—[122]→ —[123]→
In una nota
preliminare a El amor
y otros demonios Gabriel García Márquez spiega
le origini del suo romanzo: in un momento di scarse notizie
interessanti, il 26 ottobre 1949 il direttore del giornale per il
quale lavorava lo l'avrebbe indotto a fare un giro dalle parti del
vecchio convento di Santa Clara, nella cui cappella si stavano
esumando «tres generaciones
de obispos y abadesas y otras gentes
principales»467
.
Fu lì che, a detta dello scrittore, presenziò alla
esumazione di Sierva María de Todos los Ángeles, il
cui teschio conservava ancora la splendida capigliatura rossa,
cresciuta nel trascorso secolare fino a raggiungere i «veintidós
metros con once centímetros»
, cosa
dal «maestro de
obras»
ritenuta più che normale,
poiché, come spiega al giornalista «sin
asombro»
, i capelli umani crescono, dopo la
morte, un centimetro al mese, così che «veintidós
metros le parecieron un buen promedio para doscientos
años»468
.
Anni dopo, nelle
memorie di Vivir para
contarla, lo scrittore ritorna sull'argomento e scrive che
il «maestro
Zabala»
, con il quale aveva insistito che
gli insegnasse i segreti per scrivere dei reportages, senza che mai «con su indole
misteriosa»
si decidesse a farlo, lo
lasciò tuttavia «alborotado»
con
l' «enigma de una
niña de doce años sepultada en el convento de Santa
Clara, a la que le creció el cabello después de
muerta más de veintidós metros en dos
siglos»469
.
E continua: «Nunca me
imaginé que iba a volver sobre el tema cuarenta años
después para contarlo en una novela romántica con
implicaciones siniestras»470
.
Come sempre, si esercita sull'argomento la fantasia dello scrittore, tra dati suppostamente reali ed elementi fantastici e iperbolici. Il lettore è così introdotto in un ambito di immediato interesse: una vicenda sorprendente, fuori dalla normalità.
—124→Dalla supposta scoperta della capigliatura eccezionale e dalla presenza di altre tombe, alcune occupate ormai solo da polvere e ossa, una, quella del marchese, vuota, come racconta lo scrittore prologando il romanzo, prende avvio questo sorprendente libro, che pone al suo centro una esasperata vicenda d'amore, ma che in realtà si configura come elegia e critica di un mondo scomparso, quello della Colonia, e di personaggi singolari che interpretano il clima negativo dell'antico vicereame spagnolo di Tierra Firme.
Siamo ormai alla fine, sembra di poter dedurre, del secolo XVIII, e il mondo coloniale americano, quello almeno del Darién, è in piena decadenza. Impera ancora la presenza burocratica ispanica, si avvicendano funzionari di alto lignaggio, i cui titoli, tuttavia, García Márquez riduce a puri simboli della loro pochezza, vescovi, suore e preti, e ancora l'Inquisizione con i suoi metodi disumani. Ma tutto si presenta in decadenza, svuotato di ogni vigore; si tratta di attori vittime di passioni spente, meno quella che coinvolge Sierva María, confinata in convento poiché ritenuta posseduta dal demonio, dopo essere stata in giovinezza morsa da un cane rabbioso; la donna finirà tra le braccia dell'esorcista don Cayetano Delaura, giovane e ferrato salmantino, venuto al seguito dell'esausto vescovo, don Rodrigo de Buen Lozano, e concluderà la sua vita sotto i tormenti inquisitoriali, consumata dall'ansia di amore.
La storia
drammatica della vicenda amorosa tra la fanciulla reclusa e il
prete domina la seconda parte del romanzo e rappresenta sì,
a prima vista, il centro d'interesse dell'opera, soprattutto in
quanto sviluppo di una passione impossibile e clandestina, che per
la giovane finisce tra i rituali violenti dell'Inquisizione, ma nel
libro interessano in particolare anche gli «altri demoni»
, come recita il
titolo, vale a dire i vari amori, leciti e illeciti, il fallimento
di ognuno di essi, lo svogliato accendersi di sentimenti che non
fioriscono, o il verificarsi di improvvisi ristagni, o recisioni
che, anche se non materiali talvolta, finiscono per sfociare in odi
di tutta la vita, in disastri ai quali non vi è più
rimedio.
E' fuor di dubbio che García Márquez abbia come fine primario, nel suo romanzo, la denuncia della negatività della presenza spagnola in America, in questo parte della lunga schiera di coloro che, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo XX fino ad oggi, pur prodotto di tali presenze, rinnegano almeno una parte delle proprie origini, giudicando con criterio d'oggi il passato, peraltro immodificabile. Ma lo scrittore colombiano fa questo, esaltando, per contrasto, quanto attiene all'ambito magico-religioso dovuto alla presenza negra nel mondo coloniale americano, come fosse parte autoctona dell'America, certamente ricca di mistero e di valenze che funzionano di indubbio richiamo.
La stessa Sierva
María, nata «sietemesina»
,
dalla donna che l'aiuta a venire al mondo vista come destinata a
non sopravvivere, viene dedicata non solo alla Vergine, ma dalla
schiava che se ne prende cura anche alla divinità negra di
Olokun. Essa vive poi di preferenza nel mondo della servitù
di colore, ne apprende le varie lingue e la religione, fino ad
assumere, per la classe dominante, —125→
incapace di comprendere tale mondo, una sorta di carattere
demoniaco. Come indemoniata sarà considerata Sierva
María, odiata dalla madre, dimenticata, quindi riscattata
per un breve periodo dal padre, il marchese di Casalduero, poi da
lui dissennatamente sacrificata in convento, in ossequio
all'incitamento del vescovo, preoccupato a suo modo di salvare
anime.
Nel convento di
Santa Clara la fanciulla è dapprima come una presenza
inesistente, e la badessa, Josefa Miranda, donna di carattere duro,
da decenni in lotta con il vescovo, prende coscienza della sua
realtà concreta solo allorché risuona per tutto
l'ambito dell'immenso edificio «una canción de un sola
voz»471
.
Interrogate, le consorelle la informano dell'arrivo della strana
«niña»
, e
subito la superiora, per l'eccezionale canto, la ritiene
indemoniata, così che decide di rinchiuderla in una delle
ultime celle del carcere conventuale.
