«La danza inmóvil»: continuità e novità nell'ultima opera narrativa di manuel scorza
Giuseppe Bellini
1. Nella sciagura aerea avvenuta, in fase di atterraggio, all'aeroporto di Madrid (Barajas) il 27 novembre 1983, perdeva la vita, con altri scrittori latinoamericani -tra essi il critico uruguaiano Ángel Rama, sua moglie Marta Traba, il romanziere messicano Jorge Ibergüengoitia-, anche il peruviano Manuel Scorza, la cui opera di narratore ha avuto grande diffusione, anche in Italia, dove è stata integralmente tradotta1.
Scorza aveva fatto la sua comparsa nell'ambito della narrativa latinoamericana, dopo iniziali esercizi poetici2, nel 1970 quando diede alle stampe il primo romanzo, Redobles por Rancas, inizio di un lungo ciclo epico denominato «La guerra silenciosa» e che doveva comprendere Garabombo, el invisible (1972), El jinete insomne (1976), Cantar de Agapito Robles (1976), La tumba del relámpago (1978). Nel 1983 lo scrittore peruviano pubblicava La danza inmóvil3, subito tradotto, anche in italiano4. Nel risvolto di copertina dell'edizione originale spagnola è annunciato un altro romanzo, al quale lo scrittore attendeva, dal Perú dove era tornato a stabilirsi, dopo aver risieduto in Francia, come lettore alla École Normale Superieure di Saint Cloud; il titolo pare dovesse essere El verdadero descubrimiento de Europa e certamente poteva essere interessante come probabile continuazione della novità di stile e di struttura inaugurati ne La danza inmóvil, che, comunque, al momento, rimane la sua ultima opera narrativa conosciuta.
Ancora un dato: studente nelle università di San Marcos di Lima e nell'Autónoma di México, Scorza aveva partecipato attivamente alle lotte sociali peruviane e conobbe la prigione e l'esilio. Il dato vale a spiegare meglio il carattere partecipativo del narratore alle vicende narrate nei suoi romanzi, quelli del ciclo de «La guerra silenciosa», per i quali da un lato Scorza aveva seguito la corrente indianista, di grande tradizione nella narrativa peruviana, dove aveva dato scrittori come Ciro Alegría, José María Argüedas, quest'ultimo ritenuto, con Mario Vargas Llosa, una delle maggiori espressioni della narrativa latinoamericana contemporanea. La partecipazione di Scorza alla condizione emarginata, ingiustamente vessata, dell'indio delle Ande peruviane dà ai suoi romanzi un vigore particolare, ma la sua originalità si manifesta nell'amalgama felice tra realtà e fantasia, una sorta di nebuloso fantastico che fa ancor più pregnante e convincente la denuncia, sottolineando, al tempo stesso, la peculiarità geografica cui si riferisce. I suoi libri non sono documenti ma testi di riuscita creazione artistica. Si leggono sempre con interesse e ciò spiega il successo avuto, la diffusione nelle principali lingue: la pagina è sempre tersa, anche quando vi dominano passioni dense. L'elaborazione fantastica, magica, la presenza del mito, tutto serve a creare un mondo tra il reale e l'irreale che, lungi dal sembrare inventato, rende la peculiarità di un vivere che si impone all'attenzione del lettore per la sua nequizia, sottolineato ancor più dalla presenza, anch'essa magica, di una natura che farebbe piuttosto prevedere l'instaurazione di un ben diverso modo di relazioni umane, lontano dal prepotere.
È in questo modo di narrare che si affermano personaggi di segno difficilmente cancellabile nella memoria del lettore: Garabombo, don Raimundo Herrera, il «jinete insomne», incarnazione del mito, testimone del tempo e della violenza, animatore instancabile dell'opposizione all'arbitrio; Agapito Robles, irriducibile oppositore del tristo Dottor Montenegro; la Maca, votata anch'essa alla lotta contro il prepotere, distruttrice, con la sua irresistibile bellezza, dei grandi latifondisti, che per lei dilapidano inutilmente le loro ricchezze, sconvolgono le loro famiglie. Epopea tragica che sembra riassumersi in La tumba del relámpago, come a dar voce a un canto finale teso a fissare, tra mito e storia, una non tramontata vicenda umana di segno infelice, nella quale si inserisce all'ultimo momento anche l'autore, con nome e cognome, a dimostrare come egli abbia vissuto direttamente gli avvenimenti narrati5.
