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ArribaAbajoDel amor y otros demonios

Il mondo perduto dell'amore


In una nota preliminare a El amor y otros demonios Gabriel García Márquez spiega le origini del suo romanzo: in un momento di scarse notizie interessanti, il 26 ottobre 1949 il direttore del giornale per il quale lavorava lo l'avrebbe indotto a fare un giro dalle parti del vecchio convento di Santa Clara, nella cui cappella si stavano esumando «tres generaciones de obispos y abadesas y otras gentes principales»467. Fu lì che, a detta dello scrittore, presenziò alla esumazione di Sierva María de Todos los Ángeles, il cui teschio conservava ancora la splendida capigliatura rossa, cresciuta nel trascorso secolare fino a raggiungere i «veintidós metros con once centímetros», cosa dal «maestro de obras» ritenuta più che normale, poiché, come spiega al giornalista «sin asombro», i capelli umani crescono, dopo la morte, un centimetro al mese, così che «veintidós metros le parecieron un buen promedio para doscientos años»468.

Anni dopo, nelle memorie di Vivir para contarla, lo scrittore ritorna sull'argomento e scrive che il «maestro Zabala», con il quale aveva insistito che gli insegnasse i segreti per scrivere dei reportages, senza che mai «con su indole misteriosa» si decidesse a farlo, lo lasciò tuttavia «alborotado» con l' «enigma de una niña de doce años sepultada en el convento de Santa Clara, a la que le creció el cabello después de muerta más de veintidós metros en dos siglos»469. E continua: «Nunca me imaginé que iba a volver sobre el tema cuarenta años después para contarlo en una novela romántica con implicaciones siniestras»470.

Come sempre, si esercita sull'argomento la fantasia dello scrittore, tra dati suppostamente reali ed elementi fantastici e iperbolici. Il lettore è così introdotto in un ambito di immediato interesse: una vicenda sorprendente, fuori dalla normalità.

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Dalla supposta scoperta della capigliatura eccezionale e dalla presenza di altre tombe, alcune occupate ormai solo da polvere e ossa, una, quella del marchese, vuota, come racconta lo scrittore prologando il romanzo, prende avvio questo sorprendente libro, che pone al suo centro una esasperata vicenda d'amore, ma che in realtà si configura come elegia e critica di un mondo scomparso, quello della Colonia, e di personaggi singolari che interpretano il clima negativo dell'antico vicereame spagnolo di Tierra Firme.

Siamo ormai alla fine, sembra di poter dedurre, del secolo XVIII, e il mondo coloniale americano, quello almeno del Darién, è in piena decadenza. Impera ancora la presenza burocratica ispanica, si avvicendano funzionari di alto lignaggio, i cui titoli, tuttavia, García Márquez riduce a puri simboli della loro pochezza, vescovi, suore e preti, e ancora l'Inquisizione con i suoi metodi disumani. Ma tutto si presenta in decadenza, svuotato di ogni vigore; si tratta di attori vittime di passioni spente, meno quella che coinvolge Sierva María, confinata in convento poiché ritenuta posseduta dal demonio, dopo essere stata in giovinezza morsa da un cane rabbioso; la donna finirà tra le braccia dell'esorcista don Cayetano Delaura, giovane e ferrato salmantino, venuto al seguito dell'esausto vescovo, don Rodrigo de Buen Lozano, e concluderà la sua vita sotto i tormenti inquisitoriali, consumata dall'ansia di amore.

La storia drammatica della vicenda amorosa tra la fanciulla reclusa e il prete domina la seconda parte del romanzo e rappresenta sì, a prima vista, il centro d'interesse dell'opera, soprattutto in quanto sviluppo di una passione impossibile e clandestina, che per la giovane finisce tra i rituali violenti dell'Inquisizione, ma nel libro interessano in particolare anche gli «altri demoni», come recita il titolo, vale a dire i vari amori, leciti e illeciti, il fallimento di ognuno di essi, lo svogliato accendersi di sentimenti che non fioriscono, o il verificarsi di improvvisi ristagni, o recisioni che, anche se non materiali talvolta, finiscono per sfociare in odi di tutta la vita, in disastri ai quali non vi è più rimedio.

E' fuor di dubbio che García Márquez abbia come fine primario, nel suo romanzo, la denuncia della negatività della presenza spagnola in America, in questo parte della lunga schiera di coloro che, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo XX fino ad oggi, pur prodotto di tali presenze, rinnegano almeno una parte delle proprie origini, giudicando con criterio d'oggi il passato, peraltro immodificabile. Ma lo scrittore colombiano fa questo, esaltando, per contrasto, quanto attiene all'ambito magico-religioso dovuto alla presenza negra nel mondo coloniale americano, come fosse parte autoctona dell'America, certamente ricca di mistero e di valenze che funzionano di indubbio richiamo.

La stessa Sierva María, nata «sietemesina», dalla donna che l'aiuta a venire al mondo vista come destinata a non sopravvivere, viene dedicata non solo alla Vergine, ma dalla schiava che se ne prende cura anche alla divinità negra di Olokun. Essa vive poi di preferenza nel mondo della servitù di colore, ne apprende le varie lingue e la religione, fino ad assumere, per la classe dominante,   —125→   incapace di comprendere tale mondo, una sorta di carattere demoniaco. Come indemoniata sarà considerata Sierva María, odiata dalla madre, dimenticata, quindi riscattata per un breve periodo dal padre, il marchese di Casalduero, poi da lui dissennatamente sacrificata in convento, in ossequio all'incitamento del vescovo, preoccupato a suo modo di salvare anime.

Nel convento di Santa Clara la fanciulla è dapprima come una presenza inesistente, e la badessa, Josefa Miranda, donna di carattere duro, da decenni in lotta con il vescovo, prende coscienza della sua realtà concreta solo allorché risuona per tutto l'ambito dell'immenso edificio «una canción de un sola voz»471. Interrogate, le consorelle la informano dell'arrivo della strana «niña», e subito la superiora, per l'eccezionale canto, la ritiene indemoniata, così che decide di rinchiuderla in una delle ultime celle del carcere conventuale.

