Sábato ha scritto72 che non si fa arte né la si sente con la testa, ma con tutto il corpo, coi sentimenti, le paure, le angosce e persino coi sudori: Canal Zone, in questo senso, è frutto di una partecipazione totale dello scrittore al dramma sempre attuale dell'America. Non importa che il libro concluda con accenti cupi, in un clima di frustrazione: esso risponde soprattutto a quella «ansiosa investigación del caos, como un examen de la condición del hombre en medio del desbarajuste»73, punto primo di partenza per la formulazione di un messaggio di speranza.




Il richiamo del mondo congeniale

Canal Zone costituisce una sorta di parentesi nella narrativa di Demetrio Aguilera Malta, anche se il tema affrontato è scottante e sentito. L'ispirazione dello scrittore, infatti, è mossa soprattutto da un mondo congeniale che si costruisce sulle esperienze e sui richiami dell'infanzia, sulle suggestioni magiche di una natura tropicale urente, sulle storie minime di creature semplici, quelle stesse che appaiono nelle pagine de Los que se van e in Don Goyo.

La pubblicazione nel 1942 de La isla virgen74 segna un ritorno all'ancestro, il cedimento volontario a una serie di richiami lirici che non hanno mai cessato di operare sullo scrittore, teso a costruire un'epica della sua gente. Il nuovo romanzo può essere considerato la continuazione di Don Goyo, il prolungamento di un clima ben definito in cui magia e denuncia si fondono e dal quale emergono personaggi destinati a permanere nel tempo quali simboli di una condizione umana ben identificata.

Dal punto di vista artistico La isla virgen è considerata dalla critica il capolavoro di Aguilera Malta. Tuttavia, le nostre preferenze vanno soprattutto a Don Goyo, romanzo nel quale ci sembra di poter cogliere una maggior misura, un più attento controllo creativo, coincidendo in questo giudizio con l'opinione dello stesso autore75. Ciò nonostante riteniamo La isla virgen un libro significativo, anche se al romanzo possiamo rimproverare una certa indulgenza, talvolta, al gusto d'appendice -attestato dai sottotitoli di taluni capitoli- e una nota di compiaciuto «modernismo» per alcune insistite descrizioni d'ambiente, di interni «señoriales», come la casa di don Néstor. Inoltre, proprio nella figura di questo personaggio notiamo un accentuato cedimento al determinismo, anche se è proprio proposito dello scrittore presentare un carattere avulso dalla realtà nazionale, cresciuto in un ambiente dominato da radicati pregiudizi sociali, religioso in senso superficiale e bigotto.

Nonostante gli appunti mossi, tuttavia, ciò che fa de La isla virgen un libro di valida categoría artistica e di indiscutibile originalità, è la presenza magica della natura, la riuscita interpretazione del mondo rurale nella sua cruda realtà e nella sua magia. Aguilera Malta anticipa in questo libro, secondo l'Alegría76, il realismo magico, che più tardi scrittori come Asturias e Carpentier trasformeranno in espressione caratteristica della zona tropicale americana. Ma tale anticipazione, come abbiamo sottolineato, si ha già in Don Goyo, e sia per l'uno che per l'altro romanzo si afferma il ruolo precursore di Aguilera Malta.

Ne La isla virgen i «cholos» appaiono dominati da una serie di allucinazioni, come se nell'uomo si accavallassero e si confondessero continuamente due esistenze. Le forze che operano nel libro sono forze divenute antropomorfe; l'isola e la natura, la selva soprattutto, lottano incessantemente contro l'uomo e contribuiscono al suo disancoramento da una realtà che tuttavia non annullano.

Ángel F. Rojas ha posto in rilievo questo aspetto del romanzo, la presenza in esso di un conflitto intimo tra la natura e l'uomo77. È un modo personale di vedere la natura, le relazioni che essa ha con l'essere umano. A differenza degli altri narratori ispano-americani del momento, che vedevano, in genere, la natura dal difuori, Aguilera Malta ha arfermato78 che la vede e la chiama, come ogni cosa, dal di dentro. La residenza giovanile nel Guayas opera fortemente sulla sua sensibilità e lo scenario de La isla virgen torna a essere quello di Don Goyo. II paese della memoria non è tanto un mondo umanamente felice -tanti sono, anzi, i conflitti-, quanto un regno di bellezza e di valori primitivi e incontaminati, che afferma il suo significato quale parte positiva della spiritualità equatoriana.

Le disposizioni coloristiche sottolineate per Don Goyo tornano potenziate nel nuovo romanzo, dove i colori hanno sempre la funzione di rendere una nota spirituale. Il godimento intimo che lo scrittore esperimenta descrivendo il paesaggio dell'infanzia, si esprime in un cromatismo che, nel rivelare l'urenza della natura delle isole, soprattutto della selva, ne sottolinea il valore spirituale. Su un fondo di note verde-cupo, alternate a colori caldi -dal giallo al marrone, al violetto, al rosso-, annullati da grigi improvvisi, si snoda la vicenda umana. Il contatto diretto tra la natura e l'uomo si manifesta anche attraverso il colore. La stanchezza del «peón», sul finire di una giornata massacrante trascorsa tagliando alberi nella selva, si evidenzia sovente in un grigiore improvviso che invade il paesaggio, accentuando il senso di frustrazione:

«Serán las seis y media de la tarde.

Todo se agrisa. Los árboles se funden entre sí, poco a poco, formando una sola masa imponente. Por los mil ruidos que crepitan en la montaña, se adivina el regreso de sus pobladores. El sur sopla con fuerza, abanicando el ambiente.

Caminan una trocha recién abierta, pisando monte, amarillento por las postrimerías del verano. Tienen que separar constantemente bejuqueros y ramazones, que les obstaculizan el camino. Todos fuman gruesos puros. El humo los envuelve en una atmósfera extraña que los torna desdibujados, soñolientos. Se oye su marcha desacompasada, elevándose como una protesta [...]

Parece que todo queda en silencio.

La montaña se vuelve gris. Apenas, medio se destaca uno que otro colorado chillón [...]»79.