2. Questo farsi, da parte dello scrittore, protagonista del romanzo -altri narratori latinoamericani lo hanno fatto negli ultimi anni, da Ernesto Sábato in Abaddón el Exterminador a Vargas Llosa in La tía Julia y el escribidor, ma in Perú risuonava ancora l'esempio drammatico di José María Argüedas, attore del proprio sconvolgimento psichico, in Los zorros de arriba y los zorros de abajo, romanzodiario pubblicato postumo -è come un annuncio di una intenzione che troverà compiutezza in La danza inmóvil, dove Scorza è protagonista, o meglio, colui dal quale dipende che i protagonisti esistano, che esista, in una o in altra direzione, l'opera stessa di finzione.
Ne La danza inmóvil, benché sia innegabile il segno fondamentale della continuità con la precedente narrativa dello scrittore peruviano, siamo di fronte a un nuovo Scorza, del tutto insospettabile. Il romanzo si presenta nuovo per struttura e per contenuti, nuovo per stile e per l'apparente ambiguità del suo stesso esistere. Ci troviamo di fronte a un'opera fra le più complesse di questo narratore, dove la sua capacità di imbastire il racconto e la coscienza di stile danno una dimostrazione felice.
Anzitutto La danza inmóvil non è un romanzo, ma il progetto di un romanzo possibile, che si concreta in testo reale, appunto, col progredire dell'esposizione. La sua natura «precaria», diciamo, si manifesta anche nella duplice possibilità del finale, aperto e ambiguo, in certo senso. Ma anche all'interno del progetto, precisamente al capitolo XIX, il romanzo eventuale sembra poter essere abbandonato, per un progetto nuovo, la storia del «gringo» Pent, che occupa i capitoli XX e XXI, ricollegandosi, però, al capitolo III, dove già il personaggio è presente. Per poi tornare alla storia principale, anch'essa bivalente, quella del dilemma tra soluzioni possibili alla propria azione da parte di due guerriglieri peruviani, l'uno conseguente con l'impegno rivoluzionario, l'altro negativo a esso per amore.
Un fitto reticolo costituisce il sostegno del libro. L'inizio presenta Scorza nel ristorante parigino La Coupole, alle prese con un ex compagno, amico-nemico, di studi universitari a Città del Messico, ora consigliere editoriale di una grande casa editrice di Parigi, e l'Editore stesso. Lo scrittore, presentato un quadro efficace della vita parigina, con umoristici riferimenti alla meccanica disciplina dei turisti giapponesi -102 ripetizioni di atti sempre uguali- e alla ben protetta presenza dell'ex presidente degli Stati Uniti, Mister Walter Mondale, posto in un blocco difensivo che si caratterizza per un violentemente visibile incognito, dissacratorio nell'uso inevitabile della Coca-Cola, inizia l'esposizione del progetto.
Un inizio di rilievo per la vitalità del quadro di costume. Viene spontaneo, per questo quadro, e per la vivacità della rappresentazione, pensare a Week-end en Guatemala di Asturias, primo racconto6 che dà titolo al libro, e del medesimo autore, con maggior pregnanza, a pagine de Los ojos de los enterrados7, dove lo scrittore guatemalteco, con diversa intenzione, s'intende, presenta una società superficiale, quella del suo paese, in un bar alla moda della capitale. Scorza lavora al suo quadro, è indubbio, con maggior perizia anche nella cura del dettaglio. La vita parigina del caffè, raffinata e superficiale, intrisa di cultura snobisticamente ostentata, presenza di eleganza femminile e di eccentricità, ostentata disponibilità economica, è resa con rara abilità. Lo scrittore è protagonista a parte, interessante; si muove a suo agio nell'ambiente, che sottopone a implicita critica, e nel colloquio che sostiene con i due personaggi sopra richiamati sente, ed esprime, il disagio dell'intellettuale che sa di avere di fronte interlocutori prevenuti e superficiali.
Il capitolo
è interessante anche perché si presenta come una
implicita difesa del romanzo latinoamericano che affonda nella
realtà del continente, di fronte a un indifferente, e
sornione Editore, a un ostile pseudo-intellettuale, il consigliere
editoriale, non per nulla soprannominato Vaca Sagrada. Scorza espone comunque il
suo progetto, la «historia de
un guerrillero che agoniza amarrado a un árbol de la
Amazonía, que se llama
tangarana...»
, e aggiunge: «Mientras muere,
el personaje rememora su vida y más concretamente su fuga.
Porque ha escapado de la prisión para matar a un delator y
salvar así a sus compañeros que están a punto
de ser entregados a la policía. Desciende por los
ríos...»
