Selecciona una palabra y presiona la tecla d para obtener su definición.

L'ultimo Asturias

Giuseppe Bellini

- 1 -

Ogni qualvolta tratto di Miguel Ángel Asturias e della sua opera, mi è impossibile non richiamare la sua figura generosa, ricca di umanità. Una lunga serie di episodi ne ha posto in rilievo la bontà, la gioiosità del carattere, ma anche la profonda riflessività, la problematica intensa, e insieme la rigorosa, non disumana, moralità. Ho più volte sottolineato nei miei scritti su Asturias come l'avanzare dell'età renda più difficile la sopportazione dell'indigenza e dell'esilio, di fronte a ripetute, allettanti offerte1. Alcuni hanno insinuato che l'accettazione dell'Ambasciata di Parigi da parte dello scrittore sia stata una evidente prova di claudicazione. Abbiamo dementi probanti del contrario, di un tentativo generoso di Asturias per cambiare, finalmente, il destino del suo paese, anche col proprio prestigio internazionale2. Qui lo raggiunge nel 1967 la notizia che l'Accademia Svedese gli ha assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Con sincera modestia, quella che sempre gli abbiamo conosciuta, egli interpreta la distinzione conferitagli come un riconoscimento dato a tutta la letteratura latino-americana, tanto più che egli appartiene, dichiara3, a un piccolo paese, sprovvisto di arsenali ricolmi di bombe atomiche. Senza dubbio Asturias interpretava il Premio come un coronamento della sua lunga fatica di diffusore della letteratura latino-americana; fatica che scarsi segni di gratitudine gli aveva dato da parte degli stessi che ne avevano tratto vantaggio4. Forse sull'onda di un'intima amarezza una sera del marzo 1970, dopo aver conversato sul tema, scriveva una dedica, richiamando «el extremo de este instante fugaz que retenemos con palabras»5. Dedica da me ripresa quale epigrafe per un saggio in sua memoria, quando Asturias scomparve, nel 19746. Da alcuni mesi lo scrittore era sofferente. In una lettera del giugno 1973 parlava di un'operazione e tra note serie e ritorni a toni scanzonati concludeva: «En fin, esa es la vida...»7. Era un personaggio eccezionale, un amico generoso di affetti, pur nella naturale riservatezza.

- 2 -

Ciò che colpisce il cultore di letteratura latinoamericana, a distanza di poco più di un decennio dalla scomparsa di artisti come Neruda e Asturias, è l'attenuarsi della loro diffusione editoriale8. Benché Neruda rimanga un Padre fondatore della poesia ispanoamericana, ad Asturias non è facilmente riconosciuto dai contemporanei tale ruolo nella narrativa, e ciò per motivi complessi, ma soprattutto per il gioco di rivalità che la sua ombra paterna sollevò tra i giovani scrittori, molti dei quali egli stesso aveva scoperto e contribuito a far conoscere. L'accesa politicizzazione degli scrittori latino-americani e il generico «izquierdismo», di sfumature indigeno-cattoliche, di Asturias, determinarono incomprensioni e diffidenze9, acuite dall'inevitabile apporto dell'invidia e dell'odio, soprattutto dopo il riconoscimento Nobel e l'affermarsi di taluni autori, come García Márquez, col quale Asturias si era invischiato in una sterile polemica10. Come era avvenuto nel passato ancora immediato con Rómulo Gallegos11 -che invece Asturias aveva sempre riconosciuto suo maestro e fonte della moderna narrativa ispano-americana-, si cercò di fargli il vuoto intorno, escludendolo dalle espressioni della «nueva novela», che al contrario -e più volte l'ho sottolineato12- Asturias precorse, a partire dal suo primo romanzo, El Señor Presidente13, ma affermò soprattutto in Hombres de maíz14, nell'avvento di quel «realismo mágico» alla cui insegna si espresse tutta la sua narrativa, pur di segno così generosamente impegnato.