Lo scrittore
presenta Sierva María come una martire del fanatismo
religioso e dell'ignoranza, accompagnando la sua figura con il
racconto fantasioso che la badessa fa all'esorcista, a proposito di
una demoniaca influenza della fanciulla sugli animali e sulle
piante: sei galli che improvvisamente hanno preso a cantare come
fossero cento; una capra che parla e mette al mondo «trillizos»
; il
giardino «florecido con
tanto ímpetu que parecía contra
natura»
, con «flores de
tamaños y colores irreales, y algunas de olores
insoportables»
. Per la suora tutto
ciò che era quotidiano assumeva qualche cosa di
soprannaturale472.
Nel giovane prete Cayetano Delaura si manifesta presto la passione per la ragazza, dapprima come improvviso turbamento alla vista della reclusa, poi si accentua con la sua frequentazione, diviene intensa cullata dai versi d'amore di Garcilaso che le recita, infine è con lei comunione di sentimento e possesso, quindi ossessione e perdita per entrambi, allorché viene chiuso il passaggio clandestino attraverso il quale di notte l'innamorato reverendo raggiungeva la cella della reclusa. Con i conseguenti casi di coscienza, tormenti della fede e dello spirito, già chiari all'interessante personaggio di Abrenuncio, medico di ascendenza giudaica, inviso all'Inquisizione, sorta di presenza riflessiva nel mondo proposto dal narratore.
Una vicenda di colori cupi, che sembra in qualche modo ripetere originalmente e su un ben diverso livello artistico situazioni d'appendice, proprie di certi romanzi anticlericali del passato otto-novecentesco, ma che non si allontanano molto da una realtà di violenza arcinota, esercitata da tribunali ecclesiastici a difesa della fede, passati alla storia popolare come influenzati da fantasia superstiziosa, o da oscuri interessi e sui quali, a torto o a ragione, tanto si è scritto.
La sostanza
è che, anche in questo caso, il personaggio rappresentato da
Sierva María finisce sconfitto. Nella sua condotta, durante
i riti d'esorcizzazione, —126→
sembra esaltarsi la supposta natura demoniaca della
fanciulla, che infatti affronta il vescovo, «con ferocidad
satánica, hablando en lenguas o con aullidos de
pájaros infernales»473
,
complice la natura, che al secondo giorno del suo processo emette
un «bramido inmenso
de ganados embravecidos»
, e la terra trema,
di modo che per i suoi accusatori non fu più possibile
pensare che Sierva María non fosse «a merced de todos
los demonios del averno»474
.
García Márquez intende, in realtà, porre in rilievo la crudeltà dell'ingiustizia consumata su un essere innocente durante giorni di tormenti, in cerimonie nelle quali il vescovo appare alla giovane donna come la personificazione del diavolo475. La conclusione è, nell'angoscia per l'inesplicabile scomparsa dell'amante e gli effetti delle dure fasi dell'esorcizzazione, la morte, una morte che il narratore presenta come trionfo riscattatore dell'innocenza, poiché improvvisamente il corpo distrutto di Sierva María ormai morta rifiorisce:
La guardiana que entró a prepararla para la sexta sesión de exorcismos la encontró muerta de amor en la cama con los ojos radiantes y la piel de recién nacida. Los troncos de los cabellos le brotaban como burbujas en el cráneo rapado, y se les veía crecer476. |
Il tema centrale del romanzo conclude su questa scena, ricollegandosi al preambolo, in cui lo scrittore dava conto della realtà concreta di partenza, in sostanza già intrisa di improbabile e di meraviglioso. Ma il libro è ben più complesso di quanto possa sembrare dall'esposizione del motivo centrale: rappresenta uno scandaglio, come sempre, nelle pieghe dell'animo umano, attraverso una serie di personaggi tutti di grande interesse.
Si deve partire
dal padre di Sierva María, immagine della decadenza di una
schiatta: ben diverso dal genitore, don Ygnacio de Alfaro y
Dueñas, secondo marchese di Casalduero, signore del
Darién, è un uomo che traligna dalla sua casata. Lo
scrittore pone esplicitamente in rilievo che è il secondo
marchese di Casalduero, ossia che appartiene a una nobiltà
recente, sempre predatrice e violenta. Il padre è, infatti,
non solo cavaliere di Santiago, ma un «negrero de horca
y cuchillo y maestre de campo sin
corazón»
, cui il re suo signore
«no
escatimó honores y prebendas ni castigó
injusticias»477
.
Perciò il figlio avrebbe potuto esercitare un potere
smisurato, e invece «no
daba señales de nada»
, presentava
anzi «signos de cierto
retraso mental»
, fu analfabeta fino
all'età adulta e «no quería a
nadie»478
.
Tuttavia il curioso personaggio va acquistando significato nel romanzo, mano a mano che ci si addentra nell'intrico delle vicende che lo riguardano. Anche lui finisce per essere, a suo modo, vittima dell'amore, e si avvia verso un finale di assoluta desolazione, che richiama, senza averne la grandezza, il protagonista de El coronel no tiene quien le escriba.
Dapprima il
giovane Ygnacio si innamora di Dulce Olivia, una reclusa nel
manicomio della Divina Pastora, e sarebbe deciso a sposarla se non
intervenisse con energia il padre, che lo esilia nelle sue tenute,
dove, terrore infantile, incomincia a temere le galline e i
cavalli, mentre stringe invece un'amicizia «casi
humana»
con i numerosi mastini479.
Se ripensiamo a
una lirica di Neruda che sottolinea la stupidità dei
suddetti volatili, e la fissità d'occhi inespressivi con cui
osservano gli umani480,
non stupirà il terrore del giovane marchese. Quanto ai cani,
vi è l'esempio di Cervantes, il celebre Coloquio de los
perros481,
che ne sottolinea l'intelligenza, seguito, in tempi moderni, da
Augusto Roa Bastos nel romanzo Yo, el Supremo482.
Forse a questi precedenti si rifà García
Márquez, e nella sua memoria doveva pure essere presente,
suo malgrado forse483,
per quanto riguarda la figura del primo marchese, l'eco di quel Geo
Maker Thompson, il «Papa
verde», che Miguel Ángel Asturias
descrive come «señor de cheque y cuchillo,
navegador en el sudor humano»484
.