Il grigio accompagna sempre, ne La isla virgen, situazioni in cui l'uomo appare soccombente nella lotta contro lo sfruttamento e la natura. Il villaggio, meta ansiata del «peón», perde nel grigio i colori vitali dell'illusione e della speranza. La fatica, la condizione miserabile dell'essere umano, sono rese spesso con note di colore che vanno dalla luce alla tenebra, passando per cromatismi accattivanti, la cui funzione è di rendere più vivo il rimpianto per la scomparsa della luce. Anche il dialogo, spesso fondato su puri monosillabi, o composto di un fraseggiare breve, asciutto, rende la stanchezza cosmica dell'uomo. La stessa nota erotica, così presente nei libri precedenti, si attenua, benché non manchino nel romanzo scene di accesa sensualità. L'urgente impegno di denunciare le infinite limitazioni che soffocano la personalità degli abitanti delle isole rende secondario anche il sesso. Sul fallimento di questo mondo umile e rassegnato la sera ingrigisce costantemente; ogni cosa denuncia un sistema crudele, dominato dall'incomprensione e dalla malvagità, sullo sfondo di una natura, la selva, madre e matrigna al tempo stesso.

Ne La isla virgen troviamo pagine tra le più suggestive del romanzo ispano-americano nella descrizione della selva. L'accostamento alla Vorágine e a Canaima torna istintivo; ma Aguilera Malta sottolinea della selva le note di grandezza e di crudeltà proprie della natura tropicale, vede in essa una fonte eccezionale di ricchezza spirituale, non solamente la fiera sanguinaria, più vicino, in questo, a Gallegos che a Rivera. La sua denuncia non è diretta contro le cose; la natura può essere crudele, mai malvagia; essa si difende dall'assalto dell'estraneo, non del nativo. All'occhio dell'uomo civilizzato la condizione del mondo rurale si presenta miserabile, in quanto è incapace di attingerne lo spirito. Ciò che turba l'ordine primitivo è ancora una volta l'intervento del bianco, contro il quale la natura si ribella. Quando don Néstor, infatti, tenta di rifarsi una fortuna sfruttando le isole del Guayas e ne turba la primitiva felicità, la sua sconfitta si presenta certa: mentre il «cholo» conserva intatte le proprie facoltà psichiche il bianco soggiace a un sovvertimento completo, si perde nella pazzia.

Spettatore muto del delirio di don Néstor, che nel suo amore-odio per la selva vorrebbe concedersi ad essa e nel contempo possederla come una donna, è il «Mayordomo» don Guayamabe. Egli osserva nella perdita del bianco l'intervento giustiziere della natura. Il Rojas ha parlato, a questo proposito, della riabilitazione di Calibano, vale a dire dell'abitante «esclavizado» delle isole, soggiogato dal mago Próspero, il bianco «civilizador»80. Aguilera Malta non si oppone, naturalmente, al progresso del mondo rurale, alla lotta dell'uomo per sottomettere a sé l'ambiente; egli trova, anzi, in questo tentativo dimensioni epiche, per le quali il mondo americano si proietta verso un futuro ancora confuso, ma di segno inevitabilmente positivo. Come Vasconcelos, lo scrittore sembra credere in una «raza cósmica» che dominerà il mondo di domani; ma egli rimprovera al bianco, nel perseguimento dei suoi fini, il delitto di rendere schiavo il nativo, sfruttando la situazione miserabile in cui vive, la sua ignoranza, per legarlo a sé in una condizione medievale di servitù. Considerato alla stregua di un animale, il valore dell'uomo è in funzione del suo rendimento, sempre mantenuto a un livello costante attraverso la schiavitù del debito, trasmesso automaticamente di padre in figlio. Un personaggio, don Mite, evidenzia questa condizione inumana; la sera scende cupa sulla sua fine allorché, colpito dalla malaria, la sua unica preoccupazione di fronte alla morte è costituita dall'impegno di riscattare il debito col bianco. Più tardi don Guayamabe ricorderà con amarezza la morte dell'amico, la miseria della sua sepoltura, sottolineandone la condizione derelitta:

«¡Pobre don Mite! ¡Si viviera!... ¡Pero no! Está bien muerto. A varios metros -lo menos tres- bajo tierra. Recuerda como lo metieron en el hueco profundo. Precisamente, él fue uno de los que condujeron el ataúd de tabla de cajón hasta el fondo. Malo estaba el ataúd. ¡Muy malo! Es que casi no hubo tiempo de hacerlo, ni se encontró madera aserrada. Lo hizo don Sixto en unas pocas horas, desarmando unos cajones de fideos... ¡Muy malo el ataúd! El hueco, sí que era bueno. Desde la madrugada habían estado los hombres tirando barreta. Claro que quizá hubiera sido mejor llevarlo a San Manuel, su tierra. Pero don Néstor se había negado. Costaba mucho conducir un cadáver hasta ese pueblo. Por lo menos, un popero y dos bogas durante una semana, la pérdida de la canoa para la faena cotidiana y los enredos con las autoridades del lugar. ¡Quién sabe! A lo mejor, tenía razón el Blanco. Él, por eso, ni siquiera había dicho nada. Para qué. Ya estaba muerto el muerto y había que enterrarlo, antes que se pudriera. Dónde, era lo de menos...»81



Demetrio Aguilera Malta insiste con note dolenti sulla figura di don Mite, che eleva a simbolo di tanta parte del mondo equatoriano. La fine del vecchio rende, meglio di ogni protesta polemica, la portata disumana del conflitto che oppone due mondi; l'atteggiamento di don Néstor spicca crudamente di fronte all'umana statura del vecchio. Don Guayamabe vede nella morte dell'amico la fine irrimediabile del suo mondo: vite di privazioni e di stenti, di piccole e grandi umiliazioni, di illusioni semplici e di gioie minime, annullate dalla morte. Ma se la bara di don Mite è cosa miserabile, la terra, generosa con i suoi figli, lo accoglie in un ampio seno.

Attraverso queste figure e queste scene prende rilievo ne La isla virgen la situazione tragica dell'Ecuador, e in essa quella dell'America latina. Talvolta la tesi sembra trascinare eccessivamente lo scrittore, ma non di rado egli perviene a pagine efficaci di controllata emozione, in un periodare scarno, interrotto da sospensioni frequenti che danno spazio alla riflessione.