Il tempo sta comunque facendo giustizia. Nella storia della narrativa latino-americana Miguel Ángel Asturias è punto di inevitabile riferimento, ora che molti nomi sono sbiaditi, o del tutto caduti in dimenticanza, mentre i «nuovi grandi», destinati, sembrava, ad eclissare definitivamente i padri, mostrano sempre più corto il respiro. Quanto più equanimemente Asturias aveva sottolineato l'apporto comune al grande fiume della narrativa, nel quale confluivano fiumi grandi e fiumi piccoli e ogni autore assumeva l'eredità di quanti lo avevano preceduto e la continuava15, affermando, s'intende, la propria originalità.

Detto questo, vale la pena di richiamare l'attenzione sul fatto che la critica favorevole ad Asturias ha privilegiato, nel suo apprezzamento, soprattutto alcune opere: le Leyendas de Guatemala, El Señor Presidente, dopo un iniziale disorientamento16, Hombres de maíz, certo un capolavoro della narrativa latino-americana, e nella «trilogia bananera», assai discussa, Viento fuerte e Los ojos de los enterrados. Un periodo creativo che va, cioè, dal 1923 al 1960, anno di apparizione dell'ultimo romanzo citato. Ma Asturias muore nel 1974, come si è detto, e la sua attività di scrittore continua intensa dopo il 1960, dando opere di particolare rilevanza, forse il meglio della sua narrativa, come del resto darà il meglio e più significativo della sua produzione poetica in quel singolare libro che è Clarivigilia primaveral17, di pro fonda immersione nel clima del mondo precolombiano della Mesoamerica.

Per quanto attiene specificamente alla narrativa, sono gli anni in cui Asturias sente nuovamente profondo il richiamo delle origini. La sua vena creativa, senza mai abdicare alla coscienza della responsabilità dello scrittore, torna al mondo mitico delle Leyendas de Guatemala, sempre intimamente operante. Il lungo esilio acuiva, certamente, nell'uomo, la nostalgia per un paese che, appunto perché non raggiungibile, diveniva sempre più mitico e intimo. Sono gli anni in cui lo scrittore da alle stampe El Alhajadito (1961), Mulata de tal (1963), le leggende de El espejo de Lida Sal (1967), Maladrón (1969) e, ultimo romanzo pubblicato in vita, Viernes de dolores (1972).

Non mi soffermerò su tutti questi libri; isolerbò tra essi i romanzi Mulata de tal, Maladrón e Viernes de dolores, per loro particolari valori. Varrà, comunque, la pena di richiamare l'attenzione anche su altri testi, su El Alhajadito, ad esempio, che, pur di epoca remota e nuovamente in gran parte elaboraco negli anni immediatamente precedenti la sua nuova pubblicazione, può considerarsi, in sostanza, una sorta di avvio a Mulata de tal, proprio per la parte che vi hanno la fantasia e la nota accentuatamente magica, ma anche la dimensione intima, in parte autobiografica. Del resto, magicamente attrattivo è il mondo delle leggende di El espejo de Lida Sal, che nel contempo afferma le «regioni dell'anima», quei «paisajes dormidos», illuminati da una luce «de encantamiento y esplendor», celebrazione, attraverso esaltanti cromatismi, di un paese divenuto ragione di vita, il Guatemala:

«País verde. País de los árboles verdes. Valles, colmas, selvas, volcanes, lagos verdes, verdes, bajo el cielo azul sin una mancha. Y todas las combinaciones de los colores florales, frutales y pajareros en el enjambre de las anilinas. Memoria del temblor de la luz. Anexiones de agua y cielo, cielo y tierra. Anexiones. Modificaciones. Hasta el infinito dorado por el sol. [...]»18.


Nel clima magico il reale sfuma i contorni nell'irreale, per affermare sempre una lezione profondamente etica, necessaria a sostenere la speranza, nell'individuazione di un mondo di valori puri che il male insidia con vittorie transitorie.