Lo scrittore presenta Sierva María come una martire del fanatismo religioso e dell'ignoranza, accompagnando la sua figura con il racconto fantasioso che la badessa fa all'esorcista, a proposito di una demoniaca influenza della fanciulla sugli animali e sulle piante: sei galli che improvvisamente hanno preso a cantare come fossero cento; una capra che parla e mette al mondo «trillizos»; il giardino «florecido con tanto ímpetu que parecía contra natura», con «flores de tamaños y colores irreales, y algunas de olores insoportables». Per la suora tutto ciò che era quotidiano assumeva qualche cosa di soprannaturale472.

Nel giovane prete Cayetano Delaura si manifesta presto la passione per la ragazza, dapprima come improvviso turbamento alla vista della reclusa, poi si accentua con la sua frequentazione, diviene intensa cullata dai versi d'amore di Garcilaso che le recita, infine è con lei comunione di sentimento e possesso, quindi ossessione e perdita per entrambi, allorché viene chiuso il passaggio clandestino attraverso il quale di notte l'innamorato reverendo raggiungeva la cella della reclusa. Con i conseguenti casi di coscienza, tormenti della fede e dello spirito, già chiari all'interessante personaggio di Abrenuncio, medico di ascendenza giudaica, inviso all'Inquisizione, sorta di presenza riflessiva nel mondo proposto dal narratore.

Una vicenda di colori cupi, che sembra in qualche modo ripetere originalmente e su un ben diverso livello artistico situazioni d'appendice, proprie di certi romanzi anticlericali del passato otto-novecentesco, ma che non si allontanano molto da una realtà di violenza arcinota, esercitata da tribunali ecclesiastici a difesa della fede, passati alla storia popolare come influenzati da fantasia superstiziosa, o da oscuri interessi e sui quali, a torto o a ragione, tanto si è scritto.

La sostanza è che, anche in questo caso, il personaggio rappresentato da Sierva María finisce sconfitto. Nella sua condotta, durante i riti d'esorcizzazione,   —126→   sembra esaltarsi la supposta natura demoniaca della fanciulla, che infatti affronta il vescovo, «con ferocidad satánica, hablando en lenguas o con aullidos de pájaros infernales»473, complice la natura, che al secondo giorno del suo processo emette un «bramido inmenso de ganados embravecidos», e la terra trema, di modo che per i suoi accusatori non fu più possibile pensare che Sierva María non fosse «a merced de todos los demonios del averno»474.

García Márquez intende, in realtà, porre in rilievo la crudeltà dell'ingiustizia consumata su un essere innocente durante giorni di tormenti, in cerimonie nelle quali il vescovo appare alla giovane donna come la personificazione del diavolo475. La conclusione è, nell'angoscia per l'inesplicabile scomparsa dell'amante e gli effetti delle dure fasi dell'esorcizzazione, la morte, una morte che il narratore presenta come trionfo riscattatore dell'innocenza, poiché improvvisamente il corpo distrutto di Sierva María ormai morta rifiorisce:

La guardiana que entró a prepararla para la sexta sesión de exorcismos la encontró muerta de amor en la cama con los ojos radiantes y la piel de recién nacida. Los troncos de los cabellos le brotaban como burbujas en el cráneo rapado, y se les veía crecer476.



Il tema centrale del romanzo conclude su questa scena, ricollegandosi al preambolo, in cui lo scrittore dava conto della realtà concreta di partenza, in sostanza già intrisa di improbabile e di meraviglioso. Ma il libro è ben più complesso di quanto possa sembrare dall'esposizione del motivo centrale: rappresenta uno scandaglio, come sempre, nelle pieghe dell'animo umano, attraverso una serie di personaggi tutti di grande interesse.

Si deve partire dal padre di Sierva María, immagine della decadenza di una schiatta: ben diverso dal genitore, don Ygnacio de Alfaro y Dueñas, secondo marchese di Casalduero, signore del Darién, è un uomo che traligna dalla sua casata. Lo scrittore pone esplicitamente in rilievo che è il secondo marchese di Casalduero, ossia che appartiene a una nobiltà recente, sempre predatrice e violenta. Il padre è, infatti, non solo cavaliere di Santiago, ma un «negrero de horca y cuchillo y maestre de campo sin corazón», cui il re suo signore «no escatimó honores y prebendas ni castigó injusticias»477. Perciò il figlio avrebbe potuto esercitare un potere smisurato, e invece «no daba señales de nada», presentava anzi «signos de cierto retraso mental», fu analfabeta fino all'età adulta e «no quería a nadie»478.

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Tuttavia il curioso personaggio va acquistando significato nel romanzo, mano a mano che ci si addentra nell'intrico delle vicende che lo riguardano. Anche lui finisce per essere, a suo modo, vittima dell'amore, e si avvia verso un finale di assoluta desolazione, che richiama, senza averne la grandezza, il protagonista de El coronel no tiene quien le escriba.

Dapprima il giovane Ygnacio si innamora di Dulce Olivia, una reclusa nel manicomio della Divina Pastora, e sarebbe deciso a sposarla se non intervenisse con energia il padre, che lo esilia nelle sue tenute, dove, terrore infantile, incomincia a temere le galline e i cavalli, mentre stringe invece un'amicizia «casi humana» con i numerosi mastini479.

Se ripensiamo a una lirica di Neruda che sottolinea la stupidità dei suddetti volatili, e la fissità d'occhi inespressivi con cui osservano gli umani480, non stupirà il terrore del giovane marchese. Quanto ai cani, vi è l'esempio di Cervantes, il celebre Coloquio de los perros481, che ne sottolinea l'intelligenza, seguito, in tempi moderni, da Augusto Roa Bastos nel romanzo Yo, el Supremo482. Forse a questi precedenti si rifà García Márquez, e nella sua memoria doveva pure essere presente, suo malgrado forse483, per quanto riguarda la figura del primo marchese, l'eco di quel Geo Maker Thompson, il «Papa verde», che Miguel Ángel Asturias descrive come «señor de cheque y cuchillo, navegador en el sudor humano»484.