La miseria di don Néstor è di ben altra natura della miseria materiale di don Mite. Alla radice della sua azione sta l'equazione meschina del danaro. Contro il potere corrosivo del danaro e la parte che esso ha nello sfruttamento dell'uomo, Aguilera Malta leva una voce che non è sola nella narrativa ispano-americana. Lo attestano alcune delle opere di più teso impegno di Miguel Ángel Asturias82.

Misura in apparenza di tutte le cose, la ricchezza è al tempo stesso causa di distruzione per coloro che la posseggono e se ne rendono schiavi. La voce popolare esprime un duro giudizio su don Néstor, caduto in rovina, e su tutta la classe «pudiente» equatoriana: «así son nuestros ricos. Sin dinero no valen nada...»83. In effetti, avendo fatto del danaro un idolo, ora che ne è privo don Néstor si sente perduto. Dopo un primo periodo di scoraggiamento e di abulia il suo attivismo risponderà unicamente a una finalità meschina, la conquista della ricchezza per reìnserirsi vittoriosamente in un mondo che gli ha voltato le spalle. Privo di fondamenti morali, il suo fallimento definitivo appare scontato e sarà la natura a intervenire come giustiziera, provocando lo squilibrio mentale dell'uomo.

Ne La isla virgen la figura del bianco è alquanto insistita, ma in essa si esprime la moralità dello scrittore, la sua condanna per colui che passa in mezzo a tante vite umili e indifese senza recare che rovina e dolore. Don Néstor non è l'unico personaggio negativo del romanzo: sulla sua scia si muovono don Morelo e don Celeste, sfruttatori senza scrupoli della miseria dei «cholos», che attraverso il debito riducono schiavi, vendendoli poi come braccia da lavoro ai «patrones» della costa e delle isole. Sullo sfondo di una natura sempre suggestiva si rivela un inaspettato inferno in cui l'uomo vegeta e muore. E quando la natura interviene, è per ristabilire l'equilibrio turbato, con azioni giustiziere.

Malgrado colori così cupi, Aguilera Malta si oppone a tanta letteratura indigenista ispano-americana sfiduciata nelle qualità di ricupero dell'umanità per la quale combatte; egli manifesta, al contrario, una fede sicura nel riscatto della sua gente. Verrebbe meno, altrimenti, a quella che da sempre ha ritenuto la sua missione.

Il Rojas ha parlato di una rivendicazione dei valori ottimali dell'uomo, su un fondo di fatalismo caratteristico dell'Ecuador, di una malinconia tipicamente sudamericana, di un pessimismo cupo che presiede alla lotta con l'ambiente, «lucha en la cual el vencido es casi siempre el hombre, que ha de pagar un tributo de sangre al manglar, al trópico, al mar. Pero lucha en la cual hay ya el resplandor de ciertas virtudes heroicas y, ¡al fin!, solidaridad humana, atisbos de cooperación, simpatía»84. Perciò, di fronte ai simboli negativi, ne La isla virgen sta una lunga serie di esseri semplici, positivi, aperti al futuro, anche se su di essi si esercitano crudelmente le facoltà di male dei primi. La forza d'animo, l'istintiva moralità, la tenacia nel lavoro, il culto dell'«hombría» come manifestazione di coraggio individuale, sono qualità che si oppongono alla natura viscida, alla dubbia moralità, alle disposizioni anormali, al carattere abulico delle «fonti del male». La serie ininterrotta di frustrazioni denunciate nel romanzo, se attesta lo squilibrio del mondo, non esclude che tale squilibrio possa scomparire. Talvolta è un nuovo uomosimbolo che dà corpo alla speranza, il ribelle in cui s'incarnano, come in un sogno lungamente fruito, le aspirazioni degli oppressi. Ne La isla virgen tale figura -diffusa nel romanzo ispano-americano-, compare puntualmente: Pablo, il figlio di un «peón» ucciso con leggerezza da don Néstor per dimostrare la propria autorità, si dà alla macchia e vendica il padre in una serie di azioni cruente contro i «patrones». Verso i poveri il suo atteggiamento è di solidarietà, di generosità, e col tempo nella loro fantasia egli finisce per assumere categorie mitiche, incarnando la speranza in un futuro diverso:

«A todos les empieza a crecer la figura del pirata. Sus esperanza, sus deseos, sus dichas, sus dolores, se empiezan a prender en la acción de ese hombre. Lo empiezan a querer, como antaño quisieron a sus jefes tribales, acaso como quieren hoy a sus propios santos. Les surge la admiración en el alma y, poco a poco, fluye en sus labios. Sobre todo, en las horas de trabajo y de lucha, cuando el sudor les resbala por los músculos afiebrados; cuando el sol les lame las espaldas con sus lenguas de fuego»85.



Tra i protagonisti meglio caratterizzati de La isla virgen è il «Mayordomo», don Guayamabe. Il personaggio è stato avvicinato dal Rojas86 a don Goyo, del romanzo omonimo, per la vitalità intensa e l'energico rilievo; don Guayamabe è l'espressione della saggezza e della riflessione popolari condensatesi nel tempo, opposte all'emotività incontrollata; egli non rappresenta tanto l'atteggiamento «pasivo y paciente que se encoge de hombros ante la tormenta»87, quanto piuttosto la coscienza del suo mondo, in cui confluisce la «savia» di generazioni. Perciò don Guayamabe, riflessivo e taciturno, caratterizzato dal ricorrente «Ta bien, patrón...» -che significa non una sottomissione passiva, ma il ripudio di ogni responsabilità di fronte all'inesperienza del padrone e al rifiuto della saggezza-, si afferma figura dominante nel romanzo.

La letteratura indianista ci ha abituato a presenze losche di «mayordomos», ma don Guayamabe è una figura integra, originale, anche se in apertura di libro il lettore può essere tratto in inganno dal ricorrere di una voce «ronca y pesada» che sprona implacabile gli uomini al lavoro, ripetendo un'unica frase: «¡No hay que remolonear! ¡No hay que remolonear!»88. Gli stessi «peones» che se ne lamentano, ammirano in realtà il vecchio per la sua «hombría», perché «eso sí: nadie es más hombre que él, sobre todo con el machete. A no sé cuantos no más dizque se ha comido por "arriba"; Por eso es que tiene cara de bien corvinero!... »89. Ma tra i «peones» e il «Mayordomo» esiste anche un solido legame affettivo, che si fonda su qualità intensamente umane. La novità del personaggio sta nella preoccupazione che egli manifesta per le condizioni della sua gente, nella sensibilità di fronte ai loro dolori; perciò più contrasta con la sua la figura inconsistente e alienata di don Néstor.