- 3 -

Tra i romanzi dell'ultima epoca di Asturias, periodo che va, come si è visto, dal 1961 alla sua morte, Mulata de tal è certamente il più rilevante, e senza dubbio una delle opere di maggior vigore creativo della narrativa latino-americana, per quante riserve abbiano avanzato alcuni dei pochi critici che ne hanno trattato19. E' un dilagare della fantasia, in un «retablo» barocco grandioso del mondo indio-ispanico del Guatemala, un delirio creativo d'inesauribile novità. Tra creature divine e demoniache, tra nani e «gigantones», in un mondo deforme e suggestivo, dominato da un'accesa lotta tra demoni terrigeni e il demonio cristiano, prende corpo una sottile filosofia della Conquista, che finisce per proclamare l'eccellenza del mondo aborigeno, nella cui purezza primitiva il bianco cattolico ha introdotto la nozione del male. la mulatta, meravigliosa e indomabile, protagonista del romanzo, è creatura demoniaca, con carattere di simbolo: essa rappresenta la tentazione del maligno, ma la sua funzione, quale espressione dei demoni terrigeni, è, in sostanza, moralizzatrice. Celestino Yumí, che vende la propria moglie al diavolo per ottenere la mulatta-demonio e divenire ricco, va incontro inevitabilmente alla propria punizione e rovina.

Il romanzo è certamente fondato su un'affermazione di adesione al mondo guatemalteco, del quale lo scrittore rivendica, come ebbe ad affermare20, le tradizioni in via di scomparire di fronte alla civiltà meccanizzata, ma è nel pro fondo al servizio di un'affermazione d'ordine morale sul tema della ricchezza, ricorrente nell'opera di Asturias, la cui ascendenza sta, oltre che nell'intimo senso etico, nella lettura di Quevedo21. Perciò lo scrittore denuncia in Celestino Yumí una sorta di Faust degradato, per l'abiezione con cui sacrifica ogni valore al fine di ottenere una ricchezza per se stessa sterile, al servizio solamente di un meschino desiderio di rivincita sul ricco compare Teo-Timoteo-Teo: «¡Entonces, sí se jodió el compadre!»22. Perciò Celestino Yumí sarà «ricco povero», non di quelli che spendono a piene mani. Comunque, il danaro gli permetterà di comperare ogni cosa. Il demonio terrigeno Tazol, dio del maíz, fa un'enumerazione minuziosa del potere del danaro, di toni quevedeschi, concludendo:

«[...] cuando ya seas rico, pues entonces no habrá juez, policía ni magistrado que imagine que fuiste tú [a far scomparire la moglie], aunque te vieran con la tea en la mano, porque luego vendrán a tu casa a pedirte dinero prestado, que les acordarás con largueza»23.


Ma per raggiungere la ricchezza che cosa non fa l'uomo. Con frenetico ritmo verbale è sempre il demonio terrigeno che lo dichiara:

«Y qué no hace uno por ser rico: delinque, mata, asalta, roba, todo lo que el trabajo no da, con tal de tener buenas tierras, buen ganado, caballos de pinta, gallos de pelea y armas de lo mejor, todo para disfrutarlo con quién, con la mujer»24.


Sulla meschina statura di Celestino Yumí, ironicamente insistita, diffonde il suo «aire luminoso» la cervantina «autora de los días»25. L'immagine, raffinatamente barocca, sottolinea ancor più la natura minima del personaggio, non destinato a godere, s'intende, del «rosicler de rosas» che la citata aurora lascia cadere sulle acque dell'«anchuroso río»26 che corre a piè del monte, e neppure dell'aria luminosa «que ya iluminaba de naranja las extensiones»27. Tazol tenta il poveretto mostrandogli dall'alto di un albero gigantesco tutte le ricchezze che gli darà -richiamo evidente alle tentazioni di Gesú-, ma Celestino finirà per perdere tutto, quando lo assalirà la nostalgia, di fronte agli assalti bestiali della mulatta, della compagna venduta. Se non lo trattenesse Tazol, Yumí si impiccherebbe. Alla fine egli si libera della mulatta e si riprende la moglie, ora trasformata in nana -diverrà poi gigantesca-; i piani della realtà si confondono sempre più con l'irrealtà in un clima di magia. La salvezza dei due personaggi sta nell'evasione «cabalística a través del 9 de los destinos»28: il potere magico del numero29 restituisce Celestino e la moglie alla libertà, e al loro villaggio, adesso irriconoscibile, e dove nessuno li riconosce. Senza più desideri, i due personaggi apprezzano ora solo il dono della vita: «la buena vida es la vida y nada más, no hay vida mala, porque la vida en sí es lo mejor que tenemos»30.