(p. 17). All'esclamazione
significativa di
Vaca Sagrada
«Se los
tragó la selva», finale de La Vorágine di Eustasio
Rivera, chiarisce: «No exactamente [...].
En mi libro hay personajes que narran la historia desde
París. La novela es un contrapunto entre un guerrillero y un
ex guerrillero. Desde otro punto de vista, un conflicto entre dos
hombres que deben optar entre el Amor y la Revolución. Uno
escoge la Revolución. El otro el Amor. Al final de sus vidas
ambos creen que el otro eligió mejor. Por un juego de
espejos envidian sus vidas»
(ivi).
In breve, questa
è la trama del romanzo, riassunta efficacemente. Una
precisazione ulteriore: «Camino a una lucha de guerrillas, uno
de los personajes se enamora desesperadamente de una mujer. Hay,
pues, protagonistas que viven la historia desde París. En
París es donde los dos personajes deben escoger entre Amor y
Revolución»
(pp. 17-18).
Le pagine
successive svolgono le due storie, ma con quale accattivante
perizia. Scorza riconferma nella storia del guerrigliero che resta
fedele alla Rivoluzione, ricostruita da un'attualità al
passato attraverso il ricordo-delirio, la validità della
migliore narrativa latinoamericana impegnata; in quella del
rinunciatario, narrata cronologicamente, nonostante l'affermazione
di Vaca
Sagrada che «los
escritores latinoamericanos fracasan escribiendo sobre
París»
(p. 17), mostra la capacità
interpretativa di un grande scrittore, che ha penetrato e vive in
profondità l'essenza di una Parigi magica, fatta più
viva dal sentimento, l'amore dei protagonisti.
Ho parlato di un
fitto reticolo. Nel romanzo la storia del guerrigliero,
Nicolás, e quella del rinunciatario per amore, Santiago,
s'intrecciano fittamente, a partire dal capitolo II e IV. Il II
continua la scena del capitolo I, soffermandosi sull'ingresso di
una donna di eccezionale bellezza a La Coupole, che esalta il
desiderio dello scrittore e lo rende completamente indifferente ai
suoi interlocutori e alle sorti del progetto di romanzo che sta
esponendo. Dal capitolo IV al XVIII è un alternarsi
regolare, capitolo per capitolo, delle due storie. Nel capitolo XIX
la scena torna di nuovo a La Coupole; protagonisti sono ancora lo
scrittore, l'editore e Vaca Sagrada. Una pausa è costituita, in
questo capitolo, dal racconto della vita universitaria che
accomunò scrittore e consigliere editoriale, storia
marginale nella storia principale. Nel capitolo XX l'autore offre
ai suoi interlocutori la possibilità di un'altra narrazione,
quella del «gringo» Pent, che svolge nel capitolo
seguente, riscuotendo dapprima un improvviso interesse da parte di
Vaca Sagrada,
per particolari ibridi, baluginamenti di trame fortemente cariche
di sessualità, ma poi disgustandolo perché Pent si
rivela collaboratore della guerriglia, col risultato di farlo
esplodere contro il rovesciamento della «tradición
fanática» del romanzo latinoamericano,
popolato di «gringos
malos, explotadores o abusivos hasta la
caricatura»
(p. 155). Ma lo scrittore
neppure lo sente, attratto dall'avanzante bellezza:
(pp. 155-156) |
Sono interrogativi, questi, che potranno avere una risposta, eventuale, fors'anche attendibile, nei due capitoli finali del romanzo, gli intercambiabili XXXII e XXXIII.
Dal capitolo XXII al capitolo XXIV tornano a scandirsi, ritmicamente alternate, le storie di Nicolás e di Santiago; ma dal capitolo XXV al XXX occupa le pagine del romanzo la storia di quest'ultimo, passione e delusione. Nel capitolo XXXI, conclusione della vicenda dei due guerriglieri, il presente di Nicolás, dal quale ha preso le mosse il capitolo II, è restaurato e l'unica cronologia ascendente, tempo che riprende il suo movimento, è quella dell'avvio alla morte.
Fitto intreccio, quindi, nel quale ancora si inseriscono continui richiami, attraverso situazioni e personaggi, a capitoli precedenti. Un tessuto compatto, perfettamente costruito.
Gli ultimi due capitoli del romanzo hanno ancora come protagonisti lo scrittore, l'editore e Vaca Sagrada, al ristorante La Coupole, e la bella sconosciuta, che qui rivelerà un'identità ambigua, bivalente.