Circa i cavalli,
l'opinione del medico Abrenuncio, di fronte alla paura del
marchese, è del tutto positiva: egli lamenta, infatti,
l'incomunicazione del nobiluomo con essi, poiché ritiene che
proprio questa mancanza di comunicazione abbia «retrasado a la
humanidad»
, e afferma che se una volta o
l'altra si riuscissre a superare tale incomunicazione «podríamos
fabricar el centauro»485
.
E qui, forse, potremmo individuare un rimando, benché vago,
ai Caballos de
Abdera, di Leopoldo Lugnones486.
Contro la
volontà del padre, Ygnacio intratterrà per lungo
tempo un'amicizia affettuosa con la pazza, o creduta tale,
poiché, verità sacrosanta, «Ningún
loco está loco si uno se conforma con sus
razones»487
,
e solo si sposerà, costretto dalle esigenze di famiglia, con
una sua pari, doña Olalla de Mendoza, che manterrà
vergine, conducendo una vita da «soltero
inútil»
, ma conquistato dalla musica
di lei, allieva a Siviglia di Domenico Scarlatti, e tanto che egli
stesso apprende a suonare la tiorba italiana488.
Nulla più, perché resisterà a ogni tentativo
sessuale estremo della sposa, morta la quale, colpita da un
improvviso fulmine, che Dulce Olivia afferma di aver scagliato lei,
condurrà con quest'ultima una sorta di «amistad prohibida
que por lo menos una vez se pareció al
amor»
, sconfinata in un «desinterés
de matrimonio viejo»
, conflittuale per il
minimo motivo, così che di notte «se pudría
en un pleito de vándalos que desmoralizaba a los
mastines»489
.
Sarà poi preda delle arti seduttrici della giovane Bernarda
Cabrera, nell'amaca sotto gli aranci dell'orto, e incinta la
dovrà sposare per riparazione, a ciò convinto dalle
maniere perentorie del padre della ragazza.
La scena che García Márquez presenta è di grande efficacia, tutta giocata su una violenza contenuta; egli presenta nel padre di Bernarda un uomo deciso, pronto alla misura estrema quasi con rincrescimento, come accade a molti violenti del repertorio del narratore colombiano, i quali in sé rifuggono dal delitto, cui più che altro la fatalità li costringe:
Él le dio largas hasta que el padre de ella llamó al portón a la hora de la siesta con un arcabuz arcaico en bandolera. Era de verba lenta y ademanes suaves, y le entregó el arma al marqués sin mirarlo a la cara. «¿Sabe qué es eso, señor marqués?», le preguntó. El marqués no sabía qué hacer con el arma en las manos. «Hasta donde alcanza mi ciencia, creo que es un arcabuz», dijo. Y preguntó, de veras intrigado: «¿Para qué lo usa?». «Para defenderme de los piratas, señor», dijo el indio, todavía sin mirarlo a la cara. «Ahora lo traigo por si su merced me quiere hacer la gracia de matarme antes que yo lo mate». Lo miró a la cara. Tenía unos ojitos tristes y mudos, pero el marqués entendió lo que no le decían. Le devolvió el arcabuz y lo invitó a seguir adelante para celebrar el acuerdo [...]490. |
—129→
Un seguito di frustrazioni attende, con il matrimonio, il personaggio, cui non pone rimedio neppure la nascita di Sierva María, subito odiata dalla madre, donna insensibile ai richiami della maternità, dedita presto a commerci lucrosi con il traffico di schiavi, alla fine trascinata alla rovina da una sessualità insaziabile e dalla droga491, alla quale la introduce lo schiavo Judas Iscariote -il nome è significativo- di cui si è perdutamente invaghita, morto il quale la sua deriva è totale.
Di pagina in
pagina il marchese acquista dimensione; è un uomo triste e
finito che sembra trascinare senza volontà i suoi giorni,
convincente prodotto del mondo coloniale in rovina. Per nulla uomo
d'azione, fin dalla giovinezza vive nella paura della vita:
«Vivo espantado de estar
vivo»492
.
Rinunciatario, dopo la morte della prima moglie chiude e smonta la
casa, si isola da ogni contatto sociale; per la siesta si rifugia
in un'amaca sotto gli aranci dell'orto, e lì è
oggetto di «obscenidades
tiernas»
da parte delle pazze del
confinante manicomio, ma quando il governo gli offre di
trasferirle, si oppone «por gratitud a
ellas»493
.
Di nuovo sposo e
finalmente padre, dopo un lungo periodo di indifferenza verso la
figlia è per un attimo umanizzato dal sentimento paterno,
incoraggiato anche dallo strano medico Abrenuncio de Sa Pereira Cao
a fare in modo che la ragazza sia felice, poiché «No hay medicina
que cure lo que no cura la
felicidad»494
.
Presto, tuttavia,
rinuncia anche a questo e si sottomette alla richiesta del vescovo.
La città dove vive è solo un ricordo del passato
splendore, in piena decadenza, «sumergida en su marasmo de
siglos»495
;
su questo sfondo il marchese «macilento»
si
muove, diretto al convento dove rinchiuderà la figlia.
Gli incontri del
marchese con Abrenuncio, di ascendeza giudea, sono diversi. Il
medico, spirito libero, rappresenta nel romanzo una sorta di
coscienza critica del mondo coloniale. Il primo incontro del
marchese con lui è del tutto occasionale: «Cuando
volvía a la ciudad por la cornisa del cerro encontró
a un hombre de gran apariencia sentado en una piedra del camino
junto a su caballo muerto»496
.
La conversazione si indirizza subito verso temi del tutto
particolari. Il medico lamenta la morte del cavallo, per il quale
vorrebbe una sepoltura in luogo consacrato: è un animale
centenario, afferma.
Un tipo originale,
Abrenuncio, che suona l'arpa con una sua musica particolare come
metodo di cura al capezzale degli ammalati; non pratica la
chirurgia poiché la ritiene «arte inferior de
dómines y barberos»
, e possiede una
facolttà divinatoria: predicev agli infermi il giorno e
l'ora della loro morte. Sostiene inoltre essere azione di buoni
cristiani uccidere, magari col veleno, chi soffre ed è
destinato comunque a morire497.
Colpito dal
personaggio e dai suoi ragionamenti il marchese non solo fa
sotterrare in un vecchio cimitero consacrato il suo cavallo, ma gli
fa dono di uno splendido «alazán»
.