Alla letteratura testimoniale La isla virgen reca un contributo originale attraverso una denuncia che si eleva al disopra della magia dell'ambiente. Le particolarità stilistiche sottolineate per Don Goyo si riconfermano in questo romanzo, nel quale osserviamo un più frequente uso del monologo interiore, onde meglio rendere la dimensione intima dei personaggi, la loro problematica. Aguilera Malta fa ricorso, nel libro, anche al richiamo visivo, affidando alla maiuscola il compito di sottolineare talune situazioni. Nell'esposizione della «preistoria» dei protagonisti egli si serve di nuovo della tecnica del «flash-back», per la quale i personaggi acquistano rilievo. L'esperienza del regista viene anche qui in aiuto del narratore, con esiti felici.




Il trionfo della rivoluzione

Dopo la pubblicazione de La isla virgen Demetrio Aguilera Malta abbandona per vario tempo la narrativa e si dedica intensamente al cinema e al teatro, come regista cinematografico e autore drammatico. La sua produzione in quest'ultimo campo non è vasta, ma comunque considerevole, ed esprime efficacemente, come ha notato Benjamín Carrión90, le inquietudini dello scrittore, oscillanti tra il drammatico e il grottesco, mantenendo «esa línea entre tragedia y comedia, en lo que solamente la vida es maestra». Le sue preferenze si manifestano per l'atto unico, con risultati particolarmente interessanti in Honorarios, tratto da un racconto di José de la Cuadra, Dientes blancos e El tigre, quest'ultimo drammatizzazione di un episodio de La isla virgen -don Guayamabe che uccide la fiera-; ma non mancano nel repertorio opere di maggior respiro, come Lázaro, Sangre Azul, La muerte es un gran negocio, El pirata fantasma, No bastan los átomos, Infierno negro91.

Alia narrativa Aguilera Malta torna dopo diversi anni, pubblicando nel 1960 Una cruz en la Sierra Maestra92 «novela-reportaje» scaturita da un problema pressante del mondo ispano-americano, la rivolta contro la dittatura, e da una realtà inaspettata, la vittoria castrista a Cuba. Si tratta di un «Episodio Americano» quanto mai attuale nel suo mondo, e benché il romanzo si presenti svincolato dal ciclo che inizierà successivamente e manchi dell'alone avventuroso e del clima leggendario che permeerà i libri successivi dedicati alla rievocazione della storia d'America93, Una cruz en la Sierra Maestra è una nuova immersione dell'autore nell'attualità storica del continente e in essa nel significato che egli annette all'anonimato eroico dei combattenti per la libertà. Infatti, il pericolo del «reportaje» avrebbe potuto essere considerevole come limitazione dell'opera nel tempo, ma Aguilera Malta ha saputo evitarlo; egli ha, del resto, affermato94 che nel romanzo, a mano a mano che passano i giorni, «lo reporteril» si va trasformando e si consolida il suo carattere di opera narrativa autentica.

Apparso a breve distanza dal trionfo di Castro, sembra logico chiedersi se nel nuovo libro Aguilera Malta abbia inteso celebrare il capo guerrigliero e i suoi principali collaboratori nella lotta contro la dittatura di Batista, vale a dire se il nuovo romanzo sia un'opera di circostanza. A Mauricio de la Selva che gli poneva la domanda, lo scrittore rispose che, a parte il fatto che nel libro i nomi di Castro e dei suoi amici non vengono fatti -il che non intaccava l'ammirazione personale per le loro figure- egli era pienamente cosciente delle esigenze d'invenzione di un'opera narrativa e, al tempo stesso, del significato della rivoluzione cubana, che trascende i limiti geografici e gli stessi suoi protagonisti: «Pienso que muchos aspectos pueden cambiar -affermò-, y pienso también en el pueblo, en los campesinos, en su heroicidad anónima incambiable; los nombres o los hombres como individuos aislados, son accidentales. Me interesa la Revolución Cubana como honestidad y como una etapa más del hombre latinoamericano en su lucha para conseguir mejores condiciones de vida política, social y económica»95.

La chiave del romanzo sta in questa dichiarazione. Con tutti i suoi protagonisti, Una cruz en la Sierra Maestra rappresenta un episodio esemplare della lotta che da secoli il popolo latino-americano va conducendo per la libertà e la giustizia. I nomi dei personaggi non hanno importanza, perché la storia si costruisce sull'apporto soprattutto degli anonimi. Nel libro troviamo una significativa pluralità di nazionalità dei personaggi -come avvenne, del resto, nella rivoluzione castrista e come era avvenuto un secolo e mezzo prima nell'edificazione dell'indipendenza-, al fine di porre in evidenza che il movimento di rivolta trova l'adesione unanime dei migliori, a qualsiasi paese appartengano. Non manca, perciò, neppure la presenza statunitense. Come Asturias, anche Aguilera Malta distingue tra la politica e la realtà umana degli Stati Uniti, e il giovane texano che lotta coi guerriglieri è la dimostrazione delle qualità incontaminate del popolo nordamericano. Aguilera Malta presenta l'uomo ricorrendo agli schemi consueti, ma sottolineando le note positive:

«Parecía un extraño muñeco gigante. Tenía los cabellos rubios y la barba ídem. Sus ojos eran de un azul bondadoso, lejano, soñador.