Il capitolo XXXII
è un nuovo quadro di costume, l'ambiente, la vita
superficiale dei ricchi play boys, dei mantenuti e delle
donnecopertina, delle modelle alla moda, critica implicita alla
vanità del vivere. Interessante è cogliere, di fronte
al desiderio di Vaca
Sagrada, che vorrebbe l'azione del progettato romanzo a Cuba
e di segno anticastrista, la denuncia di una mentalità
pregiudizialmente anti-rivoluzionaria. Tra il consigliere
editoriale e l'autore si intavola una fitta discussione intorno al
significato dello scrittore rivoluzionario, con l'affermazione, da
parte di Scorza, che non esistono libri rivoluzionari o libri
conservatori, ma solo libri «eximios o mediocres»
(p. 233) e che sono libri politici la Divina Commedia, Madame
Bovary, I fratelli Karamazov:
(ivi) |
Di fronte a coloro
che, in sostanza, gli chiedevano «un grato
pousse-café que ayudara a la buena digestión del
banquete de la burguesía cosmopolita, un libro
simpático, encantador, vestido a la moda, oloroso
a Eau
de Toilette Vetyver, un libro que ni
deseándolo podría yo
escribir»
(pp. 233-234), Scorza ritiene
inutile rispondere: «Pensé decirlo, pero, otra vez,
sentí la inutilidad de la
conversación»
(p. 233). E la
splendida donna continua ad avanzare.
3. Nell'esposizione dello scrittore ai suoi interlocutori, l'indifferente editore e l'ostile Vaca Sagrada, al ristorante parigino La Coupole, la vicenda del guerrigliero appare abbozzata nelle sue linee generali, né poteva essere altrimenti. Ma essa è determinante sia come sostanza narrativa del libro che come rivelatore ideologico. Lo stesso suo intrecciarsi alla vicenda del guerrigliero rinunciatario, ha funzione preminente nella costruzione del romanzo. E più ha questa funzione poiché sin dall'inizio, il capitolo II, essa ci è presentata nel suo crudo finale: il comandante guerrigliero Nicolás Centenario, prigioniero del capitano Basurco, è posto di fronte al tangaranal:
(p. 19) |
Domina, quindi, il romanzo l'albero della morte. Ciò che del guerrigliero interessa conoscere è come egli sia pervenuto al momento fatale. Ha inizio, perciò, nell'uomo che si sa irrimediabilmente condannato, il ricordo, e in esso quello soprattutto di Francesca, la donna, guerrigliera anch'essa, conosciuta a Parigi, con la quale ha convissuto per ordine del partito, onde evitare sospetti, ma che ha finito, nonostante tutte le difese cercate nei testi sacri rivoluzionari, per amare.
La vicenda di Nicolás è ricostruita man mano; essa si mescola nel delirio all'evocazione del tentativo di fuga del guerrigliero sul fiume Urubamba, ora fallito. Dal presente si ricostruisce il passato. Il narratore, pur tra i colori tragici della storia, convoca la magia del paesaggio, quello non solo del fiume, violento, pericoloso, ma della selva equatoriale, impenetrabile, ai cui margini fluviali di tanto in tanto il fuggitivo si avvicina in cerca di cibo, entrando in contatto con le tribù indigene, con strani personaggi di alone mitico, come l'«Almirante», o lo stesso mister Pent.
È curioso
osservare come, mentre il maggior descrittore di questo ambiente,
Mario Vargas Llosa, lo abbandonava ultimamente, spostando al
Brasile lo scenario del suo ultimo romanzo La guerra del fin del mundo,
Scorza se ne sia impossessato, e in modo magistrale, tanto da
avvolgere tutto il suo libro in un'atmosfera accentuatamente
magica, ricca di ombre e di luci singolari. Sembra talvolta di
assistere, nell'evocazione della fuga sul fiume del protagonista,
alle mitiche catastrofi delle origini del mondo (cf. pp. 54-60).
L'uomo è ben piccola cosa nell'ambito di una natura fuori
del comune, e tuttavia Nicolás campeggia in essa come un
eroe, proprio per la dirittura morale che lo scrittore gli ascrive.
Nell'attualità di morte, come nella speranza precedente
della fuga, Francesca, donna dell'amore, è punto costante di
riferimento. Il delirio porta Nicolás a ricostruire
l'incontro e il primo possesso ,accentuando ora il senso
problematico di una scelta che può sembrare sbagliata:
«Su existencia me
mejoró el mundo. [...] Me hizo feliz. Por primera vez en la
vida sentí lo que Santiago decía que era pertenecer
al sol y su familia de oro, lo dijo Quevedo, mientras viví
con ella fui pariente del sol»
(p. 62). Il
riferimento a Quevedo è interessante per quanto concerne le
letture di Scorza e la diffusione americana dell'opera del poeta
spagnolo. Della stessa immagine Neruda s'era impadronito in
Alianza
(Sonata) della prima Residencia en la tierra8.