La presentazione del dottore è, come spesso nella narrativa di García Márquez, sorprendente. Abrenuncio ha una sua profonda filosofia che, malgrado le apparenze, si fonda su una grande umanità; egli precorre i tempi anche nella disponibilità ad alleviare con la morte la sofferenza per la quale non vi è più rimedio.
Nel corso del romanzo si ha modo di approfondire la dimensione del personaggio. Il marchese si rivolge presto a lui per il problema della figlia e lo fa come se si rivolgesse a un confessore. Il carattere del medico dispone, infatti, alla confidenza; le sue idee, per quanto sembrino strane, sono segno di una riflessione profonda sugli uomini e sulle cose. Come in altri romanzi, ad esempio in La hojarasca, presto è coinvolto il problema della fede, evidentemente pressante anche per il narratore.
Circondato da un
alone di diffidenza, in realtà Abrenuncio è uno
spirito puro, un essere limpido, come del resto dimostra la sua
casa, dove il marchese, dopo il primo incontro casuale, si reca a
ora presta, le sette del mattino, per confidargli la situazione
della figlia; egli si ritrova in un interno «arreglado con el
preciosismo vicioso de un soltero
empedernido»
, in un ambito «ocupado por una
fragancia de bálsamos que inducía a creer en la
eficacia de la medicina»498
,
questo nonostante la poca fede che in essa ha lo stesso medico; vi
sono librerie ordinate e impreziosite di volumi, «muchos en
latín, con lomos
historiados»499
,
pile di libri anche sul pavimento, ma ordinate, e una vetrina
«llena de pomos de
porcelana con rótulos en
latín»500
.
Lì sta pure l'arpa con cui in tempi passati il medico
accompagnava gli ammalati, come nobilitata dalla polvere del tempo:
«Relegada en un
rincón estaba el arpa medicinal cubierta en un polvo
dorado»501
.
La capacità
di García Márquez di trasformare in elementi magici
le cose si esercita sui minimi particolari, allo stesso modo della
facoltà di sorprendere con affermazioni inattese, come
quella di Abrenuncio, il quale, di buonumore, affermato che i libri
non servono a nulla, dichiara di aver passato la vita curando
—131→
i disastri dei colleghi: «La vida se me ha ido curando las
enfermedades que causan los otros médicos con sus
medicinas»
. Il che corrisponde a una
diffusa convinzione popolare, è certo, e qui è mezzo
per riscuotere immediata adesione dal lettore, sempre scontento dei
medici e della medicina.
Le sue doti, in
qualche modo divinatorie, Abrenuncio le esercita anche nel caso
della marchesa, allorché ne sente il grido straziante: gli
basta uno sguardo per coglierne il destino: «Te está
cantando la lechuza, hija
mía»502
,
le dice, e pronostica che al più tardi morirà il 15
di settembre, se non si impicca prima. Al che il marito, «inalterable»
,
commenta: «Lo
único malo es que el 15 de septiembre esté tan
lejos»503
.
Depositata la
figlia in convento, il marchese, subito pentito, ma ormai impotente
a riscattarla, si incontra di nuovo con il medico ed è a
questo punto che nella loro conversazione ritorna il tema della
fede. Il nobile rivela al dottore le sue ansie di preghiera, prima
di compiere il passo, ma sappiamo che il tentativo di recuperare
«el dios que lo
había abandonado»
era stato inutile,
in quanto, afferma García Márquez, «la incredulidad
resiste más que la fe, porque se sustenta de los
sentidos»504
.
Ora, compiuto l'atto di affidamento della figlia, il marchese si
è convinto che fu un ordine di Dio; allora il medico gli
chiede se ha recuperato la fede, e la risposta è: «Nunca se deja de
creer por completo [...]. La duda
persiste»505
.
Il che induce Abrenuncio a riflettere: «Siempre
había pensado que dejar de creer causaba una cicatriz
imborrable en el lugar en que estuvo la fe, y que impedía
olvidarla»506
.
Accenni filosofici
non approfonditi nel romanzo, ma che danno ulteriore
profondità al personaggio del prete, il quale da celibe
ostinato considera «extremos de
demencia»
le gesta amorose del giovane
esorcista Delaura, poiché, pur ritenendo il sesso «un
talento»
che personalmente dichiara di non
possedere, considera l'amore «un sentimiento contra
natura»
, perché condanna due
sconosciuti a una «dependencia mezquina e insalubre, tanto
más efímera cuanto más
intensa»507
.
Ma osserva anche con ammirazione la pazzia che l'amore provoca
negli uomini: di fronte al prete disperato, sconvolto dalla
passione «Abrenuncio no
pudo ocultar la admiración que le causaba aquel hombre
recién liberado de las servidumbres de la
razón»508
.
Le sconfitte
dell'amore, i suoi effetti disastrosi, sono esemplari nel romanzo.
Non solo conclude negativamente la pericolosa avventura dei due
—132→
amanti, ma più volte naufraga quella svogliata del
marchese don Ygnacio. Il naufragio del sentimento sembra dipendere
da quello del mondo esterno, dove continua l'avvicendarsi di
autorità di nessun valore, come il nuovo vicerè don
Rodrigo de Buen Lozano, che fa tappa nella cittadina con la giovane
moglie «casi
adolescente»
, lui di 22 anni maggiore. I
suoi meriti particolari di «asturiano maduro y
apuesto»
consistono nell'essere «campeón de
pelota vasca y de tiro a la
perdiz»509
.
Lo accoglie e lo festeggia un governatore «soltero y
mariposón»
, spendaccione e goditore,
che gli omaggia un pranzo «de hombres
solos»
, accompagnato da danze di schiave,
tra le quali una splendida abissina, «de
perfección alarmante»
, da lui
comperata a peso d'oro, che di fronte al vicerè fa
improvvisamente scivolare ai suoi piedi la tunica che la copre,
sbalordendo l'uomo: «toda
ella exhalaba un hálito
confidencial»
; ripreso fiato, il
viceré cancella dalla suamemoria con un gesto della mano la
«visión
insoportable»
e ordina di portar via la
donna, ché non la vuole rivedere per il resto dei suoi
anni510.