Circa i cavalli, l'opinione del medico Abrenuncio, di fronte alla paura del marchese, è del tutto positiva: egli lamenta, infatti, l'incomunicazione del nobiluomo con essi, poiché ritiene che proprio questa mancanza di comunicazione abbia «retrasado a la humanidad», e afferma che se una volta o l'altra si riuscissre a superare tale incomunicazione «podríamos fabricar el centauro»485. E qui, forse, potremmo individuare un rimando, benché vago, ai Caballos de Abdera, di Leopoldo Lugnones486.

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Contro la volontà del padre, Ygnacio intratterrà per lungo tempo un'amicizia affettuosa con la pazza, o creduta tale, poiché, verità sacrosanta, «Ningún loco está loco si uno se conforma con sus razones»487, e solo si sposerà, costretto dalle esigenze di famiglia, con una sua pari, doña Olalla de Mendoza, che manterrà vergine, conducendo una vita da «soltero inútil», ma conquistato dalla musica di lei, allieva a Siviglia di Domenico Scarlatti, e tanto che egli stesso apprende a suonare la tiorba italiana488. Nulla più, perché resisterà a ogni tentativo sessuale estremo della sposa, morta la quale, colpita da un improvviso fulmine, che Dulce Olivia afferma di aver scagliato lei, condurrà con quest'ultima una sorta di «amistad prohibida que por lo menos una vez se pareció al amor», sconfinata in un «desinterés de matrimonio viejo», conflittuale per il minimo motivo, così che di notte «se pudría en un pleito de vándalos que desmoralizaba a los mastines»489. Sarà poi preda delle arti seduttrici della giovane Bernarda Cabrera, nell'amaca sotto gli aranci dell'orto, e incinta la dovrà sposare per riparazione, a ciò convinto dalle maniere perentorie del padre della ragazza.

La scena che García Márquez presenta è di grande efficacia, tutta giocata su una violenza contenuta; egli presenta nel padre di Bernarda un uomo deciso, pronto alla misura estrema quasi con rincrescimento, come accade a molti violenti del repertorio del narratore colombiano, i quali in sé rifuggono dal delitto, cui più che altro la fatalità li costringe:

Él le dio largas hasta que el padre de ella llamó al portón a la hora de la siesta con un arcabuz arcaico en bandolera. Era de verba lenta y ademanes suaves, y le entregó el arma al marqués sin mirarlo a la cara.

«¿Sabe qué es eso, señor marqués?», le preguntó.

El marqués no sabía qué hacer con el arma en las manos.

«Hasta donde alcanza mi ciencia, creo que es un arcabuz», dijo. Y preguntó, de veras intrigado: «¿Para qué lo usa?».

«Para defenderme de los piratas, señor», dijo el indio, todavía sin mirarlo a la cara. «Ahora lo traigo por si su merced me quiere hacer la gracia de matarme antes que yo lo mate».

Lo miró a la cara. Tenía unos ojitos tristes y mudos, pero el marqués entendió lo que no le decían. Le devolvió el arcabuz y lo invitó a seguir adelante para celebrar el acuerdo [...]490.



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Un seguito di frustrazioni attende, con il matrimonio, il personaggio, cui non pone rimedio neppure la nascita di Sierva María, subito odiata dalla madre, donna insensibile ai richiami della maternità, dedita presto a commerci lucrosi con il traffico di schiavi, alla fine trascinata alla rovina da una sessualità insaziabile e dalla droga491, alla quale la introduce lo schiavo Judas Iscariote -il nome è significativo- di cui si è perdutamente invaghita, morto il quale la sua deriva è totale.

Di pagina in pagina il marchese acquista dimensione; è un uomo triste e finito che sembra trascinare senza volontà i suoi giorni, convincente prodotto del mondo coloniale in rovina. Per nulla uomo d'azione, fin dalla giovinezza vive nella paura della vita: «Vivo espantado de estar vivo»492. Rinunciatario, dopo la morte della prima moglie chiude e smonta la casa, si isola da ogni contatto sociale; per la siesta si rifugia in un'amaca sotto gli aranci dell'orto, e lì è oggetto di «obscenidades tiernas» da parte delle pazze del confinante manicomio, ma quando il governo gli offre di trasferirle, si oppone «por gratitud a ellas»493.

Di nuovo sposo e finalmente padre, dopo un lungo periodo di indifferenza verso la figlia è per un attimo umanizzato dal sentimento paterno, incoraggiato anche dallo strano medico Abrenuncio de Sa Pereira Cao a fare in modo che la ragazza sia felice, poiché «No hay medicina que cure lo que no cura la felicidad»494.

Presto, tuttavia, rinuncia anche a questo e si sottomette alla richiesta del vescovo. La città dove vive è solo un ricordo del passato splendore, in piena decadenza, «sumergida en su marasmo de siglos»495; su questo sfondo il marchese «macilento» si muove, diretto al convento dove rinchiuderà la figlia.

Gli incontri del marchese con Abrenuncio, di ascendeza giudea, sono diversi. Il medico, spirito libero, rappresenta nel romanzo una sorta di coscienza critica del mondo coloniale. Il primo incontro del marchese con lui è del tutto occasionale: «Cuando volvía a la ciudad por la cornisa del cerro encontró a un hombre de gran apariencia sentado en una piedra del camino junto a su caballo muerto»496. La conversazione si indirizza subito verso temi del tutto particolari. Il medico lamenta la morte del cavallo, per il quale vorrebbe una sepoltura in luogo consacrato: è un animale centenario, afferma.

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Un tipo originale, Abrenuncio, che suona l'arpa con una sua musica particolare come metodo di cura al capezzale degli ammalati; non pratica la chirurgia poiché la ritiene «arte inferior de dómines y barberos», e possiede una facolttà divinatoria: predicev agli infermi il giorno e l'ora della loro morte. Sostiene inoltre essere azione di buoni cristiani uccidere, magari col veleno, chi soffre ed è destinato comunque a morire497.

Colpito dal personaggio e dai suoi ragionamenti il marchese non solo fa sotterrare in un vecchio cimitero consacrato il suo cavallo, ma gli fa dono di uno splendido «alazán».