Una successiva trasformazione renderà Celestino e la moglie «brujos». Gli inquietanti richiami del mondo magico guatemalteco sono insistenti. Nell'ultima avventura, a Tierrapaulita, Asturias afferma la superiorità morale del mondo indio, sull'allucinante panorama, contorto di uomini e di cose, popolato di «brujos» e di giganti, dilaniato dalle accanite lotte tra demoni terrigeni e il demonio cristiano, entrato con la con quista spagnola in America e stimolante all'«engendro» al fine di aver anime per il suo inferno. Sede della contesa, Tierrapaulita è una nuova città infernale, una e molteplice per le ricorrenti distruzioni e piani invisibili che salgono dal mare al cielo, «por terrenos altos, más altos, piso sobre piso»31, architettura inquietante come quella del Bosco nel Jardín de las delicias. Città del peccato, è alla fine distrutta da una luce terribile, una sorta di distruzione atomica, e un profondo silenzio finale la copre:

«[...] el silencio también callaba entre los cielos y la tierra, mientras iba pintando el día cubierto de plumas de fuego inmensas, sobre las que en estrías aún más luminosas corrían regueros de plumitas de colores que se amontonaban empujadas por quién sabe qué vientos, hacia sitios en que estuvo Tierrapaulita, y está, sólo que soterrada»32.


In Mulata de tal la facoltà di creazione fantastica di Asturias si esalta, in una fusione perfetta di magia, mito e realtà, creando un mondo definito esattamente dallo stesso scrittore «choque de fuerzas ciegas, de destinos sin ojos, de seres que no se ven y se los siente batallar por su empeño de destruirse, con una especie de gozo, de gozo heroico, de aniquilación total»33. Il lettore si sente soggiogato e in breve l'incoerenza apparente gli diviene coerenza perfetta; egli si abbandona felice al gioco di una fantasia che non ha confini, dove il meraviglioso regna sovrano. Un gigantesco sforzo inventivo, anche dal punto di vista lingüistico, che da la misura di un grande, inarrivabile artista, forgiatore possente dell'idioma, come a suo tempo lo fu Quevedo, ma con invenzioni più vive e accattivanti.

- 4 -

Di «passione guatemalteca» trabocca Maladrón, libro che reca come sottotitolo significativo «Epopeya de los Andes Verdes»34. In questo romanzo Asturias risuscita un clima magico, affermando il valore di una ben individuata regione spirituale, quella del mondo precolombiano. Il peso della realtà appare sempre più sfumato; domina l'invenzione fantastica, che tuttavia ha sempre presente l'inevitabile incidenza sull'attualità americana. Il tempo dell'azione è quello del crollo del mondo indigeno maya-quiché e della conquista spagnola, ma il processo è alle conseguenze di tale fatto. Se nelle Leyendas de Guatemala Asturias aveva inteso ricreare il mondo composito indo-ispanico del suo paese e in Mulata de tal, accentuando i caratteri barocchi e magici di Hombres de maíz, fissare le peculiarità e i conflitti di un mondo sul punto di scomparire, in Maladrón risuscita il clima di tragedia nel quale il paradiso-mondo indigeno soccombe, nello scontro con gli invasori castigliani; ma anche pone in rilievo il potere d'attrazione dell'elemento locale, dalla donna al paesaggio, che induce l'europeo a inaugurare col meticciato l'unica soluzione possibile del conflitto tra i due mondi e a compiere imprese sorprendenti, in un ambiente dove tutto è meraviglioso, ma colmo di insidie.

Le intenzioni di Asturias in Maladrón sono chiare. Il «País verde» di El espejo de Lida Sal è visto, qui, non solo come luogo del meraviglioso, ma col rimpianto e la nota di sofferta tragedia del paradiso perduto, distrutto nella sua incontaminata purezza dall'arrivo di «seres de injuria», i conquistatori spagnoli, venuti da «otro planeta» a sconvolgere l'ordine di un «mundo de golosinas», popolato di genti tranquille, di «venados e di «pavos azules»35. Un mondo mitico e magico, situato in un tempo di per sé leggendario, con tutti i richiami più intimi del bene scomparso.