Un mondo superficiale e corrotto, quello della colonia, dove anche la difesa della fede da parte delle autorità religiose appare in vistosa contraddizione. Neppure il vescovo sembra esente da colpe, se si sussurra che l'esorcista Delaura sia suo figlio o suo amante. Ma sono dicerie.
La figura del vescovo nel romanzo, non appare sfumata come quella, in Crónica de una muerte anunciada, del fantomatico occupante della nave, che passa benedicendo senza fermarsi di fronte al villaggio. Il prelato di Del amor y otros demonios non è, ora, un uomo nel pieno delle sue forze; don Toribio de Cáceres y Virtudes lo fu un tempo, e il narratore richiama nel marchese, di fronte alla realtà attuale, l'impressione che lasciò in lui quarant'anni prima, in occasione di una funzione religiosa: allora,
Por el cuerpo enorme y el aparato de su ornamento parecía a simple vista un anciano colosal, pero el rostro lampiño de rasgos puntuales, con unos raros ojos verdes, conservaba intacta una belleza sin edad. A la altura de las andas tenía un nimbo mágico de Sumo Pontífice, y quienes lo conocían de cerca lo sentían en el brillo de su sabiduría y su conciencia del poder511. |
Una imponenza e
un'aura che contrastano con la residenza vescovile, il palazzo
più antico della città, del quale il vescovo occupa
solo una parte: un claustro «de arcos
renegridos»
, condiviso con la cattedrale e
un patio con un «aljibe en
ruinas entre matorrales desérticos»
;
tutto è in rovina: «Hasta la fachada —133→
imponente de piedra labrada y sus portones de maderas
enterizas revelaban los estragos del
abandono»512
.
Quando il
marchese, convocato per il caso della figlia, entra nel palazzo
vescovile prova un'impressione di freschezza e si avvia per un
corridoio così oscuro «que seguía al diácono sin
verlo, pensando cada paso para no tropezar con estatuas mal puestas
y escombros atravesados»513
.
Non si tratta di un ambiente di prospettive felici; anche la
saletta dove il nobiluomo è fatto attendere è solo
illuminata attraverso un «tragaluz»
, e
alla parete un confuso ritratto ad olio rappresenta un giovane
ufficiale in uniforme degli «alférez del
rey»
: il vescovo giovane.
Una volta ammesso alla presenza del prelato il quadro muta radicalmente: quarant'anni non sono passati invano; le tre epoche della vita del vescovo sono presenti improvvisamente al marchese: l'immagine pomposa del potente religioso, la sua gioventù precedente, e ora un vecchio malaticcio dalla corpulenza ancor più accentuata:
Era mucho más grande e imponente de cuanto se decía, aún agobiado por el asma y vencido por el calor. Sudaba a chorros y se mecía muy despacio en un mecedor filipino, abanicándose apenas con un abanico de palma, y con el cuerpo inclinado hacia adelante para respirar mejor. Llevaba una abarcas de labriego y una camisola de lienzo basto con pedazos luidos por los abusos del jabón. La sinceridad de su pobreza se notaba a primera vista. Sin embargo, lo más notable era la pureza de sus ojos, sólo comprensible por algún privilegio del alma514. |
Dalla pompa
all'anormalità umana, ma quegli occhi puri sono di nuovo in
contrasto con la durezza della decisione di rinchiudere Sierva
María in convento. Più accorde con la crudeltà
del proposito del vescovo è la successiva descrizione del
suo faticoso sopravvivere: «A causa del asma su respiración
era grande y pedregosa, y sus frases estaban perturbadas por
suspiros inoportunos y por una tos áspera y breve, pero nada
afectaba su elocuencia»515
.
Del resto, il vescovo vive in uno spazio di serenità egoistica, estranea alle sofferenze del prossimo. Lo si coglie dall'ambiente luminoso in cui è introdotto il marchese, dopo il buio del corridoio e la sosta nell'angusta anticamera, passaggio obbligato verso lo splendore del potere ecclesiastico:
El marqués [...] franqueó la puerta y se encontró en una terraza al aire libre, bajo un palio de campánulas amarillas y helechos colgados, desde donde se veían las torres de todas las iglesias, los tejados rojos de las casas principales, los palomares —134→ adormilados por el calor, las fortificaciones militares perfiladas contra el cielo de vidrio, y el mar ardiente516. |
La vera faccia del
potere religioso appare tuttavia nel momento drammatico del
confronto con Sierva María, durante i riti crudeli
dell'esorcizzazione. Entrato «en atuendo de gran
ceremonia»
, portato «en
andas»
da quattro schiavi, nella sua lotta
per scacciare il demonio il vescovo terrorizza la giovane supposta
indemoniata, che prende a gridare, mentre lui tenta di sovrastarla
con la sua voce e nello sforzo si abbatte al suolo:
El obispo aumentó la voz para acallarla, pero ella gritó más. El obispo aspiró a fondo y volvió a abrir la boca para continuar el conjuro, pero el aire se le murió dentro del pecho y no pudo expulsarlo. Se derrumbó de bruces, boqueando como un pescado en tierra, y la ceremonia terminó con un estrépito colosal517. |
Come se l'innocenza, in questo finale estremamente drammatico, avesse in realtà debellato il vero demonio: il vescovo esorcista.
Il mondo in cui si
svolgono le vicende del romanzo di García Márquez
appare completamente avariato. Vi si verificano fenomeni strani,
che sembrano condannare l'operato degli uomini. Non solo terremoti,
ma anche eventi curiosi, che dai nemici di Sierva Maria sono
interpretati come prova della sua natura demoniaca; come quel
venerdì in cui le rondini «se despidieron con una amplia vuelta en
el cielo»
e coprirono «con una nevada de
añil nauseabundo»
tetti e strade,
fenomeno inconsueto poiché, precisa lo scrittore con
terminologia duramente realista, «Nunca se había visto que las
golondrinas cagaran en pleno vuelo ni que la hedentina de su
estiércol estorbara para
vivir»518
.
Ciò che
più si impone, tuttavia, nel romanzo è la deriva
umana, quella dei personaggi illustrati, in particolare della
moglie del marchese, Bernarda, isolatasi in una tenuta un tempo
fiorente, ora desolata, un «ingenio»
del
quale «sólo
quedaban los escombros, las máquinas carcomidas por el
óxido, las osamentas de los dos últimos bueyes,
todavía uncidas al brazo del
trapiche»519
.