La presentazione del dottore è, come spesso nella narrativa di García Márquez, sorprendente. Abrenuncio ha una sua profonda filosofia che, malgrado le apparenze, si fonda su una grande umanità; egli precorre i tempi anche nella disponibilità ad alleviare con la morte la sofferenza per la quale non vi è più rimedio.

Nel corso del romanzo si ha modo di approfondire la dimensione del personaggio. Il marchese si rivolge presto a lui per il problema della figlia e lo fa come se si rivolgesse a un confessore. Il carattere del medico dispone, infatti, alla confidenza; le sue idee, per quanto sembrino strane, sono segno di una riflessione profonda sugli uomini e sulle cose. Come in altri romanzi, ad esempio in La hojarasca, presto è coinvolto il problema della fede, evidentemente pressante anche per il narratore.

Circondato da un alone di diffidenza, in realtà Abrenuncio è uno spirito puro, un essere limpido, come del resto dimostra la sua casa, dove il marchese, dopo il primo incontro casuale, si reca a ora presta, le sette del mattino, per confidargli la situazione della figlia; egli si ritrova in un interno «arreglado con el preciosismo vicioso de un soltero empedernido», in un ambito «ocupado por una fragancia de bálsamos que inducía a creer en la eficacia de la medicina»498, questo nonostante la poca fede che in essa ha lo stesso medico; vi sono librerie ordinate e impreziosite di volumi, «muchos en latín, con lomos historiados»499, pile di libri anche sul pavimento, ma ordinate, e una vetrina «llena de pomos de porcelana con rótulos en latín»500. Lì sta pure l'arpa con cui in tempi passati il medico accompagnava gli ammalati, come nobilitata dalla polvere del tempo: «Relegada en un rincón estaba el arpa medicinal cubierta en un polvo dorado»501.

La capacità di García Márquez di trasformare in elementi magici le cose si esercita sui minimi particolari, allo stesso modo della facoltà di sorprendere con affermazioni inattese, come quella di Abrenuncio, il quale, di buonumore, affermato che i libri non servono a nulla, dichiara di aver passato la vita curando   —131→   i disastri dei colleghi: «La vida se me ha ido curando las enfermedades que causan los otros médicos con sus medicinas». Il che corrisponde a una diffusa convinzione popolare, è certo, e qui è mezzo per riscuotere immediata adesione dal lettore, sempre scontento dei medici e della medicina.

Le sue doti, in qualche modo divinatorie, Abrenuncio le esercita anche nel caso della marchesa, allorché ne sente il grido straziante: gli basta uno sguardo per coglierne il destino: «Te está cantando la lechuza, hija mía»502, le dice, e pronostica che al più tardi morirà il 15 di settembre, se non si impicca prima. Al che il marito, «inalterable», commenta: «Lo único malo es que el 15 de septiembre esté tan lejos»503.

Depositata la figlia in convento, il marchese, subito pentito, ma ormai impotente a riscattarla, si incontra di nuovo con il medico ed è a questo punto che nella loro conversazione ritorna il tema della fede. Il nobile rivela al dottore le sue ansie di preghiera, prima di compiere il passo, ma sappiamo che il tentativo di recuperare «el dios que lo había abandonado» era stato inutile, in quanto, afferma García Márquez, «la incredulidad resiste más que la fe, porque se sustenta de los sentidos»504. Ora, compiuto l'atto di affidamento della figlia, il marchese si è convinto che fu un ordine di Dio; allora il medico gli chiede se ha recuperato la fede, e la risposta è: «Nunca se deja de creer por completo [...]. La duda persiste»505. Il che induce Abrenuncio a riflettere: «Siempre había pensado que dejar de creer causaba una cicatriz imborrable en el lugar en que estuvo la fe, y que impedía olvidarla»506.

Accenni filosofici non approfonditi nel romanzo, ma che danno ulteriore profondità al personaggio del prete, il quale da celibe ostinato considera «extremos de demencia» le gesta amorose del giovane esorcista Delaura, poiché, pur ritenendo il sesso «un talento» che personalmente dichiara di non possedere, considera l'amore «un sentimiento contra natura», perché condanna due sconosciuti a una «dependencia mezquina e insalubre, tanto más efímera cuanto más intensa»507. Ma osserva anche con ammirazione la pazzia che l'amore provoca negli uomini: di fronte al prete disperato, sconvolto dalla passione «Abrenuncio no pudo ocultar la admiración que le causaba aquel hombre recién liberado de las servidumbres de la razón»508.

Le sconfitte dell'amore, i suoi effetti disastrosi, sono esemplari nel romanzo. Non solo conclude negativamente la pericolosa avventura dei due   —132→   amanti, ma più volte naufraga quella svogliata del marchese don Ygnacio. Il naufragio del sentimento sembra dipendere da quello del mondo esterno, dove continua l'avvicendarsi di autorità di nessun valore, come il nuovo vicerè don Rodrigo de Buen Lozano, che fa tappa nella cittadina con la giovane moglie «casi adolescente», lui di 22 anni maggiore. I suoi meriti particolari di «asturiano maduro y apuesto» consistono nell'essere «campeón de pelota vasca y de tiro a la perdiz»509. Lo accoglie e lo festeggia un governatore «soltero y mariposón», spendaccione e goditore, che gli omaggia un pranzo «de hombres solos», accompagnato da danze di schiave, tra le quali una splendida abissina, «de perfección alarmante», da lui comperata a peso d'oro, che di fronte al vicerè fa improvvisamente scivolare ai suoi piedi la tunica che la copre, sbalordendo l'uomo: «toda ella exhalaba un hálito confidencial»; ripreso fiato, il viceré cancella dalla suamemoria con un gesto della mano la «visión insoportable» e ordina di portar via la donna, ché non la vuole rivedere per il resto dei suoi anni510.

Un mondo superficiale e corrotto, quello della colonia, dove anche la difesa della fede da parte delle autorità religiose appare in vistosa contraddizione. Neppure il vescovo sembra esente da colpe, se si sussurra che l'esorcista Delaura sia suo figlio o suo amante. Ma sono dicerie.