Se di fronte ai conquistatori è il mondo indigeno a soccombere, è poi il mondo europeo ad esperimentare la sua sconfitta. Davanti al meraviglioso tutto cede. Hanno inizio così le allucinate imprese dei nuovi venuti, come la ricerca della congiunzione dcgli oceani. Essi passano attraverso paesaggi di estrema suggestione. Asturias, in un «alarde» lingüistico di grande rilievo, ricostruisce originalmente la lingua stessa dei cronisti, per esprimere il momento critico in cui gli spagnoli tentano di porre nome alle cose, richiamandosi a ciò che conoscono, ma senza risultato soddisfacente. Inserito nella prosa di Asturias, di segno così particolarmente evocativo e poetico, il castigliano del secolo XVI si rivela suggestivo, ravvivato com'è dall'apporto inventivo dello scrittore, che lo libera da ogni sapore archeologico.

Asturias stesso ha sottolineato il valore particolare del romanzo dal punto di vista linguistico, dichiarando apertamente l'abuso idiomatico che commette versando nelle pagine di Maladrón tutto lo spagnolo che conosce, arricchito di arcaismi, di indigenismi, in una programmatica reazione all'impoverimento della lingua, che egli vedeva in auge, in America, nella narrativa del momento. Perció l'«uso y abuso del idioma con toda la mano y toda la manga larga»36, arricchito dalla lezione dei grandi prosatori ispanici, di Quevedo, ma anche di Cervantes, degli scrittori del «Siglo de Oro», ma anche della «Generazione del '98», in particolare di Baroja «que nos da -dichiara Asturias37- esa idea anárquica de la lengua». Ma al mondo indigeno lo scrittore farisalire, fondamentalmente, il suo barocchismo -«si yo tengo algún barroco es por esa forma indígena»38- e talune peculiarità stilistiche, che si concretano nel parallelismo, nella moltiplicazione sillabica, nell'allusione, in quel dire e non dire le cose: «nada dice directamente el indígena, sino a través de subterfugios»39; per non parlare del «realismo mágico», narrazione che si svolge su due piani, del reale e dell'irreale: egli stesso avverte che l'indigeno parlando dell'irreale «da tal cantidad de detalles de su sueño, de su alucinación, que todos esos detalles convergen para hacer más real el sueño y la alucinación que la realidad misma»40. E aggiunge: «no puede hablarse de este realismo mágico sin pensar en la mentalidad primitiva del indio, en su manera de apreciar las cosas de la naturaleza y sus profundas creencias ancestrales»41.

«¡Fábula verdad son estas Indias, islas y tierra firme en que estamos!»42, esclama uno dei protagonisti ispanici dell'avventura. Un intenso clima poetico richiama l'atmosfera meravigliosa del Popol-Vuh, con originalità di cromatismi delicati, che trasformano il reale in magia, affermando l'unicità del mondo americano:

«[...] clima de pluma de paloma entre palmeras con sombra de pelo de mujer, brisa marina bajo los abanicos de los cocales y a la mano, por el suelo, los cocos, agua y carne de hostia, y las pifias, oro dulce, oro con perfume, y las anonas, plata de sueño, y los plátanos rosados de carne de niño vegetal, y los mangos confitados en trementina, y la caña de azúcar, y los zapotes rojos, y las granadillas, y las tunas, y los nances, y las cerezas, y los membrillos, y los caimitos, y las guayabas, los duraznos, los matasanos y las piñuelas»43


La trasfigurazione del recale ha luogo attraverso una serie di metafore con cui Asturias sottolinca le qualità eccezionali di ogni frutto, un succedersi di aggettivi che sollecitano sensazioni di colore, di olfatto e di gusto, o semplicemente attraverso l'enumerazione. Il «mundo de golosina»44 è totalmente indifeso di fronte all'ingiuria della gente venuta da fuori. L'ordine perfetto e primitivo di valori positivi è distrutto dalla violenza; il paradiso soccombe all'assalto dell'inferno, perché «¡De otro planeta llegaron por mar seres de injuria!»45.