Seduta sotto la
veranda la donna continua col suo vizio antico della bevanda di
cacao, «la mirada
inmóvil»
, accoglie con indifferenza
il saluto del marchese e gli rivela sadicamente l'inganno del quale
egli fu oggetto: un piano che, sotto le specie dell'amore, avrebbe
dovuto concludersi con la sua eliminazione, atto dal quale alla
fine la donna desistette, cosciente che «ya no era nadie
para matar a nadie»520
.
La casa dove ora la donna vive, senza un essere umano, né animali a cento leghe intorno, è immagine efficace della miserabile fine di un mondo:
La casa estaba desportillada, y unos arbustos de florecitas moradas despuntaban por entre los ladrillos del piso. En el comedor estaba la mesa antigua con las mismas sillas carcomidas por el comején. El reloj parado en una hora de quién sabía cuándo, y todo en un aire de un polvo invisible que se sentía al respirar521. |
Nuovamente un mondo di vinti, per i quali non esiste riscatto, e di due soli personaggi positivi, Sierva María sacrificata dall'intolleranza e il curioso medico Abrenuncio.
—[136]→ —[137]→
E' questo, al momento, l'ultimo romanzo di Gabriel García Márquez. Memoria de mis putas tristes appare nel 2004522. In precedenza, nel 1996, lo scrittore aveva pubblicato Noticia de un secuestro523, sorta di reportage su una realtà dolorosa dell'attualità colombiana, e nel 2002 il primo volume delle sue memorie, Vivir para contarla.
Noticia de un secuestro, potrebbe essere legittimamente preso per un romanzo, avvincente com'è, centrato su un argomento tragico d'attualità, scritto nello stile proprio di un giornalista provetto: fluido, rapido nella presentazione degli eventi, in modo da caricarli della forza drammatica dell'accaduto.
Si tratta di una relazione cronachistica, un libro da brivido che introduce il lettore in un ambito inquietante, comunica terrore, ma anche curiosità: il mondo del commercio della droga, dominato dal noto Escobar, scomparso qualche anno fa tragicamente, dopo varie e rocambolesche evasioni. Con efficacia García Márquez presenta il dramma di alcune giovani donne della società bogotana che conta, prese in ostaggio dal criminale, onde esercitare pressione sul governo ai fini di vedere abrogata la legge che imponeva la consegna dei narcotrafficanti alle autorità di polizia statunitensi.
Quella dei sequestrati è una situazione d'angoscia cui il lettore, specie se italiano, partecipa intensamente, rivivendo situazioni non ancora del tutto dimenticate di qualche decennio fa: i numerosi sequestri di persona effettuati dalle Brigate rosse e da bande criminali sarde.
Nel libro di García Márquez le vittime appartengono tutte alla classe privilegiata, sono donne non solo ricche, ma che contano nell'establishment colombiano, le quali esercitano il giornalismo da posizioni padronali e finiscono per avere un peso reale nella vita politica della Colombia, direttamente o attraverso i mariti e le potenti e ramificate parentele. Per tal modo il presidente della —138→ repubblica diviene immediatamente egli stesso protagonista dell'avventura, tiranneggiato da opposti sentimenti, obbligato a esercitare un rigoroso controllo sulle proprie azioni, in modo che non diano luogo a sospetti di parzialità. Una situazione che complica il dramma e dalla quale, tuttavia, per l'intervento di personaggi non si sa se dementi o votati al bene altrui, si riesce ad uscire; alla fine chi ha avuto la fortuna di rimanere in vita torna in seno alla propria famiglia, con i segni comunque incancellabili della spaventosa avventura.
La narrazione è condotta con la consueta perizia, alternando scene di suspense ad altre quasi incredibili di tenerezza dalla parte delinquenziale. García Márquez sembra conoscere bene la psicologia non solo dei suoi potenti amici, ma dei delinquenti, ed è curioso come, pur parteggiando apertamente per le vittime e descrivendone le angosce, non manifesti sentimenti negativi verso i criminali, quasi comprendesse le ragioni del loro essersi posti fuori dalla legge, atteggiamento che risponde a una tentazione radicata nel romanzo ispanoamericano, dove il ribelle assume sempre un'aureola di eroe.
Non che lo scrittore esalti chi delinque, ma sembra comprenderlo Nei confronti di Escobar e della sua gente, ad esempio, pare di poter cogliere persino una certa ammirazione, se del capo del famigerato «Cartello di Medellín» sottolinea il prestigio di cui gode tra la sua gente, il rispetto di cui lo circonda la famiglia, numerosa e in grado di esercitare un suo peso su decisioni di grande momento, tanto che alla fine convince il temibile personaggio, pattuite le debite garanzie, a consegnarsi alle forze governative.
Erano le nove e mezza del 7 novembre 1990 quando si verificò il sequestro, e si prolungò per sei mesi. In quei mesi accaddero tante cose, fatti anche minimi che assumevano però grande rilevanza, tra i prigionieri reazioni incredibili in persone legate spesso da lunga amicizia o da intima consuetudine che si trasformavano in nemici, e atteggiamenti di sconcertante superficialità, determinati dal terrore della morte. Il grande scrittore rivela qui una volta ancora la sua maestria nell'interpretazione avvincente delle diverse psicologie dei sequestrati, ora divenuti davvero personaggi di tragedia.
Al libro di
memorie Vivir para
contarla, l'autore premette un'epigrafe significativa:
«La vida no es la
que uno vivió, sino la que uno recuerda y como la recuerda
para contarla»
. Considerazione propria di
chi, superato il periodo attivo dell'esistere, riflette sulla
propria avventura terrena, evocandola dal territorio di una memoria
che isola i fatti, li colora e li mitizza, senza dimenticare che
proprio questo è un momento critico per l'uomo García
Márquez di fronte al proprio futuro.
Il libro è, in sostanza, il romanzo della vita dello scrittore, che si descrive nel suo mondo, dall'infanzia nella numerosa famiglia e nelle infinite relazioni di parentela. Egli è un personaggio particolare dentro questo parentado complicatissimo. Le memorie iniziano dal momento in cui la madre chiede a Gabriel di accompagnarla a vendere una vecchia casa della famiglia; una famiglia che, nella —139→ sua storia, si trasferisce incessantemente da un nucleo urbano all'altro, inseguendo un cambio di condizione economica mai ottenuto, tra un'infinità di personaggi. Il racconto di Vivir para contarla termina nel momento in cui lo scrittore conclude il suo primo romanzo, La hojarasca, dopo aver scritto alcuni racconti sui quali il suo giudizio è ora più negativo che altro, e un progetto iniziale di romanzo, La casa, soppiantato dal nuovo impegno narrativo citato.