La figura del vescovo nel romanzo, non appare sfumata come quella, in Crónica de una muerte anunciada, del fantomatico occupante della nave, che passa benedicendo senza fermarsi di fronte al villaggio. Il prelato di Del amor y otros demonios non è, ora, un uomo nel pieno delle sue forze; don Toribio de Cáceres y Virtudes lo fu un tempo, e il narratore richiama nel marchese, di fronte alla realtà attuale, l'impressione che lasciò in lui quarant'anni prima, in occasione di una funzione religiosa: allora,

Por el cuerpo enorme y el aparato de su ornamento parecía a simple vista un anciano colosal, pero el rostro lampiño de rasgos puntuales, con unos raros ojos verdes, conservaba intacta una belleza sin edad. A la altura de las andas tenía un nimbo mágico de Sumo Pontífice, y quienes lo conocían de cerca lo sentían en el brillo de su sabiduría y su conciencia del poder511.



Una imponenza e un'aura che contrastano con la residenza vescovile, il palazzo più antico della città, del quale il vescovo occupa solo una parte: un claustro «de arcos renegridos», condiviso con la cattedrale e un patio con un «aljibe en ruinas entre matorrales desérticos»; tutto è in rovina: «Hasta la fachada   —133→   imponente de piedra labrada y sus portones de maderas enterizas revelaban los estragos del abandono»512.

Quando il marchese, convocato per il caso della figlia, entra nel palazzo vescovile prova un'impressione di freschezza e si avvia per un corridoio così oscuro «que seguía al diácono sin verlo, pensando cada paso para no tropezar con estatuas mal puestas y escombros atravesados»513. Non si tratta di un ambiente di prospettive felici; anche la saletta dove il nobiluomo è fatto attendere è solo illuminata attraverso un «tragaluz», e alla parete un confuso ritratto ad olio rappresenta un giovane ufficiale in uniforme degli «alférez del rey»: il vescovo giovane.

Una volta ammesso alla presenza del prelato il quadro muta radicalmente: quarant'anni non sono passati invano; le tre epoche della vita del vescovo sono presenti improvvisamente al marchese: l'immagine pomposa del potente religioso, la sua gioventù precedente, e ora un vecchio malaticcio dalla corpulenza ancor più accentuata:

Era mucho más grande e imponente de cuanto se decía, aún agobiado por el asma y vencido por el calor. Sudaba a chorros y se mecía muy despacio en un mecedor filipino, abanicándose apenas con un abanico de palma, y con el cuerpo inclinado hacia adelante para respirar mejor. Llevaba una abarcas de labriego y una camisola de lienzo basto con pedazos luidos por los abusos del jabón. La sinceridad de su pobreza se notaba a primera vista. Sin embargo, lo más notable era la pureza de sus ojos, sólo comprensible por algún privilegio del alma514.



Dalla pompa all'anormalità umana, ma quegli occhi puri sono di nuovo in contrasto con la durezza della decisione di rinchiudere Sierva María in convento. Più accorde con la crudeltà del proposito del vescovo è la successiva descrizione del suo faticoso sopravvivere: «A causa del asma su respiración era grande y pedregosa, y sus frases estaban perturbadas por suspiros inoportunos y por una tos áspera y breve, pero nada afectaba su elocuencia»515.

Del resto, il vescovo vive in uno spazio di serenità egoistica, estranea alle sofferenze del prossimo. Lo si coglie dall'ambiente luminoso in cui è introdotto il marchese, dopo il buio del corridoio e la sosta nell'angusta anticamera, passaggio obbligato verso lo splendore del potere ecclesiastico:

El marqués [...] franqueó la puerta y se encontró en una terraza al aire libre, bajo un palio de campánulas amarillas y helechos colgados, desde donde se veían las torres de todas las iglesias, los tejados rojos de las casas principales, los palomares   —134→   adormilados por el calor, las fortificaciones militares perfiladas contra el cielo de vidrio, y el mar ardiente516.



La vera faccia del potere religioso appare tuttavia nel momento drammatico del confronto con Sierva María, durante i riti crudeli dell'esorcizzazione. Entrato «en atuendo de gran ceremonia», portato «en andas» da quattro schiavi, nella sua lotta per scacciare il demonio il vescovo terrorizza la giovane supposta indemoniata, che prende a gridare, mentre lui tenta di sovrastarla con la sua voce e nello sforzo si abbatte al suolo:

El obispo aumentó la voz para acallarla, pero ella gritó más. El obispo aspiró a fondo y volvió a abrir la boca para continuar el conjuro, pero el aire se le murió dentro del pecho y no pudo expulsarlo. Se derrumbó de bruces, boqueando como un pescado en tierra, y la ceremonia terminó con un estrépito colosal517.



Come se l'innocenza, in questo finale estremamente drammatico, avesse in realtà debellato il vero demonio: il vescovo esorcista.

Il mondo in cui si svolgono le vicende del romanzo di García Márquez appare completamente avariato. Vi si verificano fenomeni strani, che sembrano condannare l'operato degli uomini. Non solo terremoti, ma anche eventi curiosi, che dai nemici di Sierva Maria sono interpretati come prova della sua natura demoniaca; come quel venerdì in cui le rondini «se despidieron con una amplia vuelta en el cielo» e coprirono «con una nevada de añil nauseabundo» tetti e strade, fenomeno inconsueto poiché, precisa lo scrittore con terminologia duramente realista, «Nunca se había visto que las golondrinas cagaran en pleno vuelo ni que la hedentina de su estiércol estorbara para vivir»518.

Ciò che più si impone, tuttavia, nel romanzo è la deriva umana, quella dei personaggi illustrati, in particolare della moglie del marchese, Bernarda, isolatasi in una tenuta un tempo fiorente, ora desolata, un «ingenio» del quale «sólo quedaban los escombros, las máquinas carcomidas por el óxido, las osamentas de los dos últimos bueyes, todavía uncidas al brazo del trapiche»519.

Seduta sotto la veranda la donna continua col suo vizio antico della bevanda di cacao, «la mirada inmóvil», accoglie con indifferenza il saluto del marchese e gli rivela sadicamente l'inganno del quale egli fu oggetto: un piano che, sotto le specie dell'amore, avrebbe dovuto concludersi con la sua eliminazione, atto dal quale alla fine la donna desistette, cosciente che «ya no era nadie para matar a nadie»520.