Como siempre encaraba las cosas con un sentido deportivo [...]»96



Uno dei personaggi principali del libro, «el Profesor», è invece spagnolo; la nazionalità dell'anziano combattente per la libertà offre ad Aguilera Malta il pretesto per stabilire una continuità della radice ispanica in terra d'America. Sul punto di morire, infatti, «el Profesor» ricorda la sua terra, la Spagna «eterna», come la definisce, e nell'evocazione confluiscono anche i simboli americani del passato e del presente, ad affermare una comunione spirituale pienamente realizzata. Si tratta di un passaggio che immette nel pensiero di Aguilera Malta circa l'«ispanità»: egli non ripudia, infatti, il passato da cui ebbe origine l'America attuale, lo intende, anzi, sempre operante e vede confluire nel presente anche l'apporto spirituale e culturale del mondo indigeno. Uno dei protagonisti del romanzo, Egidio Mondragón, rappresenta concretamente questa fusione positiva tra il sostrato indigeno e la cultura iberica. Mondragón è un giornalista messicano, emerso con le proprie forze da un mondo di miseria; recatosi a Cuba presso i guerriglieri di Castro in qualità di corrispondente di un foglio della capitale, da una curiosità epidermica iniziale si sente presto trascinato a partecipare alla lotta costatando la giustizia della causa e l'eroismo dei combattenti. In lui si sostituisce gradualmente all'orgoglio «azteca» la coscienza di rappresentare anche dal punto di vista razziale un momento nuovo del suo mondo.

La rettorica che presiede a questi passaggi può essere legittimata dall'attaccamento di Aguilera Malta a una visione «cosmica» della America, ma in particolare sembra procedere dalla sua condizione di esiliato, che nel Messico ha trovato una seconda patria. Questo spiegherebbe come Emilio Mondragón, non un cubano, sia il personaggio principale di Una cruz en la Sierra Maestra. L'affetto e la riconoscenza verso il Messico si manifestano più volte nel romanzo; nel paese che gli ha dato ospitalità lo scrittore vede realizzate le conquiste per le quali ancora sta lottando il resto del continente: «México es una especie de avanzada en la marcha de las conquistas del pueblo [...]»97. Di qui che di Emilio Mondragón egli faccia un uomo cosciente delle responsabilità e dei privilegi che, a lui messicano, competono nella lotta rivoluzionaria:

«Y lo que nació como una actitud un tanto deportiva, se fue transformando en un irrefrenable sentido de responsabilidad histórica, de cumplimiento de un deber que iba mucho más allá del horizonte de la Sierra Maestra, de Cuba... Principió a sentirse como un mexicano que continuara dentro de una trayectoria marcada, años antes, en las etapas fermentales de la revolución de su patria. Como si él -afortunado periodista del Anáhuac- estuviera participando en un nuevo capítulo de una misma historia. Una historia que debía escribirse con un extraño injerto hecho de tinta en sangre»98.



L'atteggiamento indicato verso il Messico non è nuovo nella letteratura ispano-americana del novecento: sono noti in proposito i sentimenti di Gabriela Mistral e di Pablo Neruda99, mentre lo stesso Miguel Ángel Asturias, che col Messico non ha avuto nulla a che fare, fa di un prete messicano, ne Los ojos de los enterrados, un personaggio di grande statura morale nella lotta contro la dittatura. Per il mondo latino-americano il Mesico ha assunto da tempo la categoria di simbolo della libertà, conquistata attraverso la rivoluzione popolare, e solo negli anni più recenti Octavio Paz oserà abbattere il mito, mettendo in dubbio seriamente la realtà delle conquiste cosiddette democratiche, di fronte ai sanguinosi avvenimenti delle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico100.

Entrando nella sostanza del romanzo osserviamo che lo scrittore si scosta, in esso, dagli schemi narrativi precedenti, adottando forme nuove di stile. Il libro si apre sull'ingresso trionfale dei «barbudos» -così li chiama- a La Habana; tra di loro si trova Emilio Mondragón che d'improvviso, nella gioia del trionfo, è ricondotto dalla memoria a scene meno liete del passato. Mentre tutto incomincia a sfumarglisi intorno, l'uomo ricorda il periodo della lotta e da questo punto prende avvio la narrazione, evocando episodi salienti del passato ancora recente, descrivendo la brutalità dei soldati governativi all'inseguimento di un gruppo di guerriglieri, tra i quali si trova lo stesso Mondragón.

Presentando i fatti Aguilera Malta non amplia il racconto alle vicissitudini di una guerriglia che si prolunga nel tempo. Ciò che Emilio Mondragón ricorda è, infatti, un momento decisivo della sua vita, quello più tragico in cui, ferito e inseguito dai soldati del sergente Padilla, riesce a salvarsi nascondendosi in una tomba. Le vicende evocate si svolgono tra l'imbrunire di un giorno imprecisato e l'alba del successivo, e nelle intenzioni del narratore questo periodo limitato di tempo ha una funzione «esemplare», compendia, cioè, una lunga serie di giorni e di notti in cui si moltiplicano il pericolo, l'insidia, il tradimento e l'eroismo. Una cruz en la Sierra Maestra non è, perciò, il «reportaje» della guerriglia castrista nella sua vicenda temporale, ma la proiezione della sua drammaticità e l'affermazione del suo significato su un piano umano e artistico al tempo stesso.

I personaggi del romanzo appaiono anch'essi «esemplari»; nei contadini angariati e trucidati barbaramente dai soldati del governo si compendia tutta la tragedia della gente dei campi, vittima sempre della violenza costituita. Emilio Mondragón e i suoi compagni di fede, con la loro condotta, il disprezzo del pericolo, il senso del dovere e dell'onore, acquistano un significato che va al di là dell'episodio del quale sono i protagonisti, e afferma la purezza della rivoluzione. Gli stessi soldati governativi, gente miserabile, condotta dall'indigenza, dalla paura e dall'ignoranza a combattere contro il proprio sangue, ma non privi di possibilità di riscatto, rappresentano una diffusa situazione latino-americana. Allorché il sergente Padilla, in un trasporto di violenza e di pazzia, uccide alcuni contadini bruciandone, poi, le misere case, un senso d'angoscia irreprimibile assale d'improvviso un soldato del suo gruppo, riscattandone la figura morale:

«Después, miró a los campesinos, que habían vuelto a adoptar una serenidad de piedra. Los miró con súbita angustia. Por un momento, hasta anheló decirles algo. Algo que no sabía bien qué era. Que apenas sentía como un hervor subiéndole hacia la boca. Algo. ¿Pedirles perdón? ¿Darles esperanza? ¿Justificarse ante ellos? ¿Decirles quién era? ¿Afirmarles que había estado ciego y que, recién, empezaba a ver la luz?