Attraverso le numerose pagine di queste memorie il protagonista ci offre tutta una serie rilevante di notizie e di riflessioni, documenta aspetti vivi dell'ambito frequentato, ma anche del paese intero per quanto attiene alla vita politica. Ciò che maggiormente interessa è, logicamente, il personaggio narrante; García Márquez costruisce un'immagine di sé senza propositi di esaltazione e proprio per questo più viva e interessante. Leggere Vivir para contarla è penetrare in un universo di velleità, genio, miseria, di realtà e di coloritura inventiva al tempo stesso. Nulla hanno queste memorie della «serietà» di cui fa solitamente sfoggio un grande personaggio. García Márquez si racconta e racconta come se scrivesse un romanzo, con lo stesso atteggiamento e lo stile con cui presenta i protagonisti e le situazioni dei suoi libri. Chi legge non è attratto solo dai particolari della vicenda umana dello scrittore, ma è catturato dalla narrazione in sé, che gli offre un panorama di grande interesse relativo alla formazione del protagonista, al suo ambiente umano e culturale. L'autobiografia rimette in moto la memoria letteraria del lettore, il quale ritrova continuamente situazioni che lo richiamano alle sue letture dell'opera del colombiano.
Malgrado l'interesse narrativo dei due libri di cui ho detto, Noticia de un secuestro rimane un reportage, mentre Vivir para contarla è fondamentalmente una fonte di notizie interessanti e utili, sia per il lettore di García Márquez che, naturalmente, per il critico. Un vero e proprio romanzo è invece Memoria de mis putas tristes, libro che si pone anch'esso, tuttavia, nella linea evocativa, tra fedele e infedele, su cui grava il trascorrere del tempo.
L'apparizione di Memoria de mis putas tristes sembra sia stata abilmente concertata dagli editori. Da tempo era iniziato il battage pubblicitario, ma a rendere più viva l'attesa dei lettori si incominciò a parlare, vero o falso che fosse -non mi è dato controllare-, di un'edizione pirata apparsa in Colombia, prima che il testo originale facesse la sua apparizione nelle librerie. García Márquez avrebbe posto rimedio all'incidente cambiando il finale del testo e affrettandone la messa in commercio. Si avrebbero, così, due versioni del romanzo quanto all'epilogo, fatto particolarmente interessante per i critici, ove si riuscisse a pervenire a un esemplare dell'edizione pirata.
Se il particolare è, al contrario, pura invenzione, non v'è dubbio che l'averlo proposto contribuì a suo tempo ad accrescere l'attesa per l'edizione ufficiale, anche se un romanziere della fama di García Márquez non aveva bisogno di questi espedienti, che comunque non appaiono, alla fine, dissonanti, scontata —140→ l'astuzia di certi propagandisti editoriali, se consideriamo la disposizione dello scrittore all'invenzione.
Come riferiva
El Mundo di
Bogotá del 22 ottobre 2004, la polizia colombiana «incautó
miles de versiones apócrifas»
del
libro, pubblicate prima che lo scrittore avesse dato «los toques
finales a la novela por razones
artísticas»524
.
La stessa casa editrice, la Random
House Mondadori,
comunicò che García Márquez «tuvo la virtud de
encontrar algunas sensaciones de atmósfera que necesitaban,
o requerían, que determinadas palabras se cambiaran por
otras»
.
Sembrerebbe, quindi, che si sia trattato, più che di una modifica del finale, di una revisione linguistica del romanzo, il quale vide, fin dal suo primo apparire, un grande successo di vendita, come non poteva essere diversamente, considerando chi era l'autore, l'interesse per la sua vicenda clinica e il fatto che da più di dieci anni non appariva un suo testo di narrativa. L'ultimo era stato il volume dal titolo Doce cuentos peregrinos, del 1992.
La critica ha accolto in modo vario Memoria de mis putas tristes. Con particolare entusiasmo ne tratta, ad esempio, Julio Ortega, il quale afferma che
La tradición de la novela da la vuelta en este libro y se mira a sí misma, golosa en su arabesco formal y ardor pasional. Los cinco capítulos de esta Memoria tienen la convicción, la fluidez y la variación de un quintetto musical cuyas voces se ceden el turno de la palabra narrada como un canto de amor contra el tiempo»525. |
In Italia ha
mostrato entusiasmo per il romanzo Antonio D'Orrico, il quale lo
definisce «un bolero
in prosa dalle parole come pietre preziose e dai sentimenti come
animali vivi»
, aggiungendo iperbolicamente
che «Ogni volta che Márquez
scrive la Terra torna a essere come era quando era il paradiso
terrestre»526
.
Ma non mi sembra il caso di Memoria de mis putas tristes.
Un altro critico,
Mino Vignolo, invece, non si è sbilanciato, è rimasto
sulle generali, anche se ha sottolineato giustamente che «Il tema della nostalgia dell'uomo che in tarda
età volge lo sguardo verso il passato e ripensa ai suoi
amori, inclusi i prezzolati, è nelle corde di García
Márquez, scrittore che distilla fine umorismo misto a
malinconia»
527.
Ma Giorgio De Rienzo qualche mese dopo dava un giudizio
d'insufficienza, assegnando al romanzo un 5. Scriveva:
Il racconto punta più sul tema della senilità (dentro non si sente, ma «fuori tutti la vedono») che su quello dell'amore. Il libro rimane comunque moscio. La —141→ struttura è inesistente. La scrittura sgonfiata, fino ad apparire persino rigida, non riesce a destare emozioni528. |
Ad un primo giudizio, neppure io avevo trovato granché interessante l'argomento né l'aspetto linguistico, che mi erano sembrati ben lontani dagli incanti ai quali lo scrittore ci ha abituati. Concludevo:
Spiace davvero dire questo, avendo sempre apprezzato l'opera dello scrittore colombiano, ma qui sembrerebbe, come per certi racconti di epoca acerba, riesumati in talune raccolte di decenni successivi, che si tratti di uno scritto di età remota. Il che confermerebbe da un lato la schiavitù dello scrittore di successo, obbligato a dare in continuazione testi al suo editore, e dall'altro lo scadimento della sua vena creativa. Ma vogliamo proprio credere che questo non sia, fondandoci, appunto, sulla bellezza artistica delle ancora recenti memorie di Vivir para contarla529. |
Vale la pena di riesaminare il romanzo, per verificare se la prima impressione si conferma e si giustifica. Nel testo scopro ora qualità linguistiche difficili da negare, che la prima lettura, dominata dalla curiosità per la trama, non permise di valutare adeguatamente. Gabriel García Márquez è sempre un mago della scrittura, ma discontinuo, e la sostanza del racconto rimane da approfondire.