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La casa dove ora la donna vive, senza un essere umano, né animali a cento leghe intorno, è immagine efficace della miserabile fine di un mondo:

La casa estaba desportillada, y unos arbustos de florecitas moradas despuntaban por entre los ladrillos del piso. En el comedor estaba la mesa antigua con las mismas sillas carcomidas por el comején. El reloj parado en una hora de quién sabía cuándo, y todo en un aire de un polvo invisible que se sentía al respirar521.



Nuovamente un mondo di vinti, per i quali non esiste riscatto, e di due soli personaggi positivi, Sierva María sacrificata dall'intolleranza e il curioso medico Abrenuncio.



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ArribaMemoria de mis putas tristes

L'ultimo fallimento


E' questo, al momento, l'ultimo romanzo di Gabriel García Márquez. Memoria de mis putas tristes appare nel 2004522. In precedenza, nel 1996, lo scrittore aveva pubblicato Noticia de un secuestro523, sorta di reportage su una realtà dolorosa dell'attualità colombiana, e nel 2002 il primo volume delle sue memorie, Vivir para contarla.

Noticia de un secuestro, potrebbe essere legittimamente preso per un romanzo, avvincente com'è, centrato su un argomento tragico d'attualità, scritto nello stile proprio di un giornalista provetto: fluido, rapido nella presentazione degli eventi, in modo da caricarli della forza drammatica dell'accaduto.

Si tratta di una relazione cronachistica, un libro da brivido che introduce il lettore in un ambito inquietante, comunica terrore, ma anche curiosità: il mondo del commercio della droga, dominato dal noto Escobar, scomparso qualche anno fa tragicamente, dopo varie e rocambolesche evasioni. Con efficacia García Márquez presenta il dramma di alcune giovani donne della società bogotana che conta, prese in ostaggio dal criminale, onde esercitare pressione sul governo ai fini di vedere abrogata la legge che imponeva la consegna dei narcotrafficanti alle autorità di polizia statunitensi.

Quella dei sequestrati è una situazione d'angoscia cui il lettore, specie se italiano, partecipa intensamente, rivivendo situazioni non ancora del tutto dimenticate di qualche decennio fa: i numerosi sequestri di persona effettuati dalle Brigate rosse e da bande criminali sarde.

Nel libro di García Márquez le vittime appartengono tutte alla classe privilegiata, sono donne non solo ricche, ma che contano nell'establishment colombiano, le quali esercitano il giornalismo da posizioni padronali e finiscono per avere un peso reale nella vita politica della Colombia, direttamente o attraverso i mariti e le potenti e ramificate parentele. Per tal modo il presidente della   —138→   repubblica diviene immediatamente egli stesso protagonista dell'avventura, tiranneggiato da opposti sentimenti, obbligato a esercitare un rigoroso controllo sulle proprie azioni, in modo che non diano luogo a sospetti di parzialità. Una situazione che complica il dramma e dalla quale, tuttavia, per l'intervento di personaggi non si sa se dementi o votati al bene altrui, si riesce ad uscire; alla fine chi ha avuto la fortuna di rimanere in vita torna in seno alla propria famiglia, con i segni comunque incancellabili della spaventosa avventura.

La narrazione è condotta con la consueta perizia, alternando scene di suspense ad altre quasi incredibili di tenerezza dalla parte delinquenziale. García Márquez sembra conoscere bene la psicologia non solo dei suoi potenti amici, ma dei delinquenti, ed è curioso come, pur parteggiando apertamente per le vittime e descrivendone le angosce, non manifesti sentimenti negativi verso i criminali, quasi comprendesse le ragioni del loro essersi posti fuori dalla legge, atteggiamento che risponde a una tentazione radicata nel romanzo ispanoamericano, dove il ribelle assume sempre un'aureola di eroe.

Non che lo scrittore esalti chi delinque, ma sembra comprenderlo Nei confronti di Escobar e della sua gente, ad esempio, pare di poter cogliere persino una certa ammirazione, se del capo del famigerato «Cartello di Medellín» sottolinea il prestigio di cui gode tra la sua gente, il rispetto di cui lo circonda la famiglia, numerosa e in grado di esercitare un suo peso su decisioni di grande momento, tanto che alla fine convince il temibile personaggio, pattuite le debite garanzie, a consegnarsi alle forze governative.

Erano le nove e mezza del 7 novembre 1990 quando si verificò il sequestro, e si prolungò per sei mesi. In quei mesi accaddero tante cose, fatti anche minimi che assumevano però grande rilevanza, tra i prigionieri reazioni incredibili in persone legate spesso da lunga amicizia o da intima consuetudine che si trasformavano in nemici, e atteggiamenti di sconcertante superficialità, determinati dal terrore della morte. Il grande scrittore rivela qui una volta ancora la sua maestria nell'interpretazione avvincente delle diverse psicologie dei sequestrati, ora divenuti davvero personaggi di tragedia.

Al libro di memorie Vivir para contarla, l'autore premette un'epigrafe significativa: «La vida no es la que uno vivió, sino la que uno recuerda y como la recuerda para contarla». Considerazione propria di chi, superato il periodo attivo dell'esistere, riflette sulla propria avventura terrena, evocandola dal territorio di una memoria che isola i fatti, li colora e li mitizza, senza dimenticare che proprio questo è un momento critico per l'uomo García Márquez di fronte al proprio futuro.

Il libro è, in sostanza, il romanzo della vita dello scrittore, che si descrive nel suo mondo, dall'infanzia nella numerosa famiglia e nelle infinite relazioni di parentela. Egli è un personaggio particolare dentro questo parentado complicatissimo. Le memorie iniziano dal momento in cui la madre chiede a Gabriel di accompagnarla a vendere una vecchia casa della famiglia; una famiglia che, nella   —139→   sua storia, si trasferisce incessantemente da un nucleo urbano all'altro, inseguendo un cambio di condizione economica mai ottenuto, tra un'infinità di personaggi. Il racconto di Vivir para contarla termina nel momento in cui lo scrittore conclude il suo primo romanzo, La hojarasca, dopo aver scritto alcuni racconti sui quali il suo giudizio è ora più negativo che altro, e un progetto iniziale di romanzo, La casa, soppiantato dal nuovo impegno narrativo citato.