È il
ricordo della donna amata che sembra introdurre nella coscienza del
guerrigliero il senso di un fallimento: «Mi carne no puede
más con la nostalgia de su carne, la revolución no me
sirve para nada [...]»
(p. 63). La voce del
capitano Basurco sottolinea la gravità della situazione con
un disancorato canticchiare a ripetizione il verso di una
canzonetta, «Yo sin su
amor no soy nada»
(ivi), che, senza che il
militare lo sappia, acquista un diretto riferimento per il
guerrigliero alla sua vicenda personale.
L'evocazione della
propria vita da parte di Nicolás è realizzata da
Scorza ricorrendo al monologo interiore, passando senza transizione
dal presente ai diversi tempi del passato. Con un effetto di
particolare efficacia, che coinvolge direttamente il lettore. Nel
corso di questa evocazione vengono trattati problemi di grande
momento per l'ideologia rivoluzionaria, per lo scrittore, quindi,
che ad essa partecipa, ma senza che il romanzo si carichi di note
eccessive o stonate di propaganda politica. Il dubbio fondamentale,
nel fallimento finale del guerrigliero, è la validità
dell'atto rivoluzionario, quando l'amore sembra tentarlo come unico
atto veramente sovversivo (p. 97). Il lungo delirio è
contemporaneo alla sua fuga sul fiume, non è solamente il
momento immediato di fronte all'albero della tangarana, necessariamente
breve. Nicolás ricorda anche le discussioni ideologiche
avute con Francesca, contraria al partito come guida delle masse e
diffidente verso la rivoluzione trionfante per l'implicito pericolo
che essa si trasformi in dittatura (p. 119). Nicolás
è, sembra logico, di parere diverso e sostiene la guida del
partito. Per quanto lo riguarda, personalmente egli non rinnega
nulla, cosciente del valore del sacrificio anonimo: evocando gli
eroi delle battaglie del passato, gli Spartaco, i Pugachov, i Tupac
Amaru, gli Emiliano Zapata, i Garabombo, afferma che i loro
combattimenti furono «el
fermento del porvenir. Aunque caigamos oscuros, anónimos,
olvidables, nuestra lucha tiene sentido: somos la semilla donde
espera el porvenir de América»
(p.
98). E senza transizione il pensiero va a Parigi: «Nadó
calmosamente hacia el Boulevard Saint Germain. Amanecía.
Desobedeciendo su propia consigna, salió con Francesca a
buscar un café. París no terminaba de
despertar. [...]»
(p. 98).
Nell'esposizione
delle due vicende, del guerrigliero e del rinunciatario, vi
è un capitolo, il XXV, in cui esse si incontrano: faccia a
faccia stanno i due rivoluzionari, Nicolás indebolito
dall'amore, ma sempre fedele al dovere rivoluzionario, Santiago
ancor più debole, deciso ormai a rifiutare la morte certa
per una vita felice di affetti. La scelta è tra vivere e
morire e per Santiago è proprio vivere l'atto veramente
rivoluzionario (p. 178). Nicolás parte per la sua missione,
Santiago rimane a Parigi. La vita del primo ha avuto nella
parentesi amorosa un breve momento esaltante. Occorre sottolineare
come l'esaltazione amorosa si manifesti tra Nicolás e
Francesca, oltre che nell'atto erotico, in un clima di raffinata
cultura musicale. In questo romanzo Scorza rivela, particolarmente
nel capitolo XXII, la sua profonda, raffinatissima passione per la
musica (cf. pp. 156-158). Lo fa attraverso Francesca, donna
sensibile, ma convinta rivoluzionaria, forte anche nel distacco. Il
banchetto d'addio, casalingo, che essa offre all'amato è
introdotto da questa frase: «No hay mañana, sólo
existimos hoy, ¡vivamos!...»
(p.
157).
Mentre Santiago,
credendo di scegliere la vita si avvia verso una dura delusione
finale, Nicolás si avvia con piena coscienza alla morte. Non
per nulla Scorza, dopo cinque capitoli, dal XXVI al XXX, dedicati
al rinunciatario dopo la sua scelta definitiva, pone, nel XXXI
l'improvviso ritorno alla scena iniziale del capitolo II:
Nicolás cade nelle mani degli uomini del capitano Basurco.