La voz se le ahogó en la garganta.

¿Para qué hablar?

No lo entenderían.

¿Cómo iban a entenderlo, si él mismo no sabía lo que le estaba ocurriendo?»101



Da parte sua, il sergente Padilla rappresenta efficacemente, nella sua brutalità, la violenza bestiale della dittatura; egli è uno dei tanti mostri che i sistemi dittatoriali partoriscono e di cui pullula il romanzo ispano-americano di denuncia. Aguilera Malta insiste sul personaggio, fino a dominare il romanzo con la sua presenza animale. All'inizio del libro, la descrizione del tipo presenta una sintesi convincente di caratteristiche bestiali:

«Se trataba de un verdadero escualo transportado a la Sierra Maestra.

Enorme, moreno, tenía unas mandíbulas recias, agresivas, casi pétreas. Sobre ellas se asentaba una dentadura equina, firme y grande. Los ojillos obscuros, menudos, se medio escondían entre los pómulos salientes. El cabello erizado le nacía casi desde las cejas. La nariz aplastada hacía pensar en un boxeador, después de una refriega»102.



Gli altri personaggi de Una cruz en la Sierra Maestra hanno il ruolo di semplici comparse. Trattati i temi fondamentali, il romanzo non offre motivi di altro interesse. Si ha l'impressione che il libro soffra di eccessiva schematicità, impressione che lo stesso autore ha riconosciuto possibile e giustificabile col fatto che il testo era stato scritto con l'intenzione di trarne un film103. Il copione traspare, infatti, chiaramente sotto la struttura del romanzo; le scene che fanno da sfondo alla vicenda principale presentano evidenti le caratteristiche della tecnica cinematografica, con grandi sequenze alternate, inquadrature d'ambiente, primi piani di personaggi. Il dialogo, soprattutto, scarno e drammatico succedersi di rapide battute, conferma l'origine del libro, successivamente riveduto e ristrutturato per la nuova funzione, ma conservante colonne di brevi notazioni, di termini isolati, pure impressioni, talvolta, o suggerimenti rapidi d'azione, strettamente al servizio di una realizzazione scenica superata spesso col solo cambio di tempi verbali, la sostituzione del presente indicativo col passato remoto104.

Anche se Una cruz en la Sierra Maestra non è un'opera di rilievo eccezionale, sia per la struttura che per la trama elementare, il libro presenta un suo valore non solamente quale documento storico, in quanto è uno dei primi romanzi scritti in America intorno alla rivoluzione castrista105, ma per l'efficacia di taluni episodi e per la caratterizzazione di alcuni personaggi. Con quest'opera Aguilera Malta affronta un momento vitale della storia americana, come già aveva fatto con Canal Zone, anche se con esiti non ugualmente notevoli sul piano artistico.




Un ritorno al clima magico

In trent'anni di attività letteraria, dal 1930 al 1960, pur attraverso periodi di abbandono della narrativa e con diversi risultati artistici, Demetrio Aguilera Malta ha dato il meglio della sua opera di romanziere e almeno tre libri destinati a permanere nella storia del romanzo ispano-americano del novecento: Don Goyo, Canal Zone, La isla virgen. In ognuna di queste opere egli ha molto precorso e molto insegnato, sia nell'ambito del «realismo magico», che in quello della letteratura più nettamente testimoniale. La critica non ha sempre sottolineato adeguatamente questo fatto e il nome di Aguilera Malta è sembrato per qualche tempo dimenticato106. Forse per questo, per riaffermare la propria condizione di precursore di un orientamento artistico che gode oggi di tanto favore tra critici e lettori, e per dimostrare le proprie capacità inventive in tale campo, lo scrittore equatoriano, lasciato da parte per il momento il ciclo degli «Episodios Americanos», è tornato all'antica maniera, ma con impeto nuovo, in un romanzo degno di particolare rilievo, Siete lunas y siete serpientes, pubblicato nel 1970107.

Il libro si riaggancia di proposito al passato; ne fa fede la dedica a Benjamin Carrión e soprattutto l'omaggio alle «voces fraternas», i compagni delle prime esperienze letterarie:

«Esta especie de saga sólo es mía en parte. En la medida que una voz perteneciente a un coro entona -en forma transitoria- un solo cuya melodía pudo vibrar, también, en otras voces fraternas: las de José de la Cuadra y Joaquín Gallegos Lara -ya pasajeros del viaje infinito-; y las de Alfredo Pareja-Díez-Canseco, Enrique Gil Gilbert, Ángel F. Rojas y Adalberto Ortiz, que aún se proyectan sobre el horizonte»108.



Ma Siete lunas y siete serpientes non è un semplice ritorno al passato, come potrebbe far supporre la dedica citata, bensì un apporto originale e nuovo al clima magico. Le disposizioni artistiche dalle quali sono scaturiti i momenti più rilevanti del periodo sin qui esaminato si mostrano potenziate nel nuovo romanzo, anche se lo sfondo permane, in sostanza, lo stesso: l'Ecuador con i suoi problemi, le numerose ingiustizie, l'iniquo sfruttamento dell'uomo. Le capacità fantastiche si esaltano; tutto si trasforma in magia, raggiungendo una profonda dimensione poetica109.