Attraverso le numerose pagine di queste memorie il protagonista ci offre tutta una serie rilevante di notizie e di riflessioni, documenta aspetti vivi dell'ambito frequentato, ma anche del paese intero per quanto attiene alla vita politica. Ciò che maggiormente interessa è, logicamente, il personaggio narrante; García Márquez costruisce un'immagine di sé senza propositi di esaltazione e proprio per questo più viva e interessante. Leggere Vivir para contarla è penetrare in un universo di velleità, genio, miseria, di realtà e di coloritura inventiva al tempo stesso. Nulla hanno queste memorie della «serietà» di cui fa solitamente sfoggio un grande personaggio. García Márquez si racconta e racconta come se scrivesse un romanzo, con lo stesso atteggiamento e lo stile con cui presenta i protagonisti e le situazioni dei suoi libri. Chi legge non è attratto solo dai particolari della vicenda umana dello scrittore, ma è catturato dalla narrazione in sé, che gli offre un panorama di grande interesse relativo alla formazione del protagonista, al suo ambiente umano e culturale. L'autobiografia rimette in moto la memoria letteraria del lettore, il quale ritrova continuamente situazioni che lo richiamano alle sue letture dell'opera del colombiano.

Malgrado l'interesse narrativo dei due libri di cui ho detto, Noticia de un secuestro rimane un reportage, mentre Vivir para contarla è fondamentalmente una fonte di notizie interessanti e utili, sia per il lettore di García Márquez che, naturalmente, per il critico. Un vero e proprio romanzo è invece Memoria de mis putas tristes, libro che si pone anch'esso, tuttavia, nella linea evocativa, tra fedele e infedele, su cui grava il trascorrere del tempo.

L'apparizione di Memoria de mis putas tristes sembra sia stata abilmente concertata dagli editori. Da tempo era iniziato il battage pubblicitario, ma a rendere più viva l'attesa dei lettori si incominciò a parlare, vero o falso che fosse -non mi è dato controllare-, di un'edizione pirata apparsa in Colombia, prima che il testo originale facesse la sua apparizione nelle librerie. García Márquez avrebbe posto rimedio all'incidente cambiando il finale del testo e affrettandone la messa in commercio. Si avrebbero, così, due versioni del romanzo quanto all'epilogo, fatto particolarmente interessante per i critici, ove si riuscisse a pervenire a un esemplare dell'edizione pirata.

Se il particolare è, al contrario, pura invenzione, non v'è dubbio che l'averlo proposto contribuì a suo tempo ad accrescere l'attesa per l'edizione ufficiale, anche se un romanziere della fama di García Márquez non aveva bisogno di questi espedienti, che comunque non appaiono, alla fine, dissonanti, scontata   —140→   l'astuzia di certi propagandisti editoriali, se consideriamo la disposizione dello scrittore all'invenzione.

Come riferiva El Mundo di Bogotá del 22 ottobre 2004, la polizia colombiana «incautó miles de versiones apócrifas» del libro, pubblicate prima che lo scrittore avesse dato «los toques finales a la novela por razones artísticas»524. La stessa casa editrice, la Random House Mondadori, comunicò che García Márquez «tuvo la virtud de encontrar algunas sensaciones de atmósfera que necesitaban, o requerían, que determinadas palabras se cambiaran por otras».

Sembrerebbe, quindi, che si sia trattato, più che di una modifica del finale, di una revisione linguistica del romanzo, il quale vide, fin dal suo primo apparire, un grande successo di vendita, come non poteva essere diversamente, considerando chi era l'autore, l'interesse per la sua vicenda clinica e il fatto che da più di dieci anni non appariva un suo testo di narrativa. L'ultimo era stato il volume dal titolo Doce cuentos peregrinos, del 1992.

La critica ha accolto in modo vario Memoria de mis putas tristes. Con particolare entusiasmo ne tratta, ad esempio, Julio Ortega, il quale afferma che

La tradición de la novela da la vuelta en este libro y se mira a sí misma, golosa en su arabesco formal y ardor pasional. Los cinco capítulos de esta Memoria tienen la convicción, la fluidez y la variación de un quintetto musical cuyas voces se ceden el turno de la palabra narrada como un canto de amor contra el tiempo»525.



In Italia ha mostrato entusiasmo per il romanzo Antonio D'Orrico, il quale lo definisce «un bolero in prosa dalle parole come pietre preziose e dai sentimenti come animali vivi», aggiungendo iperbolicamente che «Ogni volta che Márquez scrive la Terra torna a essere come era quando era il paradiso terrestre»526. Ma non mi sembra il caso di Memoria de mis putas tristes.

Un altro critico, Mino Vignolo, invece, non si è sbilanciato, è rimasto sulle generali, anche se ha sottolineato giustamente che «Il tema della nostalgia dell'uomo che in tarda età volge lo sguardo verso il passato e ripensa ai suoi amori, inclusi i prezzolati, è nelle corde di García Márquez, scrittore che distilla fine umorismo misto a malinconia»527. Ma Giorgio De Rienzo qualche mese dopo dava un giudizio d'insufficienza, assegnando al romanzo un 5. Scriveva:

Il racconto punta più sul tema della senilità (dentro non si sente, ma «fuori tutti la vedono») che su quello dell'amore. Il libro rimane comunque moscio. La   —141→   struttura è inesistente. La scrittura sgonfiata, fino ad apparire persino rigida, non riesce a destare emozioni528.



Ad un primo giudizio, neppure io avevo trovato granché interessante l'argomento né l'aspetto linguistico, che mi erano sembrati ben lontani dagli incanti ai quali lo scrittore ci ha abituati. Concludevo:

Spiace davvero dire questo, avendo sempre apprezzato l'opera dello scrittore colombiano, ma qui sembrerebbe, come per certi racconti di epoca acerba, riesumati in talune raccolte di decenni successivi, che si tratti di uno scritto di età remota. Il che confermerebbe da un lato la schiavitù dello scrittore di successo, obbligato a dare in continuazione testi al suo editore, e dall'altro lo scadimento della sua vena creativa. Ma vogliamo proprio credere che questo non sia, fondandoci, appunto, sulla bellezza artistica delle ancora recenti memorie di Vivir para contarla529.