- 5 -

Nell'ultimo romanzo che Asturias pubblica in vita, Viernes de dolores46, egli ritorna all'ambiente delle lotte giovanili, vale a dire al suo periodo universitario, in sostanza a quel clima che aveva dato origine a El Señor Presidente. La gestazione dell'opera dovette essere lunga, tante sono le dichiarazioni relative a un nuovo libro, del quale varia continuamente il progetto d'intitolazione47 e che quindi confonde il lettore, che ben sa che alla sua morte lo scrittore lasciò un'opera incompiuta, ora dispersa, sembra, tra diversi eredi. Viernes de dolores richiama di proposito la «Huelga de Dolores» del 1922, momento carnevalesco in cui gli studenti davano libero sfogo alla loro ansia dissacratrice, alla satira politica, in pieno clima dittatoriale, ma per concludere nella tristezza, o come afferma Asturias: «a más gracias y chistes de los estudiantes, más desgracias y tristezas para la patria»48.

Il senso tragico di queste parole si afferma in tutto il romanzo, che abbonda, comunque, anche di note umoristiche, nel racconto di una storia sentimentale destinata in partenza al fallimento, ma rilevando soprattutto la situazione disperata di un paese oppresso dalla dittatura, privato della parola dalla coalizione delle classi dominanti, in un regime di estrema corruzione. Non e senza motivo il grandioso «pórtico» delle pagine iniziali, poi richiamate all'interno della vicenda su cui è imbastito il libro: un inferno sulla terra, allusione trasparente all'inferno reale nel quale vive il popolo guatemalteco.

Viernes de dolores incide nuovamente sul folclore, su usi e costumi, su quadri d'ambiente, su personaggi profondamente caratterizzati nella loro nota curiosa, senza che mai scompaia l'ombra terrificante del cimitero, posto alla periferia della capitale, retto da un personaggio infernale, Tenazón, che ad ogni defunto che entra ripete macabramente: «¡Más combustible [...] adelante [...] aquí la muerte es natural como la vida [...]!»49. Ed è a questo cupo universo che va in particolare l'attenzione, il ricordo costante del lettore. Lo spettacolo della morte domina quello della vita, anzi, mostra come la vita altro non sia che illusione. Il quartiere del cimitero presenta un'umanità, transeunte o stabile, totalmente degradata. Immenso scenario funebre, in esso Asturias tende a cogliere con tenerissima partecipazione la disgrazia della condizione umana. Un raggelante silenzio accentua il peso della sventura. L'«eterna brevedad del tiempo»50 è misura dell'inconsistenza dell'uomo. Il muro del cimitero, che rinserra defunti, mentre al suo esterno vengono fucilati ricorrentemente prigionieri politici, finisce per costituire un punto d'arrivo obbligatorio e al tempo stesso un invito. Il guardiano del luogo funebre, Tenazón, è egli stesso un lubrico demonio. Sepulcri è l'artista che dà l'ultima mano all'opera del tempo e della morte.

Entrato nel luogo della morte l'uomo si muove disorientato, indeciso, quando vi ha posto piede, tra il «marcharse a la ciudad en seguida -tranvías, carruajes, automóviles de alquiler-, o quedarse allí [...]»51. Un inferno ammiccante, di colori oscuri, di scardinati concetti, sta di fronte al cimitero: un composito artificio dello sfogo al dolore e della consolazione. Sono le «fondas», dove naufraga un'umanità affranta, che cerca consolazione nell'alcool, come avviene nelle società rurali, tentando di attenuare in esso il senso disperato della propria sventura.