Personaggio divenuto mitico nel Peni, lo denuncia lo splendore
delle lucciole che, sul fiume, gli si sono appiccicate al corpo
umido. Di fronte alla morte egli si convince che «El hombre es una
metáfora provisionalmente vestida de
carne»
(p. 224). Pur non rinnegando nulla
invidia Santiago, senza sapere, naturalmente, quanto Santiago non
sia ormai più da invidiare. Legato all'albero della
tangarana,
assalito dalle formiche carnivore, ricorda ancora il grido di
Sandino, «general de
Hombres Libres»
:
(pp. 224-225) |
4. Non v'è dubbio, Scorza ha voluto in La danza inmóvil costruire un monumento al rivoluzionario. Di fronte alla storia di Nicolás contrasta quella del rinunciatario Santiago. E tuttavia è nel racconto di essa che lo scrittore più profonde le sue qualità di raffinato narratore, dimostrando, a dispetto di Vaca Sagrada, come egli riesca a trattare con consumata perizia dell'ambiente parigino, in una storia avvincente d'amore.
Vero protagonista
di questa parte del romanzo, o di questo secondo romanzo, o romanzo
nel romanzo -si scelga liberamente-, pur essendo il guerrigliero
rinunciatario, in realtà è Marie Claire, oggetto e
fonte dell'amore. Il lettore è attratto, e abilmente
confuso, da un'identità femminile che gli si rivela a fatica
e che solo nei due capitoli finali riesce a credere di aver colto
per un momento, prima di essere riassorbito dall'ambiguità
del personaggio. La donna del capitolo III, «incandescentemente bella», che
come tale «provoca siempre malestar» (p.
24), e colpisce profondamente lo scrittore intento a esporre il suo
possibile romanzo all'editore e a Vaca Sagrada, è e non
è, ma può certo essere, la stessa donna meravigliosa
che nel capitolo V Santiago cerca di seguire e abborda nei giardini
del Luxembourg. Si giungerebbe cosi alla conclusione che
quest'ultimo personaggio è lo stesso scrittore. Il capitolo
II termina con una confessione da parte del narratore: «Y con dolor, con
amor, con deseo me pregunté cuál sería la
ecuación capaz de abrirme paso hacia el amor de esa
mujer»
(p. 27). Il capitolo III ci mostra,
in meticoloso monologo evocativo, il tragitto completo, a Parigi
-nulla da invidiare in questo, per perizia, ai migliori scrittori
dell'«École du regard», o a Cortázar, ma
con in più il calore di un paesaggio urbano profondamente
sentito nei suoi irrepetibili valori cromatici- per abbordare Marie
Claire. L'ambigua coincidenza scrittore-Santiago, abilmente
mantenuta dall'autore, è un'ulteriore manifestazione della
sua capacità inventiva, contribuisce a coinvolgere
più vivamente il lettore nella vicenda.
Nell'avventura Santiago-Marie Claire si colgono valori particolarissimi della scrittura di Scorza. Tra essi la novità di una rappresentazione erotica tutta per immagini quasi deliranti, efficacissima per carica passionale e poetica, come nel capitolo VII e nel IX, dove troviamo anche una serie interessante di fusioni verbali che rendono la situazione «eccezionale», diciamo, dell'innamorato:
(pp. 66-67) |
Il procedimento fu
adottato in qualche occasione da Neruda nella sua poesia d'amore.
Il delirio richiama, pur nella piena originalità
dell'ambiente e dei protagonisti, per una nota di particolare
esotismo il trasporto delirante espresso da Rubén
Darío nelle Prosas profanas, specie in Divagación: «Ámame
así, fatal, cosmopolita, / universal, inmensa, única,
sola / y todas [...]»
. Nulla toglie al
delirio amoroso di Santiago, per quanto esteticamente interessante,
un crescente senso di vuoto, di denunciato, irrimediabile
sradicamente dalla realtà, di condanna da parte dello
scrittore. Impressione rafforzata dall'accentuata presenza di un
senso dominante della precarietà umana. Nel colmo del
trasporto il richiamo colto della donna alle ere maya di 52 anni,
dopo le quali, con la distruzione del passato, aveva inizio la
costruzione di una nuova vita (p. 68), è soverchiato dai
versi di Nezhualcóyotl, dalla stessa recitati, che, mentre
aprono un nuovo spiraglio sull'intima adesione di Scorza al mondo
precolombiano, segnano drammaticamente la misura dell'essere:
«No para siempre
en la tierra: / Sólo un poco aquí. [...]»;
«Como una pintura nos iremos
borrando...»