E' vero che la
vicenda narrata immette per l'ennesima volta nel mondo che è
divenuto, per noi europei «típicamente»
,
e ingiustamente, sudamericano, ma occorre penetrare il motivo
profondo che ispira lo scrittore, e credo si trovi proprio nel
senso di fine di una vicenda, anche per taluni aspetti personale,
che lo conduce a presentare l'agonia di un individuo giunto al
crepuscolo della vita, senza che mai la sua esistenza, e qui al
contrario di quella dello scrittore, abbia visto un momento
luminoso ed esaltante.
Il novantenne protagonista, infatti, giornalista di secondo ordine, maniacale negli atti del suo esistere, senza altro interesse intellettuale che per alcuni classici della letteratura e un gusto compiaciuto per la musica, consuma ripetitivamente gli ultimi sprazzi di una vitalità consunta, non nell'attività dell'amore, ma nella contemplazione erotica, nel tatto vizioso, sfondo la casa postribolare gestita dalla sua vecchia amante, Rosa Cabarga.
Già si è detto della ricorrenza nel romanzo ispanoamericano del tema della prostituzione e della insistita presenza della casa chiusa. Le origini di tale presenza devono essere fatte risalire all'influenza del Valle-Inclán di Tirano Banderas. Asturias, con El Señor Presidente, diffuse il tema e fu ripreso pressoché in tutta la grande narrativa del boom latinoamericano, soprattutto da parte di Onetti e di Vargas Llosa.
—142→La funzione di questo particolare tematico era finalizzata alla distruzione del personaggio, e anche García Márquez vi ricorre, qui, in questo senso, anche se in romanzi precedenti, e in varie interviste, aveva altri significati, in particolare come luogo d'incontro giovanile, o di affermazione virile, senza taccia alcuna negativa. E' sufficiente rileggere Cien años de soledad o le memorie di Vivir para contarla, per averne conferma. Probabilmente per questo Julio Ortega sottolinea nell'ultimo romanzo del colombiano l'uso circense del tema530. Ma ciò non vale per Memoria de mis putas tristes, dove il bordello nulla ha di esaltante, nulla di ospitale, di familiare, non rappresenta uno spazio sociale531, è piuttosto un luogo vuoto, desolato come è di clienti, ad eccezione del ricorrente, matusalemmico protagonista vizioso.
La vicenda del
vecchio e della giovane prostituta che gli viene
«servita», appare ben lungi dall'essere «una fábula
erótica y galante que prolonga el
deseo»532
.
Piuttosto è il segno di una depravazione senile, propria di
un uomo timido nei confronti dell'altro sesso, che si vanta di non
aver mai avuto nella sua vita altro che donne a prezzo, delle
quali, fino al raggiungimento dei cinquant'anni, in modo maniacale
ha persino tenuto il conto, arrivando all'iperbolica cifra di
514533.
Del resto, il
personaggio, benché ancora abbastanza in buon arnese per
l'età -«su estado
es el mejor posible a su edad»
, gli dice il
medico534-,
è cosciente della propria decadenza quanto ad erotismo
attivo; gli rimane solo quello contemplativo, desiderio che
d'improvviso gli si desta un giorno, dando luogo a una serie penosa
di appuntamenti, nei quali solo la vista e il tatto sono
intermediari, e un grottesco coricarsi vicino alla ragazzina
addormentata, quasi a voler trarre vigore dal calore della sua
giovinezza. Nel frattempo, un anno di questa singolare
«avventura», con contrastanti momenti, mai la ragazza
vede l'amoroso, poiché sempre, naturalmente o forse ad arte,
immersa nel sonno.
Il vecchio
depravato si descrive «feo, tímido y
anacrónico»535
,
cosciente di essere «un
cabo de raza sin méritos ni
brillo»536
.
A partire dal quarantaduesimo anno, coglie l'avanzare della
vecchiaia, in seguito ai primi acciacchi537,
e va perdendo —143→
poco a poco l'orientamento, scivola nell'incoscienza,
nell'istupidimento maniacale, ritenendosi «condenado a morir
de buen amor»
nella «agonía
feliz»
di un giorno qualsiasi, dopo aver
raggiunto i cento anni538.
Un personaggio complesso, alla fine, questo novantenne, nel quale è reso lo scoraggiamento della vecchiaia, quando gli atti della vita perdono smalto e lo perde anche l'erotismo. Forse qui è possibile cogliere qualche dato autobiografico, non nell'attività negativa del vecchio, ma nello scoraggiamento connesso all'incipiente vecchiaia, constatazione del proprio tramonto fisico da parte dello scrittore seriamente infermo. Del resto si è visto come il tema della vecchia e della sua decadenza percorra tutta l'opera di García Márquez.
Memoria de mis putas tristes annuncia fin dal titolo la negatività dell'avventura erotica a prezzo. La tristezza è la caratteristica delle donne che si vendono nella miseria, costrette dalla fame. Diversa cosa è l'avventura erotica come conquista e attrazione dei sensi, frutto di passione o di amore, forze travolgenti, vivificanti e redentrici. Nel romanzo di García Márquez, invece, nulla entusiasma, nulla si redime, solo si denuncia la miseria dell'uomo, miseria fisica e morale, dando a tutta la vicenda narrata il senso di un fallimento estremo.
Conclude qui, per il momento, l'aventura creativa di Gabriel García Márquez. Memoria de mis putas tristes sembra chiudere anche, con la lunga stagione esaltante della narrativa dello scrittore colombiano, il periodo felice di tutta la narrativa ispanoamericana539.