Il confine tra realtà e irrealtà si annulla per opera di una facoltà d'invenzione straordinaria, di una fantasia inesauribile. Le pratiche misteriose e demoniache del «brujo» Bulu-Bulu, la realtà inquietante dei Tin-Tines -enti fantastici che agitano ed esaltano i sogni delle donne, con l'ossessione del possesso-, trovano un loro logico posto nel clima allucinante, dominato da una natura lussureggiante e sensuale, in cui si compiono le metamorfosi più impensabili di esseri umani e di animali. Candelario Mariscal, figuro demoniaco, sospetto d'essere figlio del «Malo» o «del que sabemos» -i termini ricorrono ossessivamente lungo tutto il libro, ad accentuare, con la categoria diabolica del protagonista, il terrore superstizioso del Maligno- mostra una prodigiosa facoltà di trasformazione da uomo in animale. Egli domina come un incubo la fantasia degli abitanti di Santorontón, ma esercita su di essi anche un'inspiegabile attrazione. Il clima irreale che pervade la dura realtà del paese rende legittima ogni trasformazione e il lettore non si meraviglia di vedere Mariscal ora sotto sembianze umane, ora sotto quelle di un misterioso saurio per corteggiare la Chepa:

«[...] Casi nunca nadaba en forma humana. La mayoría de las veces aparecía caimán. Fue su primera metamorfosis. Caimán de tres varas de largo. Majestuosamente, nadaba. Con indiferencia. Bajaba por los esteros. Asomaba su coraza a flor de agua. Su larga trompa iba estriando la tersa superficie. Los peces huían. Sólo unos cuantos saurios lo seguían, a veces. Él continuaba orondo, sin hacerles caso [...]»110



Crisóstomo Chalena -asservitore del villaggio di Santorontón attraverso il monopolio dell'acqua piovana, ottenuto con l'astuzia e l'aiuto del demonio, prevedendo un lungo periodo di siccità- è accettato anch'esso senza difficoltà nei suoi legami col Maligno e nei particolari impensabili di una crudeltà fantasiosa, che lo induce a coltivare un rosaio piantandolo nella mano di un bimbo. Neppure sorprendono le note bestiali e ributtanti che caratterizzano il personaggio; le sue trasformazioni sono repentine e seguono il processo di decadimento morale dell'individuo:

«El hombre había cambiado de un día para otro. Los brazos y las piernas se le habían enmagrecido y encogido. El vientre caparazón de quelonio se le agitaba, fuelle vivo. Casi no podía abrir los ojos -ojillos, ojales, ojículos-. Lo que le seguía creciendo era la boca. ¿La cabeza se le estaba volviendo boca? [...]»111



Aguilera Malta insiste sui giochi di parola, deforma la prima immagine con ritocchi successivi che la rendono allucinante, rappresentando in tal modo la trasfigurazione inquietante del personaggio sulla via dell'animalità assoluta. La metamorfosi zoologica dell'uomo ne denuncia l'indegnità morale; il procedimento viene usato dallo scrittore con insistenza per raggiungere da un lato l'accentuazione di un clima irreale, dall'altro la distruzione morale del personaggio. Aguilera Malta ricorre con frequenza a un grottesco mai prima apparso nelle sue opere, onde meglio sottolineare la miseria della condizione umana. L'uomo si converte spesso in animale ancor prima di avere assunto sembianze irreali in tal senso, un animale che suscita ribrezzo. Si veda il passaggio che mostra Chalena di fronte alle donne del villaggio: esse hanno dovuto arrendersi alle sue voglie per ottenere alcune razioni dell'acqua che egli ha monopolizzato; ma il suo desiderio si rivela impotente. È un momento, nel libro, in cui la fusione tra drammatico e grottesco si realizza pienamente, nell'intento di rendere, con la perversione dell'uomo-animale, la condizione umiliata del mondo su cui Chalena domina:

«Los pobres trapos. Los humildes trapos. Tuvieron más vergüenza -entre ellas- de sus trapos. Miserables. Florecidos de remiendos y parches, que de sus propios cuerpos. Él las miraba con ojos de otra especie zoológica. O de un ser de otro mundo. Ellas quedaron, por fin, expuestas -eclosión de carne morena- a la óptica voracidad del impotente. Las hizo arrimar a la pared. Primero, frente a él. Después de espaldas, para que no lo vieran. A su vez, se desvistió. Sapo hinchado de sapos. Aborto monstruoso de un ventrópodo absurdo. Se acercó a ellas -una por una-. Las observó. Las olió. Quiso tocarlas. Se arrepintió. Hasta de intención era impotente. Tuvo un estremecimiento. Rio. Mico castrado. Se alejó. Tornó a vestirse. Dio unas palmaditas.

- A ponerse las ropas. Y a recibir el agua.

Tornó a reír. Mirándolas. Desmenuzándolas con los ojos. Con la nariz. Risa por fuera. Risa por dentro. Como si sus tripas rieran asomadas a su boca»112.



Con questa tecnica deformante Demetrio Aguilera Malta svuota di sostanza virile il personaggio, che è andato costruendo la sua potenza su un «itinerario gris» di fortune. La lotta che conducono il Padre Cándido -una sorta di guareschiano Don Camillo cacciato dalla sua parrocchia dalle autorità di Santorontón, coalizzate col Chalena per lo sfruttamento dei concittadini, e sostituito da un prete più giovane e meno incomodo-, il Cristo della croce -alleato del Padre Cándido, che lo ha salvato dall'incendio appiccato alla chiesa da Mariscal, e che ora, sempre al seguito del sacerdote, dialoga con lui, lo consiglia, lo rimprovera, lo aiuta con interventi meravigliosi- e il medico del villaggio, il dottor Juvencio -difensore della giustizia, quindi perseguitato dal Chalena e dalla sua gente-, è destinata a concludersi vittoriosamente. Gli animali stessi si coalizzano per sconfiggere i rappresentanti del male e la natura interviene anche essa per inagurare un mondo diverso.

Ad opera dei personaggi citati Santorontón, al culmine del marasma morale in cui sembrava perdersi definitivamente, diviene invece un luogo «donde las cosas empiezan a inventarse»113, vale a dire a nascere a nuova vita, secondo insegna il Cristo al Padre Cándido. Quella che Aguilera Malta proietta sul futuro del mondo equatoriano è, ancora una volta, una visione consolante; egli non dimentica di additare duramente, nel naufragio generale, la responsabilità della chiesa, non solo nella storia del passato, ma in quella del presente, e crede di scorgere finalmente in essa una raggiunta coscienza che promette frutti diversi per il futuro114.