(p. 69). La sublimazione
dell'atto d'amore si rivela inconsistente, vana, di fronte al
richiamo del limite. A nulla vale proclamare l'identificazione
della coppia, la meravigliosa fusione in un unico animale assetato
di possesso -«Y
comprendí que ella era yo, que yo era ella, que él
era yo y ella era él. La miré. Me miró. La nos
miré. Me nos miró. ¡Éramos el ejemplar
único de una especie única, principio y fin de una
raza destinada a existir ese instante único! ¡Primer y
último ejemplar de una raza extinguida, el postrero ejemplar
de una especie que algún día iba a
nacer!»
(p. 88)- se su tutto incombe
l'autunno. Il paesaggio urbano è sfondo efficace: «Setiembre
terminaba. Como esos magnates que, sabiendo inminente su ruina, con
sorpresivo dispendio recompensan al personal que pronto
dispersarán, así el otoño dilapidaba sus oros
sobre París»
(p. 131). Il dubbio
sulla validità del sacrificio della vita, ormai risolto
dall'amore, potenzia la vitalità dell'esperienza. Scorza
semina i capitoli dedicati agli amanti di straordinari passi
erotici -rilevante per finezza quello del capitolo XXVII (p. 191),
dove nulla è eccessivo, tutto è retto da un sempre
controllato buongusto-, oltre che di efficaci denunce del Potere,
quale oggi si presenta nelle multinazionali prive di volto (pp.
162-163), ma anche di raffinati riferimenti musicali (p. 165 p.e.),
di finissime interpretazioni della pittura, di Rubens, ad esempio,
il cui quadro, al Louvre, rappresentante il Ballo del Duca
d'Alençon, rispondendo all'esaltazione degli amanti,
occasionali visitatori, acquista vita reale, trasformandosi in una
magica fantasmagoria. Unico precedente, tra gli scrittori
latinoamericani, per raffinata competenza nel campo della musica e
delle arti, espressa nella sua narrativa, Alejo Carpentier:
El recurso del
método è valida prova. Ma Scorza si rivela
maestro anche in altri campi, apparentemente meno
«poetici», come nella conoscenza dei vini francesi
-Carpentier lo fu in straordinari bodegones per i frutti e i cibi dei tropici:
si veda ancora il citato romanzo El recurso del método-, creando
pagine di grande resa estetica e di originale musicalità
nella fusione riuscita di castigliano e francese, impreziosendo la
sua pagina di nomi di vini tipici della Francia, ma anche di
riferimenti alla geografia urbana di Parigi. Lo si osservi, per
averne un'idea, nell'incontro tra Santiago e Marie Claire nella
taverna Henri IV:
(pp. 164-165) |
Il passo citato, in sostanza anch'esso un magico bodegón, è rivelatore del clima esaltante in cui gli innamorati vivono: all'erotico si mescolano elementi di un estetico finemente fruito, musica, arte, cucina e cantina, in un paesaggio cittadino di continua suggestione.
L'incontro, nel
capitolo XXVIII, con uno strano personaggio, uno scultore peruviano
divenuto famoso, Gilberto Roldàn, introduce una nuova storia
nella storia, col racconto scanzonato della propria vita e del
successo, ma soprattutto un elemento di inquietudine nello
svolgimento della vicenda felice dei due innamorati. Il senso di
una non affidabilità delle versioni di Marie Claire relative
a certe sue improvvise assenze inquieta Santiago. Abilmente Scorza
va accumulando motivi di inquietudine, che preludono all'abbandono
dell'uomo da parte dell'amante. Fatto che appare dapprima
incomprensibile, ma che in seguito Marie Claire stessa
spiegherà, una volta che il desolato Santiago la ritrova
nella debosciata atmosfera dell'appartamento dell'amico scultore,
come frutto della delusione di non aver più trovato in lui,
dopo che l'ha informata di aver abbandonato la guerriglia, l'uomo
di cui si era innamorata, in sostanza l'eroe, il
«varón admirable y rebelde» che «venía de
las luchas de su continente infortunado y se preparaba a regresar,
de nuevo a sus combates»
(p. 219). Lo aveva
amato, ma tutto era finito quando aveva scoperto che quell'uomo,
«que era el
porvenir, eligió ser el pasado»
(ivi).