Tra allusioni a grotteschi festeggiamenti per il proprio santo da parte di Tenazón, che nell'occasione libera dal cimitero palloncini colorati, a svergognati adescamenti e tentativi erotici entro le terribili mura, Asturias centra la sua attenzione sul mondo minimo che popola i fronteggianti «luoghi del piacere», dove un'umanità distrutta, abbrutita dall'alcool, i «borrachos de plantel»52, hanno perso ormai la nozione di se stessi e della realtà, immersi in un «sueño despierto, sueño de antesala, en que esperaban no se sabía qué»53. Salvo un «retador» erotico che, cacciato dall'osteria de «La Flor de un Día», si rifugia in quella de «Los Siete Mares», ne esce con la sensazione di «ir nadando», entra in quella de «Las Movidas de Cupido», dove tenta un rapido «manoseo» sotto la gonna della «Pichona», viene cacciato e fugge pestando una zampa a una «chucha» che tenta di morderlo e scappa guaendo, si lascia cadere infine nella «fonda» de «Los Angelitos», dove si piangono i «tiernos» bailando, per bagnargli le ali, «al compás de la música valseada que molía un fonógrafo de entrañas y trompetón de pico de ave marina»54.

Il grottesco, come si vede, sfocia improvvisamente nella tenerezza, ma per finire nello humor nero, nella descrizione dei «water-closed» instaliati in «Los Angelitos», bianca la tazza, e la tavola «como salvavidas negro para traseros de personas de luto»55, aperti alla vista di tutti, ragione per la quale si affittano ai clienti maschere, delicatezza della casa, ma anche «osadía comercial», in quanto motivo di ulteriore attrazione per la clientela, tra la quale picarescamente Asturias segnala «la curiosidad militar y eclesiástica de curas y militares que desde la calle, a sabiendas del secreto, se detenían a fisguear»56.

Il grottesco invade vigorosamente il campo dell'erotico, un erotismo macabro, se i muri degli «excusados» si presentano coperti di disegni propri di «locos sexuales sueltos, delirantes», che rappresentavano «más allá del amor carnal, en el reino del amor óseo, esqueletos y esqueletos poseyéndose», baci di ingranaggi e di denti, e su tutto un allucinante membro virile «que recorría las paredes, desplegando en su avanzar irrefrenable, su nombre 'el filarmónico', escrito con letra de carta, y sexos de mujeres pintados del suelo al techo volando como mariposas, entre cortinas de telarañas»57.

Asturias s'intrattiene compiaciuto, divertendosi visibilmente, su queste note ibride, tra esse l'identificazione del dolore attraverso il suono dei defecanti, una «pedorrea» che trascina a uno spasmodico gioco d'invenzione lingüistica e d'onomatopee58. Testimoni freddi, raggelanti, i personaggi deputati al rito: cocchieri di carri funebri, «enjutos, patilludos, bebedores de cerveza negra para no desuniformarse y devoradores de panes con mortadela, que así la muerte no faltaba en sus alimentos»59, seppellitori, «de quienes se decía que rezaban al levantarse: 'El muerto nuestro de cada día dádnoslo hoy'»60, vecchi muratori «mostachudos»61, grandi sarti del «vestido de madera a la medida»62, tutta, insomma, la «funérea aristocracia hedionda a caballeriza», il «proletariado sepulcral con olor a tierra de huesos»63, presentati in un allucinante quadro finale, frequentatori numerosi de «Las Movidas de Cupido», indifferenti al dolore e alla morte:

«Los cocheros, postillones, palafreneros y maceros de pompas fúnebres, enlatados, como conservas de la muerte, en sus cuellos, pecheras y puños de almidón y pez, charolados, emplumados, espejeantes, brindaban, entre nubes de humo de tabaco, con los sepultureros rojizos de polvo de ladrillo de tumba, marmoleados de cal, con los tipógrafos de esquelas mortuorias, con los carpinteros de ataúdes y con todo aquel que algo representaba en la próspera industria funeraria. Caían de paso a tomarse su traguito, sólo de paso, curas de responso y hoyo, notarios de última voluntad, médicos de acta de defunción, oradores fúnebres de voz temblona, periodistas de necrologías, [...]»64.


L'infernale rappresentazione domina la vicenda di Viernes de dolores, si pone come pietra tombale su un mondo in cui, con le parole di Asturias, «ya se juntaron el polvo y el estiércol»65.

Grande inventore di situazioni, dominatore dell'idioma, originale in ogni sua espressione, Miguel Ángel Asturias si afferma, nei romanzi esaminati, nella sua piena maturità e grandezza di scrittore, originale e Unico, impossibile da imitare, destinato a rimanere tra i grandi maestri della narrativa del Novecento.