Più della vicenda in sé, complicata in una serie incalzante di avventure, fantastiche, erotiche, di amori puri e impuri, al disopra di ogni significato polemico e di tutte le denunce, Siete lunas y siete serpientes si qualifica all'attenzione del critico e del lettore per lo evidente impegno di rinnovamento da parte dello scrittore, che si verifica innestandosi su un filone antico, quello della magia-testimonio. Nel romanzo colpisce in particolare, ancora una volta, la presenza erotica; essa erompe con una violenza inaspettata, pur essendo nota ben presente, come s'è visto, nei libri precedenti. Sorprende, ad esempio, lo sfrenato succedersi di scene sensuali, animate da un erotismo che si manifesta in figurazioni fantastiche e surreali: è il caso del grottesco combattimento fallico dei Tin-Tines, che la giovane Dominga vede avvicinarsi nel sonno, con un misto di terrore e di desiderio, per possederla115. Lungi dall'avere una funzione discriminante dal punto di vista morale, tuttavia, l'erotismo si presenta nel romanzo piuttosto come pretesto per l'esercizio della fantasia, o come mezzo per rendere la natura urente, densa, di un mondo nel quale bene e male non hanno nette delimitazioni per quanto riguarda il sesso.

Siete lunas y siete serpientes si impone anche per le qualità di stile, per il modo inedito di affrontare le cose, da un angolo visuale in cui esse perdono ogni loro contorno normale e concreto, sfociando nel surreale. Il linguaggio, di inusitato vigore, si articola in una serie di brevi frasi incalzanti, talvolta successione di singoli vocaboli, o sorta di scrittura automatica, di invenzioni di vocabolario con valore puramente di suono, giochi di parole insistiti, al servizio di una resa deformante che meglio rivela la dimensione interiore dei personaggi. Frasi alogiche rendono efficacemente, spesso, situazioni complicate, in cui la mente umana naufraga nel delirio: è il caso del vaneggiamento del dottor Juvencio, febbricitante, dove la successione di immagini e di colori, sulla prevalenza di un accattivante verde smeraldo, conclude in una serie di vocaboli che rappresentano il non-senso.

In alcune occasioni i giochi di parola, l'uso dei vocaboli liberati da ogni significato logico, è portato all'estremo, con effetti singolarmente validi sul piano della caratterizzazione o della condanna morale dei personaggi. Lo si può vedere a proposito sempre di Chalena, che Aguilera Malta ci presenta in preda all'incubo, poco prima della sua perdita definitiva:

«Sa-u.Po-cug.Sapo-ucug. Sapo verde. Sapo negro. Sapo amarillo. Sapo hinchado. No sapo chico-jambatu. Sapo grande-ucug. Tirado en su hamaca. Sin Muda meciendo. Sin el Tolón venteando. Sapo sapeando. No jambatuando. Ucugando. No jambata. Ucug. El sapo Chalena. Chalena no jambatu. Chalena ucug. ¿Rurruillag Chalena? ¿Chalena capón? ¿Rurruillag Ucug? ¿Sapo grande capón? Chalena capón. Auto capón. Por hundirse en sí mismo. Por hundir dentro de él sus partes viriles. Por filo-auto-atrofiarse. Por minimizar todo aquello que le aminorase su sed de poder. Su hambre de plata. Aunque nadie -ni él mismo- supiera que es capón. ¡Ay la capadura! ¡Ay rurru surcuscha chugri! Chalena hamaqueando. Sin Muda meciendo. El sapo ucugando. Sin Tolón venteando. ¡Ay la capadura! ¡Ay rurru surcushca chugri!»116



Altre volte il ricorso alla ripetizione e all'onomatopea serve allo scrittore per evocare un inquietante clima di «brujería». È il caso del «brujo» Bulu-Bulu, intento a pratiche propiziatorie in vista del matrimonio della figlia col demoniaco Candelario Mariscal:

«[...] Se vistió nuevamente con humo de los seis chiflones. Con la boca, siete. Siete chiflones. Después describió, con la punta encendida, remolino de luz. Alzó los brazos. Brazos tigre. Brazos negro y oro. Remeció el cuerpo. Negro y oro. Remeció las piernas. Negro y oro. El rabo. Negro y oro. Las fauces. Negro y oro. Tigre. Tigre negro y oro. De puñales dentarios. Rojo y blanco. Negro y oro. Rojo coral. Blanco espuma. Negro ébano. Y oro oro oro. Bramó. Se remecieron las hojas del árbol. Las hojas de todos los árboles. Y en las hojas los ojos. Hojas verdes ojos polícromos. Volvió a bramar el Tigre. Silencio. Silencio en las hojas y en los ojos. Negro y oro. Balumba. Bulu-Bulu. Bulu-Bulu en Balumba. Bulu-Bulu Tigre. El Tigre en Balumba. La minga en la boda. La boda en Balumba. Balumba-Balumba. Balumba-Balumba»117.



Il gioco delle allitterazioni, la successione di immagini, l'insistito cromatismo nero e oro, accentuano il mistero di un mondo pregno di possibilità imprevedibili e, ancora una volta, sottolineano l'essenza magica del tropico. Il «minúsculo rincón ecuatoriano» si trasforma, in Siete lunas y siete serpientes, come per effetto di una formula di magia -allusa dal titolo-, in un universo verde, trafitto da ori intensi, sullo sfondo di acque distese, di selve misteriose e parlanti, in cui creature umane, animali e vegetali si confondono, nelle sembianze e nelle funzioni. La capacità d'invenzione dello scrittore annulla le distinzioni temporali, proiettando in un'attualità permanente un universo fantastico che sottintende, ciò nonostante, una ben individuata e dura realtà. Le qualità di narratore, di «fabulador», meglio, di stilista, di inventore inesauribile del linguaggio, appaiono decisamente accentuate nel romanzo; in Siete lunas y siete serpientes si affermano la maturità di stile di Aguilera Malta, la sua forza creativa, la capacità di rinnovamento, in una proteica profusione di invenzione. Se lo scrittore intendeva rivendicare con il nuovo libro la propria presenza nell'ambito della più significativa e attuale corrente della narrativa ispano-americana, egli vi è riuscito con pieno successo118.

Ma tutta l'opera fin qui esaminata ha il significato di un momento essenziale nell'ambito della narrativa dell'America di lingua spagnola. Tra magia e realtà si svolge il nucleo più rilevante, a mio parere, dell'opera di Demetrio Aguilera Malta. In essa la realtà, nella sua condizione straziante, si impone sempre, anche quando l'elemento magico è più presente, confermando ancora una volta, per lo scrittore ispano-americano, l'impossibilità di una letteratura «desarraigada».





 
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