Scorza palesemente
condanna il tradimento alla rivoluzione. Lo si vede anche nel
fallimento della scelta fatta da Santiago. Alla fine del capitolo
XXX troviamo l'uomo, pentito, invidiare a sua volta il destino di
Nicolás, che tra amore e rivoluzione aveva scelto entrambi,
mentre lui si trovava ad aver scelto nulla (p. 220). Perciò
si getta nelle acque della Senna: «miró otra vez las aguas sucias
del Sena, saltó sobre la baranda del puente Sully,
arrastrado por las corrientes turbias su cuerpo se hundió,
flotó, se hundió»
(ivi).
Nello stesso capitolo è descritta anche la morte del guerrigliero Nicolás Centenario.
5. Con la morte di
entrambi i protagonisti dovrebbe chiudersi il romanzo. Ma Scorza,
lo abbiamo detto, vi aggiunge due capitoli, due versioni diverse.
Un personaggio enigmatico ha attraversato il libro per tutto il suo
corso, la splendida creatura che, dal capitolo III ai capitoli V,
XXI, XXXII sta entrando a La Coupole in cerca di qualcuno, con
effetti sconvolgenti per la sua bellezza sugli uomini presenti e
anche sullo scrittore che rende indifferente, assente, ai giudizi
dell'editore e di Vaca Sagrada: «Su hermosura me
suspendió -afferma-, quiero decir
suspendió el curso de mi vida»
(p.
231). È una frase ambigua. Presente e passato si fondono in
essa, coesistendo visibilmente:
(p. 234) |
L'immedesimazione
dello scrittore con i suoi personaggi, Santiago e Nicolás
insieme, è completa: «Imaginé que yo era Santiago.
Imaginé que yo era Nicolás, que militaba en una de
esas expediciones heroicas en las que tantos de mi
generación se habían enrolado y habían
gloriosamente caído. [...]»
(ivi).
È cosi che alla tentata domanda della figlia dell'editore
-poiché la splendida creatura qui è lei - «¿Pero,
acaso usted no es...?»
(p. 238), risponde
con dura negatività: «-No -la interrumpí con
violencia. Y me fui»
(ivi).
La versione
scambiabile del capitolo XXXIII si avvale del procedimento tecnico
del riavvolgimento della pellicola, per ripresentare, ma con
qualche modifica, le scene, in sostanza per sovrastampare una nuova
versione, partendo dall'espressione favorevole con cui l'editore
dichiara il suo interesse per la trama del romanzo che lo scrittore
gli è andato esponendo, ma anche la sua preoccupazione per
l'eventuale accoglienza che a esso può riservare la critica.
Battute del dialogo precedente, quello che occupa il capitolo XXXII
vengono ripetute, uguali o con lievi modifiche, senza intaccarne la
sostanziale identità. La donna ora è Marie Claire -
l'editore la presenta allo scrittore come Mlle. Saint Jean,
«nuestro attaché de
presse» (p. 238) - e il romanziere espositore è
proprio Santiago. Egli la riconosce e lei lui, ma l'uomo rifiuta il
riconoscimento e parla di Santiago come di un amico che non si
suicidò, ma che «En el instante en que iba a saltar
sobre un puente del Sena, comprendió que ir a luchar por su
país y morir por él era mejor que morir por una mujer
que lo había traicionado»
(p. 239).
È quanto risponde alla donna. E ancora che la Rivoluzione
né l'amore non tradiscono, ma solo lo fanno le rivoluzioni e
alcune donne (ivi).
Come si vede, entrambe le soluzioni prospettate hanno in comune il ripudio dell'abdicazione al dovere rivoluzionario. La scelta di Nicolás era quindi quella giusta. Ma la loro ragione sembra anche rispondere a un pieno coinvolgimento finale dell'autore, o almeno al desiderio di dare al lettore l'impressione che molto di autobiografico vi sia nella vicenda dei due protagonisti, forse nella realtà una sola persona con Scorza.
«Lima, setiembre 1981, abril 1982» -è la data finale de La danza inmóvil- il titolo sembra significare che, nonostante l'instancabile movimento dei personaggi, tutto rimane immobile, ferme il senso di un dovere che supera i sentimenti dei singoli e fermo il destino di ogni vita -: otto mesi di gestazione per un romanzo tra i più pregnanti e partecipati dello scrittore Manuel Scorza, forse il testo più ricco artisticamente tra i suoi, certo uno dei libri più rilevanti della narrativa latinoamericana contemporanea. La novità dei motivi e della tecnica non smentisce, anzi ancor più afferma la continuità di un impegno del narratore con la realtà del mondo americano.