Vale la pena di riesaminare il romanzo, per verificare se la prima impressione si conferma e si giustifica. Nel testo scopro ora qualità linguistiche difficili da negare, che la prima lettura, dominata dalla curiosità per la trama, non permise di valutare adeguatamente. Gabriel García Márquez è sempre un mago della scrittura, ma discontinuo, e la sostanza del racconto rimane da approfondire.

E' vero che la vicenda narrata immette per l'ennesima volta nel mondo che è divenuto, per noi europei «típicamente», e ingiustamente, sudamericano, ma occorre penetrare il motivo profondo che ispira lo scrittore, e credo si trovi proprio nel senso di fine di una vicenda, anche per taluni aspetti personale, che lo conduce a presentare l'agonia di un individuo giunto al crepuscolo della vita, senza che mai la sua esistenza, e qui al contrario di quella dello scrittore, abbia visto un momento luminoso ed esaltante.

Il novantenne protagonista, infatti, giornalista di secondo ordine, maniacale negli atti del suo esistere, senza altro interesse intellettuale che per alcuni classici della letteratura e un gusto compiaciuto per la musica, consuma ripetitivamente gli ultimi sprazzi di una vitalità consunta, non nell'attività dell'amore, ma nella contemplazione erotica, nel tatto vizioso, sfondo la casa postribolare gestita dalla sua vecchia amante, Rosa Cabarga.

Già si è detto della ricorrenza nel romanzo ispanoamericano del tema della prostituzione e della insistita presenza della casa chiusa. Le origini di tale presenza devono essere fatte risalire all'influenza del Valle-Inclán di Tirano Banderas. Asturias, con El Señor Presidente, diffuse il tema e fu ripreso pressoché in tutta la grande narrativa del boom latinoamericano, soprattutto da parte di Onetti e di Vargas Llosa.

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La funzione di questo particolare tematico era finalizzata alla distruzione del personaggio, e anche García Márquez vi ricorre, qui, in questo senso, anche se in romanzi precedenti, e in varie interviste, aveva altri significati, in particolare come luogo d'incontro giovanile, o di affermazione virile, senza taccia alcuna negativa. E' sufficiente rileggere Cien años de soledad o le memorie di Vivir para contarla, per averne conferma. Probabilmente per questo Julio Ortega sottolinea nell'ultimo romanzo del colombiano l'uso circense del tema530. Ma ciò non vale per Memoria de mis putas tristes, dove il bordello nulla ha di esaltante, nulla di ospitale, di familiare, non rappresenta uno spazio sociale531, è piuttosto un luogo vuoto, desolato come è di clienti, ad eccezione del ricorrente, matusalemmico protagonista vizioso.

La vicenda del vecchio e della giovane prostituta che gli viene «servita», appare ben lungi dall'essere «una fábula erótica y galante que prolonga el deseo»532. Piuttosto è il segno di una depravazione senile, propria di un uomo timido nei confronti dell'altro sesso, che si vanta di non aver mai avuto nella sua vita altro che donne a prezzo, delle quali, fino al raggiungimento dei cinquant'anni, in modo maniacale ha persino tenuto il conto, arrivando all'iperbolica cifra di 514533.

Del resto, il personaggio, benché ancora abbastanza in buon arnese per l'età -«su estado es el mejor posible a su edad», gli dice il medico534-, è cosciente della propria decadenza quanto ad erotismo attivo; gli rimane solo quello contemplativo, desiderio che d'improvviso gli si desta un giorno, dando luogo a una serie penosa di appuntamenti, nei quali solo la vista e il tatto sono intermediari, e un grottesco coricarsi vicino alla ragazzina addormentata, quasi a voler trarre vigore dal calore della sua giovinezza. Nel frattempo, un anno di questa singolare «avventura», con contrastanti momenti, mai la ragazza vede l'amoroso, poiché sempre, naturalmente o forse ad arte, immersa nel sonno.

Il vecchio depravato si descrive «feo, tímido y anacrónico»535, cosciente di essere «un cabo de raza sin méritos ni brillo»536. A partire dal quarantaduesimo anno, coglie l'avanzare della vecchiaia, in seguito ai primi acciacchi537, e va perdendo   —143→   poco a poco l'orientamento, scivola nell'incoscienza, nell'istupidimento maniacale, ritenendosi «condenado a morir de buen amor» nella «agonía feliz» di un giorno qualsiasi, dopo aver raggiunto i cento anni538.

Un personaggio complesso, alla fine, questo novantenne, nel quale è reso lo scoraggiamento della vecchiaia, quando gli atti della vita perdono smalto e lo perde anche l'erotismo. Forse qui è possibile cogliere qualche dato autobiografico, non nell'attività negativa del vecchio, ma nello scoraggiamento connesso all'incipiente vecchiaia, constatazione del proprio tramonto fisico da parte dello scrittore seriamente infermo. Del resto si è visto come il tema della vecchia e della sua decadenza percorra tutta l'opera di García Márquez.

Memoria de mis putas tristes annuncia fin dal titolo la negatività dell'avventura erotica a prezzo. La tristezza è la caratteristica delle donne che si vendono nella miseria, costrette dalla fame. Diversa cosa è l'avventura erotica come conquista e attrazione dei sensi, frutto di passione o di amore, forze travolgenti, vivificanti e redentrici. Nel romanzo di García Márquez, invece, nulla entusiasma, nulla si redime, solo si denuncia la miseria dell'uomo, miseria fisica e morale, dando a tutta la vicenda narrata il senso di un fallimento estremo.

Conclude qui, per il momento, l'aventura creativa di Gabriel García Márquez. Memoria de mis putas tristes sembra chiudere anche, con la lunga stagione esaltante della narrativa dello scrittore colombiano, il periodo felice di tutta la narrativa ispanoamericana539.





 
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